di Roberto Pagani
La seconda domenica della Grande Quaresima è intitolata a san Gregorio Palamàs, monaco del Monte Athos e poi arcivescovo di Tessalonica che visse nella prima metà del XIV secolo. Teologo che ha saputo unire una raffinata formazione nella Costantinopoli dei Paleologi ad una intensa vita di preghiera condotta a più riprese sul Monte Athos. Al di là di quella che può essere una sua originalità, è sicuramente l’ultimo grande teologo bizantino prima della caduta di Costantinopoli in mano ai turchi che avverrà a meno di cento anni dalla sua morte. Egli ricapitola e sintetizza la teologia dei padri greci, riprecisando il rapporto tra l’inaccessibilità della Sostanza divina e la partecipabilità delle Energie divine. Nei manoscritti abbiamo traccia anche del titolo che la seconda domenica portava precedentemente alla sua consacrazione attuale, ovvero la memoria del santo martire Policarpo, vescovo di Smirne. Attraverso il Typikon della Grande Chiesa cui abbiamo già fatto riferimento, sappiamo che in questa seconda domenica, subito dopo la lettura evangelica alla Divina Liturgia si leggeva l’appello ai catecumeni. Il testo di tale appello era riportato in un manoscritto dell’XI secolo che, presente nella biblioteca reale di Dresda e trasportato poi in Russia dopo la seconda guerra mondiale, oggi risulta introvabile. Fortunatamente possiamo accedervi attraverso una traduzione russa che un noto liturgista ha pubblicato all’inizio del XX secolo.
“Figli miei amatissimi! Conoscendo la vostra sincera fede nel Cristo e come voi stimiate il Santo Battesimo, vi esortiamo ora ancora una volta, in virtù dell’uso stabilito, per domandarvi questo: coloro che desiderano condurre al Battesimo salutare di Cristo qualcuno dei propri parenti, lo conduca dunque qui, nella santa chiesa, affinché, come conviene ai catecumeni, sia possibile istruirlo degli insegnamenti divini secondo le regole della fede. A volte in effetti succede che qualcuno si avvicini al santo mistero senza comprendere gli insegnamenti che gli sono proposti: in questo modo essi partecipano alla grazia senza conoscere assolutamente nulla. Chi dunque abbia con sé qualcuno in queste condizioni, lo conduca prima della domenica di metà quaresima poiché dopo quel giorno non permetteremo a nessuno, salvo casi di estrema necessità, di essere condotto senza esame al Battesimo nella prossima festa di Pasqua”.
La pericope evangelica domenicale è Mc 2, 1-12:
Gesù entrò di nuovo a Cafarnao. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”. Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: “Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino disse al paralitico alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”. Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”.
C’è stato un periodo in cui l’esegesi moderna ha letteralmente strapazzato il racconto di Marco mettendone in evidenza quelle che sembrano essere delle evidenti incongruenze logico-linguistiche, così come emerge nell’analisi del brano fatta da Josè Miguel Garcìa nella sua Vita di Gesù, retroversione in aramaico del testo greco dei vangeli. Ma senza addentrarci nell’analisi storica dell’esegesi della pericope, possiamo mettere in risalto quegli elementi che si possono ben collegare al cammino verso l’iniziazione cristiana dei catecumeni e alla riconciliazione pubblica dei penitenti che avvenivano entrambi nel corso della Quaresima.
Nel commentare questo brano, i Padri sono concordi nel considerare l’integralità della guarigione operata da Gesù: il ristabilimento della salute del corpo così come quella dell’anima procedono per un’unica via, dice Clemente di Alessandria, poiché “colui che ha creato l’uomo si preoccupa di tutta quanta la creatura, e il medico che guarisce la natura umana cura sia il corpo che l’anima”. Pietro Crisologo illumina il rapporto malattia – malato: “prendi il tuo letto, cioè, mutando le parti, porta il letto che ti portava, così che la testimonianza della tua malattia diventi la prova della tua guarigione; così che il letto del tuo dolore diventi la prova della guarigione operata da me; così che la grandezza del peso dimostri la robustezza della forza riacquistata”.
Un altro elemento che viene messo in risalto è la fede non solo del paralitico ma anche, se non soprattutto, delle quattro persone che portano il piccolo letto: non fermandosi dinanzi alla folla né alle difficoltà logistiche, non hanno paura di arrivare a scoperchiare il tetto. Beda il Venerabile, ad esempio, vede allegoricamente in queste quattro persone che portano a Gesù l’uomo malato i quattro vangeli, così come il tetto da scoperchiare diviene un’immagine della crosta del peccato che paralizza la nostra vita spirituale.
È bello notare come sia la fede degli amici a rendere possibile la guarigione del paralitico operata da Gesù, che è a sua volta preoccupato di non destare nei presenti solo lo stupore dovuto al miracolo, ma di far trasparire che la guarigione esteriore è solo l’aspetto evidente di un ristabilimento globale che in ultima analisi, come vittoria sul peccato, è vittoria sulla morte.
Ancora una volta, di fronte allo scetticismo di alcuni scribi, Gesù parla di sé come il Figlio dell’uomo, che nella profezia di Daniele ha ogni potere in cielo e sulla terra, colui che nella sua venuta realizza le promesse di Dio: guarire i malati e risanare i peccati. Spirito e corpo sono così inscindibilmente legati che non si può avere guarigione del corpo senza quella dello spirito, ed è per questo che la Chiesa, sulle orme di Gesù, è attenta a entrambe le dimensioni.
Volgendosi ora all’Ufficiatura, è evidentemente necessario discriminare quello che è l’ufficio in onore di san Gregorio Palamàs, introdotto a partire dal 1368, da quello preesistente a tale data, del quale oggi nei libri greci moderni non si trova più traccia, mentre è ancora conservato in alcuni libri liturgici slavi stampati nel corso del XIX secolo. Tale strato più antico dell’Ufficio consiste in un Canone, opera di Giuseppe l’Innografo, e una strofa che si canta al termine delle Lodi. Il tema del Canone è il Figliol prodigo, e si capisce meglio come, essendo già stato il tema di una delle domeniche della pre-quaresima con ampia e sviluppata ufficiatura, nella prassi attuale si preferisca lasciar cadere questo tema a favore dell’Ufficio in onore del Santo.
Non è tuttavia un esercizio di archeologia liturgica quello che ci porta a rileggere, seppur brevemente, alcuni passi del Canone, dove ritorna frequentemente il tema dell’ascesi quaresimale come restaurazione della bellezza originaria dell’uomo, ovvero della riacquisizione della somiglianza divina perduta col peccato ma riofferta attraverso la Passione di Cristo e la sua Risurrezione.
“Accoglimi nella tua pietà, o Salvatore, mentre accorro con fede, come un tempo il figlio prodigo, e concedimi la liberazione dei miei mali, o Cristo: rendimi degno di recuperare con purezza la bellezza primigenia, celebrando, o Signore, la tua ineffabile compassione”. “Donami, o Verbo, la primitiva bellezza che ho stoltamente perduto compiendo il male”. “Compassionevole Signore, Padre di ogni pietà, accoglie come il figliol prodigo colui che ritorna da vie di ogni malizia, e dando bellezza con le vesti dell’impassibilità fammi aver parte, o buono, alla sorte di quanti ti hanno perfettamente servito”.
C’è quasi una differenza di tono rispetto alla pre-quaresima, in quanto il cammino di conversione è già iniziato e, pur nei nostri attuali limiti, chiediamo al Signore di non guardare a quanto ancora ci resta da fare. “Accoglimi convertito, o Padre, adornami con sacre vesti e rendimi partecipe dei tuoi beni”. “Accoglimi nella mia conversione, tu che possiedi sconfinata ricchezza di bontà”. “Nutri con pensieri divini, o Cristo, colui che ha fame della tua grazia, e fallo partecipe della tua gloria”.
Kontàkion e Ikos fanno riferimento alla “maternità” del Padre, appellandosi biblicamente alle viscere materne da cui scaturisce la divina misericordia. “Corrimi incontro ed abbracciami, per le tue viscere di misericordia”. “Aprimi le tue viscere pietose, ed abbi compassione di me che con ardore mi getto davanti a te”.
La luce può risplendere solo se in noi è eliminata l’opacità del peccato: “Fa splendere per me, giacente nella tenebra della perdizione, un raggio di pentimento, o Signore, e rendimi splendente con le vesti di azioni virtuose, perché io sia degno del talamo spirituale e annoverato tra i figli del regno”. Ma non abbiamo a disposizione un tempo illimitato per convertirci: “Lotta, affrettati, pèntiti prima che giunga il momento del taglio e tu sia reciso come albero sterile e mandato nella geenna. Dio vuole che tutti siano salvati e ti apre le sue braccia”.
Questa “cocciutaggine” di Dio nel voler salvare l’uomo valorizzando ogni minimo spunto di resipiscenza viene ribadita ulteriormente: “Tu che non vuoi che nessun uomo si perda, fammi tornare, o Verbo, perché ho deviato dal retto sentiero e come il figliol prodigo sono caduto nei precipizi e nei baratri del peccato: così io magnificherò il tuo amore per gli uomini che oltrepassa ogni pensiero”.
La conversione del peccatore non è solo un fatto che investa la sfera personale, ma ha una rilevanza cosmica, nella partecipazione festante alla gioia per il ritorno a casa: “La terra e tutto il cielo insieme faranno festa, vedendo me pentito, o pietoso, accolto dalle tue sante viscere: celebreranno il tuo amore per l’uomo e acclameranno apertamente: Gloria al solo nostro Dio, che vuole che tutti siano salvati”.
La strofa alle Lodi sottolinea la dinamicità del cammino quaresimale: “Per quanti camminano nelle tenebre dei peccati, sei sorto come luce o Cristo, nel tempo della continenza: mostraci anche il giorno solenne della tua passione, affinché a te acclamiamo: Sorgi, o Dio! E abbi pietà di noi”.
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