Visto che tra qualche giorno inizierà la Grande Quaresima, cerchiamo di capire qualcosa di più di questo importante periodo liturgico per poterlo affrontare con una maggiore consapevolezza.
Durante i primi secoli della Chiesa, non si trovano tracce della Quaresima così come la intendiamo ora. Alla fine del II secolo, Sant'Ireneo, vescovo di Lione, attesta il disaccordo che vi era tra le Chiese non soltanto sul giorno della celebrazione della Pasqua, ma anche sul digiuno che doveva precederla. “Gli uni - diceva - pensano che bisogna digiunare un giorno, gli altri due, altri tre, altri infine danno al loro digiuno una durata di 40 ore” . Il digiuno di cui parla Sant'Ireneo deve essere inteso come digiuno unico e ininterrotto.
Sappiamo da Tertulliano, che scrisse all’inizio del III secolo , che i Montanisti africani digiunavano due settimane all’anno, esclusi il sabato e la domenica, mentre i “Cattolici” si accontentavano di digiunare, il venerdì e il sabato santi, giorni in cui, essendo privati dello Sposo, dovevano digiunare secondo il comandamento del Signore.
Ad Alessandria, verso la metà del III secolo, sappiamo da una lettera di San Dionigi, vescovo della città († 234), a Basilide, che i fedeli più ferventi non digiunavano più di una settimana e ancora rari erano coloro i quali lo facevano senza interruzione.
La “Didascalia” (seconda metà del III secolo), ci offre una testimonianza dell’uso siriano, essa ordina di digiunare, “a partire dal lunedì (santo), per sei giorni completamente fino alla notte che segue il sabato” (cap. 21). Il computo di una settimana deriva apparentemente dal costume ebraico menzionato da Esodo 12, 8, e da Deuteronomio 16, 3, secondo il quale gli Ebrei, al tempo della pasqua, dovevano nutrirsi per sette giorni del “pane dell’afflizione”.
Appare così l’origine giudaica del digiuno cristiano. D'altronde, il digiuno menzionato dalla “Didascalia”, non comportava lo stesso rigore ogni giorno: “dal lunedì, digiunerete, e non mangerete che del pane, del sale e dell’acqua, dalla nona ora, fino al giovedì. Il venerdì e il sabato digiunerete completamente e non assumerete alcun cibo”.
È solamente nel IV secolo che si vede l’estensione del digiuno Pasquale a un periodo di circa 40 giorni che precede la Pasqua. Un periodo di quaranta giorni, detto quadragesima, è in effetti segnalato dal canone 5 del concilio di Nicea (325), piuttosto come periodo di preparazione al battesimo o di “esercizio spirituale” per i fedeli che vivono nel mondo. Tra gli esercizi di questo periodo sacro, il digiuno aveva naturalmente una parte importante, ma non esclusiva, e differiva molto da un paese all’altro.
Il numero 40 era evidentemente ispirato dal ricordo dei 40 giorni di digiuno passati dal Signore nel deserto. Ma come combinare questi 40 giorni con il digiuno pasquale della settimana santa, già esistente? E in secondo luogo, in che cosa doveva consistere il digiuno quadragesimale? A queste due domande, le Chiese cristiane risposero in maniera molto diversa.
In Oriente, si osservavano generalmente sette settimane di digiuno, sottintendendo che la domenica e il sabato (con l’esclusione del sabato santo) di ogni settimana non comportavano l’astinenza quadragesimale. Così la somma totale dei giorni consacrata al digiuno arrivava a 36 giorni.
A Gerusalemme, verso la fine del IV secolo, la pellegrina Egeria ci segnala un uso che permetteva di raggiungere il numero 40 continuando ad interrompere il digiuno il sabato e la domenica. La quaresima vi durava otto settimane, così il digiuno quadragesimale era effettivamente di quaranta giorni, mentre il digiuno del sabato santo, faceva parte del digiuno Pasquale propriamente detto.
Ad Alessandria si conservava anche la distinzione tra la quaresima e il digiuno pasquale che cominciava il lunedì santo, ma si riducevano i due periodi a sei settimane complessive. Ugualmente si faceva a Roma nel V secolo. I 40 giorni in questo caso non devono essere presi alla lettera, ma considerati come una cifra tonda, comprendendo cioè anche i giorni in cui, secondo il costume antico, il digiuno era interrotto. Bisogna anche dire che a Roma sin dal V secolo si digiunava anche il sabato ma non la domenica.
Il digiuno in origine comportava un solo pasto al giorno, preso verso sera o a nona, ovvero le tre del pomeriggio. Così, il pasto che, presso gli antichi, si prendeva abitualmente alla quinta ora, ovvero alle 11 del mattino, veniva in questo modo ritardato di diverse ore, da quattro a sei. Il rigore non consisteva solo nella durata dell’astinenza ma riguardava anche la natura degli alimenti permessi. La carne era assolutamente proibita. Ad Antiochia ci si privava anche dei volatili e del pesce; altrove questi venivano consumati col pretesto che, secondo Mosè, uccelli e pesci originano dalle acque. I cristiani più ferventi si privavano anche delle uova. Dunque, salvo alcune eccezioni: pane, legumi, sale, questo sembra essere stato il regime alimentare durante la Quaresima primitiva; anche la domenica e il sabato, giorni in cui non si digiunava, qualcuno si nutriva di pane ed acqua.
Il concilio di Laodicea al canone 50, raccomanda la “xerofagia” (digiuno rigoroso) per tutta la Quaresima; il concilio Trullano del 692 al canone 56 rinnova il divieto di mangiare uova e latticini. Ugualmente era proibito l’uso del vino, considerato come incompatibile con il digiuno.
La Settimana Santa fu sempre distinta dal resto della Quaresima per una astinenza più rigorosa. Ricordiamo il testo delle Costituzioni Apostoliche: “dal lunedì al sabato (della settimana santa), per sei giorni, bisogna digiunare: i primi quattro giorni digiunerete sino a nona o anche fino a sera, se la vostra salute lo permette, e romperete il digiuno mangiando solo pane, sale, legumi secchi ed acqua. Di venerdì e sabato non prenderete assolutamente alcun cibo e non romperete il vostro digiuno se non la domenica al canto del gallo; se qualcuno non può sopportare questa prova, digiuni almeno dal sabato alla domenica”. Certuni prolungavano la “xerofagia”, come la chiama già Sant’Epifanio, due, tre, quattro giorni, ed anche una settimana intera, senza parlare di coloro che, a detta di Sant’Agostino, si sforzavano con più o meno successo, di digiunare più settimane di seguito, alfine di imitare il più fedelmente possibile il digiuno interrotto di 40 giorni praticato dal Signore.
Ma vi era ancora una sorta di illogicità nel chiamare quaresima o “quadragesima” un digiuno che non durava che trentasei giorni. A Gerusalemme, come abbiamo visto, la Chiesa aveva cercato di fare concordare il periodo con il nome, aggiungendo una settimana alla Quaresima. Altrove per legittimare il numero 36, ci si accontentava di cercarne un significato simbolico e non si ebbero difficoltà a trovarne. Il digiuno di 36 giorni (bisognerebbe dire 36 giorni e mezzo perché il digiuno del sabato santo si prolungava fino all’alba della domenica di Pasqua) sarebbe come la “decima” ovvero la decima parte offerta a Dio dei 365 giorni dell’anno. Tali combinazioni non potevano però soddisfare i più. Così per conformarsi alla logica del linguaggio e per imitare più appropriatamente i 40 giorni di digiuno del Salvatore, si finì per aggiungere quattro giorni alla quaresima.
Fu nel corso del VII secolo che la Chiesa d’Oriente, imitando la pratica di Gerusalemme, aggiunse una settimana supplementare, l’ottava prima di Pasqua, chiamata “settimana dei latticini” o della “tirofagia”, nel corso della quale si digiunava il mercoledì e il venerdì, come se si fosse in Quaresima: per completare il numero 40, bisognava contare nella quaresima il digiuno delle “paramonie”, ovvero le vigilie di Natale e dell’Epifania. Ma, già la “settimana dei latticini”, nella quale la carne era proibita, fa in qualche modo parte della quaresima per l’astinenza della carne che essa comporta. Vi era ancora un altro modo di vedere considerata la quaresima compiuta con il venerdì della sesta settimana della quaresima. In effetti, i 40 giorni trascorrono dal lunedì della prima settimana di quaresima, contando i sabati e le domeniche. È una Quaresima, ma non necessariamente di digiuno. Questo modo di contare esclude i giorni della Grande Settimana che sono precisamente la celebrazione del mistero della redenzione e non la sua preparazione.
L’aggiunta di altre due settimane alla Quaresima venne da Costantinopoli in due tempi: sino al X secolo, il “Triodion” comincia alla “domenica che precede il carnevale” con la lettura del Vangelo del Figliol Prodigo; poi a partire dal X secolo, come in uso ancora oggi, l’inizio del “Triodion” è costituito dalla domenica del “Fariseo e del Pubblicano”.
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