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Riproduciamo qui il testo di una riflessione sull’organizzazione ecclesiale della diaspora russa scritto da Mons. Alexandre (Semenoff-Tian-Chansky) in risposta al messaggio che il III Concilio della Chiesa Russa all’Estero aveva indirizzato ai responsabili dell’Arcivescovado, nel 1974 (tradotto a partire dal testo originale russo, apparso in Vestnik RKhD. Parigi-New York, Mosca, 1974, n° 114). Il vescovo Alexandre de Zilon, vescovo ausiliario dell’Arcivescovado delle parrocchie russe in Europa occidentale fu un teologo di formazione (era diplomato all’Istituto Saint-Serge), sacerdote di alta levatura spirituale (fu autore di numerosi articoli e opere di spiritualità e di agiologia, tra cui un libro fondamentale su san Giovanni di Kronstadt e un catechismo ortodosso, più volte ristampato, Mons. Alexandre (Semenoff-Tian-Chansky) (1890-1979) e fu per molti anni rettore della parrocchia Notre-Dame-du-Signe, a Parigi e, del 1971 alla sua morte, vescovo ausiliario al fianco dell’Arcivescovo Georges (Tarassoff).
«I nostri vescovi, chierici e laici hanno ricevuto un messaggio indirizzatoci dalla “Chiesa russa all’Estero”. Salutiamo con gioia questo tentativo di instaurare con noi relazioni amichevoli. Siamo pronti a dimenticare i disaccordi del passato e vogliamo stabilire una convivenza cristiana e, dove è possibile, una cooperazione con la Chiesa russa all’Estero. Ma dobbiamo dichiarare immediatamente e con franchezza che la nostra concezione delle basi dell’organizzazione della Chiesa, cioè dell’insegnamento ortodosso sulla Chiesa (l’ecclesiologia), è diversa dalla vostra. In primo luogo, confessiamo fermamente che ogni Chiesa territoriale deve cercare di essere riconosciuta dalle altre Chiese territoriali, e, in secondo luogo, ci dichiariamo profondamente convinti che tutte le Chiese ortodosse debbano essere locali, cioè stabilite su un territorio preciso, e che l’esistenza di una chiesa transfrontaliera, cioè senza frontiere geografiche, non è canonica.
Abbiamo polemizzato in passato, allo stesso tempo con i rappresentanti del Patriarcato di Mosca e con quelli della Chiesa russa all’Estero, sul carattere incondizionato del principio territoriale dell’organizzazione della Chiesa, e occorre dire che le argomentazioni dei nostri avversari non ci hanno convinti. Il principio nazionale che hanno sostenuto come principale criterio d’organizzazione della Chiesa ha per noi un’importanza secondaria. Qualsiasi Chiesa è sovranazionale, anche se le tradizioni nazionali hanno ogni diritto d’esistenza e possono fungere da base per la costituzione di un’entità ecclesiale particolare, anche di grande portata. Nessuno di noi può dubitare del vostro amore – ma neanche del nostro – amore per la Chiesa russa sofferente e per la Russia stessa [...]. Tuttavia, il nostro Arcivescovado, di concerto con la diaspora greca, diventa sempre più il seme o l’embrione di una Chiesa ortodossa plurietnica in Europa occidentale.
Crediamo nel significato provvidenziale della nostra diaspora in Europa occidentale, che conduce verso l’Ortodossia degli occidentali, senza la minima propaganda da parte nostra e senza il minimo spirito di proselitismo, che è completamente estraneo all’Ortodossia. Quand’anche per grazia dell’intervento – da tutti desiderato – della misericordia divina, la chiesa in Russia venisse un giorno liberata dalla sua attuale prigionia satanica, la Chiesa ortodossa in Europa occidentale resterebbe qui e continuerebbe a svilupparsi. Si trova sotto l’omoforio del Patriarca ecumenico, riconosciuto da noi come un patriarca sovranazionale e come il primo nell’onore, avente un diritto di protezione sulla diaspora ortodossa. La Chiesa ortodossa in Occidente, dopo la liberazione della Chiesa in Russia, vivrà certamente con quest’ultima nell’unità, ma non dovrà necessariamente diventare una diocesi della Chiesa russa.
Possiamo supporre che molti chierici e laici scelgano di rientrare nella Russia libera, in cui si aprirà un campo immenso per l’azione pastorale, ma è innegabile che molti nipoti, pronipoti e figli dei pronipoti degli emigrati russi preferiranno restare in Occidente, senza tradire l’Ortodossia. Conseguentemente a ciò che si è appena detto, vediamo delinearsi per noi due compiti: 1) salvaguardare la tradizione ecclesiale e il patrimonio ortodossi russi e preparare dei servitori della chiesa Per la Russia futura; 2) proteggere ed aiutare la Chiesa ortodossa locale che emerge e, al momento opportuno, cercare il suo riconoscimento da parte delle altre Chiese ortodosse. [...] In quanto ai timori della Chiesa all’Estero sugli eventi imprevisti che possono toccarci nella giurisdizione del Patriarcato ecumenico, rispondiamo che noi sappiamo che il mondo è pieno di imprevisti e di eventi inattesi, ma coloro che si rivolgono a Dio con umiltà per cercare un aiuto ricevono sempre delle indicazioni necessarie a riguardo di ciò che devono fare.
Nonostante le differenze che abbiamo appena indicato con i responsabili della vostra Chiesa, consideriamo, come voi, che non c’è mai stato una rottura completa con la vostra Chiesa, ma riteniamo che fonderci con voi in un’unica entità ecclesiale sia ancora impossibile. Siamo anche in disaccordo con le argomentazioni storiche avanzate per fondare la vostra canonicità. Il decreto del Patriarca Tikhon del 1920 riguardava i vescovi che si trovano sul territorio della Russia. Per dirigere le Chiese russe in Europa occidentale il Patriarca nominò il Metropolita Evlogij, ed eliminò il sinodo all’Estero. Tutto quanto è stato appena detto non deve impedirci di cercare di avvicinarci a voi nel servizio del Cristo e della sua Chiesa. Ma, naturalmente, è indispensabile che la Chiesa all’Estero cessi definitivamente di provare a strapparci le nostre parrocchie (Copenaghen, Bad Ems, ecc.), e di lanciare minacce e divieti al nostro contro. Se ciò si sistemasse, potremmo allora risolvere insieme, in uno spirito amicale, un certo numero di questioni per il bene della Chiesa ortodossa.
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