Ho avuto negli anni l’occasione di parlare del monachesimo in diversi incontri con persone di ogni estrazione sociale e culturale; ho trovato quasi sempre un grande interesse “intellettuale” rispetto all’argomento, che per molti laici emana comunque un certo fascino, ma poi, dopo una riflessione più “pratica” molte di queste persone mi hanno posto la stessa domanda: Ma che senso ha oggi il monachesimo? Che cosa spinge una persona nel ventesimo secolo a professare i voti monastici? Non è in fondo un anacronismo?
Queste domande sono state materiale per una riflessione, partendo innanzitutto da una considerazione di fondo: la profonda mancanza di conoscenza del monachesimo e della spiritualità cristiana. Il passo successivo è stato rendermi conto che tutte queste persone avevano una caratteristica comune: una insoddisfazione di fondo come costante della loro vita, malgrado gli impegni familiari, sociali e culturali “riempissero” la loro esistenza.
All’uomo contemporaneo, perennemente alla ricerca di “qualcosa” che dia senso alla sua vita e tormentato da un latente senso di insoddisfazione di fronte alla falsa libertà ed agli pseudo-valori che gli vengono proposti dalla cultura contemporanea, l’esperienza spirituale monastica può dare un messaggio di speranza e di vera libertà?
Nel mondo moderno la parola “monaco” suona strana, è spesso usata con tono di scherno, anche da gente colta, per dileggiare qualcuno; sovente si raccontano storielle piccanti che hanno il monaco come protagonista. Invece vi sono molti monaci umili e mansueti, assetati di solitudine, di silenzio e di preghiera; ma di questi monaci le persone preferiscono non parlare, forse per timore che si sveli loro in tutta la sua profondità la vera essenza del monachesimo e l’insegnamento che tale realtà può dare al mondo.
Gli uomini resterebbero profondamente meravigliati se scoprissero che questi monaci umili, mansueti, assetati di solitudine e di preghiera sono in realtà i custodi dell’autentica spiritualità cristiana. Il monaco contrappone alla ricerca schizofrenica della libertà attraverso i modelli consumistici e materialistici imposti dal mondo - che abbrutisce e deforma l’autentico volto umano - il duro, difficile e paziente cammino indicato dal monachesimo, l’unico cammino che conduce alla libertà dello spirito e alla gioia interiore.
La strada del monaco è obbedienza, digiuno e preghiera, caratteristiche di cui sovente si ride, ma che rimane la sola strada che porti alla effettiva vera libertà. Il monachesimo oppone alla solitudine angosciosa degli uomini - in preda ad un delirio di libertà impazzita - la solitudine consapevole e profondamente ricca del monaco. Possiamo dire che il monaco educa nel silenzio. Compito estremamente difficile la cui capacità viene acquisita da quel monaco che, attraverso un lungo cammino spirituale illuminato dalla preghiera, ha raggiunto la pace in Cristo; la sua intensa vita interiore lo riempie dei doni dello Spirito Santo.
Il tratto dominante del monaco deve essere la compassione, la dolcezza, la tenerezza che rende simile questo monaco al Cristo che soffre per gli altri. In questa capacità di chinarsi sulle sofferenze dell’uomo e di coglierlo nella sua difficile situazione esistenziale, scopriamo un primo messaggio per l’uomo d’oggi che vuole vivere le esigenze evangeliche: il primato della carità e dell’amore fraterno nella vita cristiana.
Il monaco educa la gente ad un umile e paziente amore del prossimo, attraverso il quale si giunge a un autentico amore del Cristo. Nil Sorskij descrive tutta la delicatezza dell’amore cristiano in queste parole: “Considera ogni fratello come un santo. Se dovete parlare, fare una domanda o rispondere a qualcuno, fatelo con un tono delicato e con parole piene di amorevolezza, che facciano percepire l’amore spirituale e una vera umiltà, e non con parole qualsiasi o un linguaggio superficiale. Non offendete nessuno... Non giudicate nessuno, chiunque sia, anche se i suoi atti sembrano malvagi, ma considerate voi stessi come peccatori e perfettamente inutili”[1]. Solamente così è possibile raggiungere ed accogliere la misericordia di Dio e darne testimonianza. Questo è il cammino indicato dal monaco ad ogni cristiano e necessario per raggiungere la salvezza.
La carità, che rende il monaco compassionevole di fronte alle sofferenze, alle angosce, alle difficoltà degli uomini, diventa mediazione del giudizio di Dio sulle contraddizioni della società, radicate nel cuore di ogni uomo. Da qui deriva il messaggio che il monachesimo può comunicare al mondo d’oggi: il primato della dimensione spirituale nell’esperienza cristiana.
Nel mondo che brucia nell’agitazione e nella trepidazione, il monaco proclama i benefici della solitudine, della calma e del silenzio; in una società che non apprezza altro che ricchezze, beni di consumo, piaceri effimeri e mille "cose da fare", le parole del monaco ricordano con vigore le beatitudini evangeliche. In un ambiente materialista e superficiale, la voce del monaco è un appello alla spiritualità e all’interiorità; l’austerità monastica è una sfida ai comforts e alla facilità che regna dappertutto; l’apparente inutilità del monaco fa riflettere gli uomini di oggi, così impregnati di produttività e di redditività; ma soprattutto, la semplicità e l’autenticità del monaco confondono tutte le complicazioni, gli artifici e le falsità della nostra pretesa civiltà.
Il servizio che il monaco esercita è essenzialmente di carattere spirituale, che punta non tanto sulle strutture, ma sulla vita interiore dell’uomo per educarlo all’ascolto dello Spirito ed all’osservanza dei comandamenti evangelici. Esso non agisce direttamente sul corso degli avvenimenti e non mira a trasformare le strutture sociali alla luce di un sistema di morale cristiana; il servizio del monaco è di dare all’esigenza evangelica della conversione il suo carattere assoluto, senza comprometterne l’integrità, adattandolo al livello spirituale e morale di una società ormai preda, nonostante il suo battesimo, della cupidigia demoniaca.
In poche parole, il monaco testimonia che, per una reale vita cristiana, è necessario puntare sul cuore dell’uomo, alla ricerca del fondo dell’anima umana. Solo in un cuore purificato attraverso un faticoso lavoro di distacco dalle cose del mondo e dalle sue ansie spariscono le angosce interiori e si accede alla gioia infinita dell’amore universale di Dio.
È scritto nella Filocalia: “Colui che ha rinunciato alle cose materiali ha fatto monaco l’uomo esteriore ma non ancora l’uomo interiore; chi invece ha rinunciato ai pensieri passionali di questo, cioè dell’intelletto, questi è il vero monaco. Facilmente uno fa monaco l’uomo esteriore, se vuole, ma non è piccola lotta fare monaco l’uomo interiore”.[2] Il cammino che rende “monaco” l’uomo interiore, passa attraverso la preghiera, il mezzo con cui lo Spirito trasforma il cuore.
San Serafino di Sarov così esorta: “Tutti hanno sempre la possibilità di pregare. ... La preghiera più di ogni altra cosa ci dona la grazia dello Spirito di Dio e più di ogni altra cosa essa è sempre alla nostra portata. Beati noi quando Dio ci troverà vigilanti, nella pienezza dei doni dello Spirito Santo”. È chiaro che al cammino indicato da San Serafino fanno riferimento sia la vocazione del monaco sia quella del laico. “Quanto alle nostre condizioni diverse di monaco e di laico, non preoccuparti - continua San Serafino - Dio cerca anzitutto un cuore pieno di fede in lui e nel suo Figlio unigenito, ed è in risposta a questa fede che manda dall’alto la grazia dello Spirito Santo. Il Signore ricerca un cuore ricolmo d’amore per lui e per il prossimo: è questo il trono su cui ama sedersi e manifestarsi nella pienezza della sua gloria... Il Signore ascolta sia un monaco che un uomo di mondo, un semplice cristiano, a condizione che essi amino Dio nel profondo del cuore e abbiano una fede autentica, una fede grande come un granellino di senapa: entrambi saranno in grado di sollevare montagne”[3].
Effettivamente molte persone pensano, sbagliando, che il monaco abbia la “certezza del Paradiso” o comunque che possa acquisire maggiori meriti durante la sua vita sulla terra da poter portare in “dote” davanti al Tribunale di Cristo. La realtà può essere ben diversa; non è un luogo che adorna l’uomo, ma il contrario. Non è il monastero che salva l’uomo, ma le opere buone che l’uomo compie fino al termine della sua vita; basta leggerne le prove nella Sacra Scrittura: Adamo viveva nel Paradiso, ma peccò, mentre Lot trovò la salvezza anche in Sodoma. Non tutti coloro che vivono in monastero si salveranno, come neppure tutti coloro che vivono nel mondo bruceranno nelle fiamme eterne.
Alla luce di queste considerazioni possiamo scoprire un ulteriore messaggio del monachesimo diretto ad ogni credente. Il richiamo alla conversione del cuore, all’interiorità, alle esigenze evangeliche presenti nel monachesimo, apre la via anche a coloro che vivono nel mondo, come modo concreto di realizzare il sacerdozio regale dei laici. La condizione spirituale odierna è purtroppo ben misera, l’uomo moderno dimentica volentieri la sua condizione di creatura destinata alla salvezza attraverso l’obbedienza alla legge divina e preferisce annebbiare la sua mente e il suo spirito davanti alla televisione o in frivolezze mondane, accumulando beni in terra “dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano”[4] e facendo un ben misero esercizio della libertà e dell’intelligenza concesse da Dio alla sua creatura. Il risultato? L’uomo è preso da un delirio di onnipotenza, accecato da un razionalismo schizofrenico che lo porta da un lato a voler superare i limiti dell’umano e dall’altro ad attribuire alla “fatalità” i propri insuccessi! Salvo entrare in una crisi profonda al pensiero della morte e dell’aldilà, nel momento in cui la morte gli si pone davanti.
Ecco, oggi più che mai il monaco, con il suo silenzio, con la sua pazienza, con la sua umiltà e con la sua preghiera, può indicare a tutti il cammino per il ritorno ad una vita più spirituale, alla vita cristiana, alla riscoperta di Dio e a non temere la morte. Il monaco può insegnare il perché l’uomo non deve temere la morte ad un mondo che considera la morte come un male oggi ancora incurabile.
NOTE:
[1]In G. A. Maloney: “La spiritualité de Nil Sorskij. L’hésychasme russe”.
[2]Esichio Presbitero, cent. 70, PG 93
[3]In I. Gorainoff “Serafino di Sarov. Vita, colloquio con Motovilov, scritti spirituali”.
[4]Mt. 6, 19
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