Dell’Archimandrita Kallistos Ware (oggi vescovo di Diokleia) da "Sobornost" N° 3- 19
I. I DIFFERENTI LIVELLI DELL'ESYCHIA
Una delle storie dei "Detti dei Padri del deserto" descrive una visita di Teofilo, arcivescovo di Alessandria, ai monaci di Scete. Ansiosi di fare una buona impressione al loro illustre ospite, i monaci riuniti chiesero all'abate Pambo: "Di' qualcosa di edificante all'Arcivescovo". Ed il vecchio rispose: "Se non è edificato dal mio silenzio, tanto meno sarà edificato dalle mie parole". Questa storia indica l'estrema importanza data dalla tradizione del deserto alla esychia, la qualità dell'immobilità e del silenzio. "Dio ha scelto l'esychia al di sopra di ogni altra virtù" è detto altrove nei "detti dei padri del deserto". Come insiste S. Nilo di Ancira: "È impossibile che l'acqua infangata si possa chiarificare se si continua a rimestarla; ed è impossibile diventare monaco senza l'esychia".
Esychia, comunque, significa ben di più della semplice astensione dal parlare fisico. Il termine può essere invece interpretato a molti livelli differenti. Tentiamo di distinguere i vari significati, partendo dai più esteriori per arrivare ai più profondi ed interiori.
1. Esychia e solitudine
Nelle fonti più antiche il termine "esicasta" e il relativo verbo "esichazo" generalmente denota un monaco che vive in solitudine, da eremita, a differenza di quelli che sono membri di un cenobio. Questa accezione si ritrova già in Evagrio pontico (+ 399) e in Nilo e Palladio (inizi V secolo). Si ritrova pure nei "Detti dei Padri del deserto", in Cirillo di Scitopoli, in Giovanni Mosco, Barsanufio, e nella legislazione di Giustiniano. Il termine esychia continua ad essere adoperato con questo significato anche in autori posteriori, come in S. Gregorio il Sinaita (+ 1346). A questo livello il termine si riferisce soprattutto alla relazione, nello spazio, di un uomo in rapporto ad altri. Questo è il significato più esteriore.