Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

martedì 24 aprile 2012

(Pseudo) Dionigi Areopagita (V o VI secolo): La Teologia Mistica

Tratto da: Ps. Dionigi Areopagita, Gerarchia celeste, Teologia mistica, Lettere, traduzione, introduzione e note a cura di Salvatore Lilla, Roma Città Nuova,1986

CAPITOLO I
Cos’è la tenebra divina

I. Trinità sovraessenziale oltremodo divina ed oltremodo buona, custode della sapienza dei Cristiani relativa a Dio, guidaci verso la cima oltremodo sconosciuta, oltremodo risplendente ed altissima dei mistici oracoli, dove i misteri semplici, assoluti ed immutabili della teologia vengono svelati nella tenebra luminosissima del silenzio che inizia all’arcano: là dove c’è più buio essa fa brillare ciò che è oltremodo risplendente, e nella sede del tutto intoccabile ed invisibile ricolma le intelligenze prive di vista di stupendi splendori. Questa sia la mia preghiera. Ma tu, o mio caro Timoteo, applicati intensamente alle mistiche visioni, metti da parte le sensazioni, le attività intellettuali, tutte le cose sensibili ed intellegibili, tutto ciò che non esiste e che esiste e per quanto puoi abbandonati senza più conoscere all’unione con ciò che è al di sopra di ogni essere e di ogni conoscenza: nel tuo abbandono incondizionato, assoluto e puro al raggio sovraessenziale della tenebra divina elimina tutto, e una volta staccatoti da tutto lasciati portare verso l’alto.

II. Bada a che nessuno dei non iniziati ascolti: mi riferisco a coloro che rimangono prigionieri delle realtà, che pensano che nulla esista in modo sovraessenziale al disopra degli esseri, che ritengono di conoscere con la loro scienza colui che «ha fatto della tenebra il suo nascondiglio». Se le divine iniziazioni vanno al di là delle capacità di costoro, che cosa si dovrebbe dire a proposito di coloro che sono ancor meno iniziati, che definiscono la causa trascendente di tutto anche per mezzo degli esseri più bassi, e che dicono che essa non è affatto superiore alle empie e svariate raffigurazioni forgiate da loro? Ad essa, in quanto causa di tutto, vanno applicate tutte le affermazioni positive relative agli esseri; < nello stesso tempo > però, in quanto trascende tutto, è più giusto negare a proposito di essa tutti questi attributi. Non si deve credere che le negazioni siano contrapposte alle affermazioni: la causa universale, essendo al disopra di ogni negazione ed affermazione, è anche al disopra delle privazioni.

III. Per questo dunque il divino Bartolomeo dice che la teologia è < nello stesso tempo > diffusa e brevissima, e che il Vangelo è vasto e grande e nello stesso tempo conciso. A mio parere, questo è stato il suo pensiero soprannaturale: la buona causa universale è insieme di molte parole, di poche parole e addirittura muta, giacché ad essa non si possono applicare nessun discorso e nessun pensiero: essa trascende infatti in maniera sovraessenziale tutte le cose, e si rivela senza veli e veracemente solo a coloro che, dopo avere attraversato tutte le cose impure e pure, dopo essersi lasciata dietro ogni ascesa che porta alle sante vette, e dopo avere abbandonato tutte le luci, tutti i suoni e tutte le parole celesti, penetrano nella tenebra dove veramente si trova, come affermano gli oracoli, colui che è al di sopra di tutto. Non senza ragione il divino Mosè riceve innanzitutto l’ordine di purificarsi e poi quello di separarsi da coloro che non sono puri; dopo essersi del tutto purificato, sente il molteplice suono delle trombe, e vede molte luci, irradianti raggi puri e diffusi; quindi si separa dalla moltitudine, ed assieme ai sacerdoti scelti procede verso la sommità della divina ascesa. Ma anche a questo punto non si trova assieme a Dio: ciò che contempla, non è Lui (Egli è incontemplabile), ma il luogo in cui si trova. A mio avviso, tutto questo significa che le cose più divine e più alte tra quelle visibili e pensabili sono soltanto parole che suggeriscono < alla mente > le realtà che rimangono sottoposte a colui che tutto trascende e che rivelano la sua presenza superiore ad ogni, pensiero, situata al disopra delle vette intellegibili dei i suoi luoghi più santi. Allora egli si distacca da ciò che è visibile e da coloro che vedono, e penetra nella tenebra veramente mistica dell’ignoranza. Rimanendo in essa, chiude ogni percezione conoscitiva ed entra in colui che è del tutto intoccabile ed invisibile: < allora > appartiene veramente a colui che tutto trascende, senza essere più di nessuno, né di se stesso né di altri; fatta cessare ogni conoscenza, si unisce al principio del tutto sconosciuto secondo il meglio < delle sue capacità >, e proprio perché non conosce più nulla, conosce al disopra dell’intelligenza.

CAPITOLO II
Come ci si deve unire alla causa universale e superiore a tutto, e come si devono levare ad essa gl’inni di lode.

Preghiamo per trovarci anche noi in questa tenebra luminosissima, per vedere tramite la cecità e l’ignoranza, e per conoscere il principio superiore alla visione ed alla conoscenza proprio perché non vediamo e non conosciamo; in questo consistono infatti la reale visione e la reale conoscenza. Celebreremo < allora > il principio sovraessenziale in modo sovraessenziale, vale a dire eliminando tutte le cose: allo stesso modo, coloro che modellano una statua bella di per sé eliminano da essa tutti gl’impedimenti che potrebbero sovrapporsi alla pura visione della sua nascosta bellezza, e sono in grado di mostrare in tutta la sua purezza questa bellezza occulta solo grazie a questo processo di eliminazione. A mio parere, le negazioni e le affermazioni vanno celebrate con procedimenti contrari: in effetti, noi facciamo delle affermazioni quando partiamo dai principi più originari e scendiamo attraverso i membri intermedi fino alle ultime realtà; nel caso invece delle negazioni, noi eliminiamo tutto allorché risaliamo dalle ultime realtà fino a quelle più originarie, in modo da conoscere senza veli l’ignoranza nascosta in tutti gli esseri da tutte le cose conoscibili, e da vedere la tenebra sovraessenziale na­scosta da tutte le luci presenti negli esseri.

CAPITOLO III
Qual’è la teologia affermativa, e quale la negativa

Negli «Schizzi teologici» abbiamo celebrato gli aspetti più importanti della teologia affermativa: < abbiamo spiegato > in che senso la natura divina e buona è chiamata una ed in che senso è chiamata trina; quale significato hanno, se riferiti ad essa, i concetti di paternità e di figliolanza; che cosa intende mostrare la teologia dello Spirito < santo > ; come le intime luci della bontà sono spuntate fuori dal bene immateriale e privo di parti, senza tuttavia cessare di rimanere nel bene, in se stesse e l’una nell’altra nonostante questo coeterno processo di germogliamento; come il Gesù sovraessenziale ha preso l’essenza propria della vera natura umana; e tutte le altre rivelazioni degli oracoli, celebrate negli «Schizzi teologici». Nello scritto «Sui nomi divini» < abbiamo spiegato > invece come mai Dio è chiamato buono, colui che è vita, sapienza e potenza, e tutti gli altri appellativi caratteristici dei nomi divini intellegibili. Nella «Teologia simbolica» < abbiamo spiegato > infine i nomi trasferibili dagli oggetti sensibili alle cose divine, le forme e gli aspetti divini, le parti, gli strumenti, i luoghi divini, gli ornamenti, le ire, i dolori, le collere, le ebbrezze, le crapule, i giuramenti, le imprecazioni, i sonni, le veglie, e tutte le altre sacre raffigurazioni proprie della rappresentazione simbolica di Dio. Penso che tu ti renda conto che questi ultimi argomenti richiedono molte più parole dei primi: sia gli «Schizzi teologici» che le spiegazioni dei nomi divini devono essere più concisi della «Teologia simbolica». Quanto più alziamo lo sguardo verso l’alto, tanto più i discorsi vengono contratti dalla contemplazione delle realtà intellegibili; cosi pure anche ora, nel momento in cui penetriamo nella tenebra superiore all’intelligenza, noi troviamo non più discorsi brevi, ma la totale assenza di parole e di pensieri. In quell’altro caso il discorso, scendendo dall’alto verso il basso, si allargava in proporzione alla discesa; ora invece, elevandosi dal basso verso la sfera superiore, si contrae in proporzione all’ascesa, e dopo averla compiuta diventa completamente muto, per unirsi interamente all’ineffabile. Tu mi chiederai: ma come mai, dopo avere fatto le divine affermazioni partendo dal primo principio, iniziamo < il processo delle > negazioni divine partendo dalle ultime cose? Perché nel momento in cui affermavamo ciò che si trova al disopra di ogni affermazione, dovevamo fare queste affermazioni ipotetiche partendo da ciò che era più affine ad esso; ma nel momento in cui neghiamo ciò che si trova al disopra di ogni negazione, dobbiamo negarlo partendo da ciò che è più lontano. Non è forse esso più vita e bontà che aria o pietra? Ed il fatto che non gozzoviglia e non va in collera non è forse più vero del fatto che non è oggetto di discorsi e di pensieri?

CAPITOLO IV
La causa per eccellenza di tutte le cose sensibili non è nessuna cosa sensibile

Diciamo dunque che la causa universale, superiore a tutte le cose, non è priva di essenza, di vita, di ragione, d’intelligenza; non è neppure un corpo, e non possiede né una figura, né una forma, né una qualità, né una quantità, né un peso; non si trova in nessun luogo, non è visibile, né può essere toccata materialmente; non ha sensazioni, né è oggetto di sensazioni, né disturbata da passioni materiali, né fa albergare in sé il disordine e la confusione; non è neppure priva di forza, come se fosse soggetta alle vicissitudini del mondo sensibile, né ha bisogno della luce; non ammette in sé né il cambiamento, né la corruzione, né la divisione, né la privazione, né lo scorrimento, né alcun’altra cosa sensibile; e non è neppure qualcuna di queste cose.

CAPITOLO V
La causa per eccellenza di tutte le realtà intellegibili non è nessuna realtà intellegibile

Procedendo quindi nella nostra ascesa diciamo che < la causa universale > non è né anima, né intelligenza, e non possiede né immaginazione, né opinione, né parola, né pensiero; che essa stessa non è né parola, né pensiero; e che non è oggetto né di discorso, né di pen­siero. Non è né numero, né ordine, né grandezza, né piccolezza, né uguaglianza, né disuguaglianza, né somiglianza, né dissomiglianza; non sta ferma, né si muove, né rimane quieta, né possiede una forza, né è una forza; non è luce; non vive e non è vita; non è né essenza, né eternità, né tempo; non ammette neanche un contatto intellegibile; non è né scienza, né verità, né regno, né sapienza; non è né uno, né unità, né divinità, né bontà; non è neppure spirito, per quanto ne sappiamo; non è né figliolanza, né paternità, né qualcuna delle cose che possono essere conosciute da noi o da qualche altro essere; non è nessuno dei non-esseri e nessuno degli esseri, né gli esseri la conoscono in quanto esiste; e neppure essa conosce gli esseri in quanto esseri. A proposito di essa, non esistono né discorsi, né nomi, né conoscenza; non è né tenebra, né luce; né errore, né verità; non esistono affatto, a proposito di essa, né affermazioni, né negazioni: quando facciamo delle affermazioni o delle negazioni < a proposito delle realtà che vengono > dopo di essa, noi non l’affermiamo, né la neghiamo. In effetti, la causa perfetta ed unitaria di tutte le cose è al di sopra di ogni affermazione; e l’eccellenza di colui che è assolutamente staccato da tutto e al disopra di tutto è superiore ad ogni negazione.

Nessun commento:

Posta un commento