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venerdì 28 giugno 2013

Cenni di storia dell’Ortodossia

Dell’Archimandrita Placide Deseille

La Chiesa indivisa del primo millennio

I primi tre secoli della Chiesa sono stati contrassegnati da fatti importanti: la notevole espansione del cristianesimo nell’Impero romano, e la feroce persecuzione dei cristiani in determinati periodi, fino alla proclamazione dell’Editto di Milano nell’anno 313.

Gli apostoli e i loro primi successori fondarono molte chiese nelle città principali dell’Impero romano. In ogni città c’era una comunità cristiana di base, presieduta da un vescovo che, nominato originariamente dagli apostoli, era aiutato da presbiteri e diaconi. Questo tipo di organizzazione dal triplo ministero già verso la fine del I secolo era ben consolidato; se ne fa menzione nelle lettere scritte verso il 107 da Sant’Ignazio, vescovo di Antiochia, mentre si recava a Roma dove sarebbe stato martirizzato. Sant’Ignazio fu il primo ad esprimere chiaramente che la comunità cristiana locale è Chiesa, idea che rimane il cuore della concezione ortodossa della Chiesa.

La preoccupazione principale dei cristiani, durante questo primo periodo, era innanzitutto la celebrazione della fede e la testimonianza di questa fede in un ambiente sovente ostile. I primi discorsi esplicativi della fede cristiana sono stati scritti a partire dal II secolo – sono quelli di Ireneo di Lione, di Giustino, di Clemente di Alessandria, di Origene, di Tertulliano, scritti spesso per necessità di spiegare la fede di fronte al paganesimo e ai filosofi ellenisti all’esterno della Chiesa, e di precisarla di fronte agli insegnamenti erronei che la minacciavano dall’interno. Ma dopo l’Editto di Milano dell’Imperatore Costantino, nell’anno 313, le grandi controversie dottrinali hanno scosso e per secoli la Chiesa. Come notato, accennando alle principali dottrine elaborate dai sette Concili ecumenici, la Chiesa ha conservato “la vera fede” ponendo e difendendo i dogmi necessari alla fede. Ciò però non è avvenuto senza problemi, perché certe parti della Chiesa non hanno accettato tutte le decisioni dei Concili.

La prima frattura importante della Chiesa è avvenuta tra il IV e il V secolo, a seguito delle controversie cristologiche. La Chiesa di Persia divenne nestoriana e fu rotta la comunione tra le Chiese “calcedonensi” (Roma e Bisanzio) – che accettarono le decisioni del Concilio di Calcedonia nel 451 – e le Chiese “non (o pre-) calcedoniche”: le Chiese di Armenia, di Siria (la Chiesa giacobita), di Egitto (la Chiesa copta), di Etiopia e dell’India.

Nei primi secoli, il Cristianesimo, universale nella sua missione, si espresse in tre culture maggiori: semitica o “orientale”, greca e latina. La prima grande scissione della Chiesa spaccò quasi completamente i Semiti e gli altri Orientali, lasciando i Greci e i Latini. In questo periodo, Greci e Latini formavano una sola Chiesa, testimoniando nelle loro rispettive sfere il messaggio evangelico e lottando contro le eresie – la maggior parte delle quali sono sorte nel mondo greco, fortemente influenzato dai filosofi ellenisti. È notevole, ad esempio, che i papi di Roma, nella lunga e talora sanguinosa disputa delle icone che non toccava affatto l’Occidente, abbiano sostenuto la dottrina ortodossa.

Nel primo millennio dell’era cristiana, la Chiesa intera era essenzialmente “ortodossa”. Certamente c’erano importanti differenze tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente, ma per lunghi secoli furono in comunione. La concezione ortodossa della struttura della Chiesa, fondata sui vescovi in quanto capi delle chiese locali, era, e rimane, una collegialità delle teste delle cinque Chiese principali: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, la “pentarchia” il cui ordine di precedenza rifletteva l’importanza delle Chiese. In pratica, le Chiese erano molto autonome le une di fronte alle altre, ma la Chiesa di Roma, per ragioni insieme politiche ed ecclesiali, consolidò poco a poco la sua autorità sulla Chiesa d’Occidente, affermando la supremazia del papa, in quanto vescovo di Roma e successore di San Pietro, a scapito dell’autorità e dell’autonomia dei vescovi in Occidente.

Lo scisma tra Oriente e Occidente

Alle differenze linguistiche, politiche e sociali delle parti orientale e occidentale del vecchio Impero romano vennero ad aggiungersi differenze teologiche ed ecclesiali. Le ragioni profonde della separazione delle due parti di Chiesa, le sole che ne spiegano la durata, sono propriamente religiose. Innanzitutto la questione della processione dello Spirito Santo, il Filioque. Tuttavia, la causa principale dello scisma fu di fatto la questione dell’autorità del papa. I papi dell’epoca (IX e X secolo) tentarono di trasformare un primato d’onore, una “presidenza d’amore” in seno alle Chiese locali, in un potere giuridico diretto su tutte le Chiese, nonostante i diritti tradizionali dei vescovi e dei patriarchi delle altre Chiese. Nel secolo XI, la riforma gregoriana, con l’intento di liberare il papato dagli imperatori franchi e la Chiesa dai feudatari, volle sottomettere direttamente al papa non solamente i vescovi, ma anche i re – e in quel contesto rivendicò l’infallibilità del sovrano pontefice, dottrina occidentale che sarà elevata a dogma dal Concilio Vaticano I nel 1870.

Nel 1054, una delegazione del Papa Leone IX, mandata a Costantinopoli per negoziare un’alleanza politica ed una unione delle Chiese, depose sull’altare di Santa Sofia, la Chiesa imperiale di Costantinopoli, una sentenza di scomunica del Patriarca Michele Cerulario, il quale a sua volta scomunicò il Papa. Le reciproche scomuniche saranno tolte soltanto nel 1965 dal Papa Paolo VI e dal Patriarca Atenagora I, durante uno storico incontro a Gerusalemme.

L’irreparabile era stato consumato nel 1204: la IV crociata, deviata dalla Terra Santa per ragioni commerciali e politiche dai Veneziani, si diresse su Costantinopoli; la città fu saccheggiata, le icone e le reliquie furono profanate o rubate, sul trono patriarcale fu piazzata una prostituta, un Veneziano fu nominato Patriarca di Costantinopoli e un Latino divenne imperatore di Bisanzio. Nel 1261 gli imperatori latini furono allontanati da Bisanzio, che ridivenne Impero bizantino, erede della civiltà greca e guardiano della fede ortodossa. Quell’ingerenza latina nell’Impero bizantino, però, gli diede un colpo mortale, ed esso lentamente crollò di fronte al potere sempre più grande dei musulmani turchi venuti dall’Asia.

L’Ortodossia dopo lo scisma

Già nel IX e X secolo, Bisanzio fu missionario in Europa orientale, dal Caucaso ai Carpazi e sino al circolo polare. I santi Cirillo e Metodio tradussero la Bibbia e la liturgia in slavo per i Moravi, dando ai popoli slavi una lingua scritta, che costituisce ancora oggi la lingua liturgica di parecchi popoli slavi. I Bulgari e i Serbi furono battezzati nel IX secolo e i Russi del principato di Kiev nell’anno 988 . Bisanzio organizzò le nuove Chiese in metropoli ampiamente decentralizzate, ma il loro vescovo principale o metropolita viene consacrato dal patriarca di Costantinopoli.

Con la distruzione della Rus-Kiev ad opera dei Mongoli ed il ripiegamento delle popolazioni nelle foreste del nord-est, la Chiesa russa divenne la guardiana dell’anima nazionale. Nel XIV secolo, san Sergio di Radonesh restaurò il monachesimo in uno spirito di servizio evangelico. I monasteri si moltiplicarono, ciascuno divenne un centro di cultura cristiana e l’iconografia ortodossa conobbe uno dei suoi apogei, in particolare nel XVI secolo, con i grandi centri di Novgorod, Mosca e Puskov.

La Chiesa russa a sua volta divenne missionaria, convertendo molti Mongoli e le tribù finniche del Nord. I missionari ortodossi raggiunsero Pechino nel 1714, poi, alla fine del XVIII secolo, le Isole Aleutine e l’Alaska – origine dell’Ortodossia nell’America del Nord. Dal XIII secolo, per ragioni politiche, al fine di ottenere dall’Occidente aiuto militare contro il potere turco che minacciava l’Impero, gli imperatori bizantini cercarono di riavvicinarsi a Roma. Fu in tale contesto che, nei Concili di Lione (1274) e di Ferrara-Firenze (1438-39), i rappresentanti ortodossi, spinti dall’imperatore, capitolarono di fronte alle pretese romane riguardo all’autorità del papa e al filioque. Ma le conclusioni di quei Concili furono respinte dal popolo e dal clero, che rimasero fedeli alla fede ortodossa.

Nel 1453 i Turchi s’impadronirono di Costantinopoli, fu la fine dell’Impero bizantino e la Russia divenne il baluardo dell’Ortodossia. Sotto l’Impero ottomano, la Chiesa fu ora perseguitata e ora tollerata; i quattro patriarcati tradizionali di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, ebbero per secoli un’esistenza precaria. Nello stesso tempo però, i grandi centri di spiritualità ortodossa, in particolare i monasteri di Santa Caterina sul Sinai e quelli del “Santo Monte”, il Monte Athos in Grecia, continuarono a splendere anche sotto la dominazione musulmana.

La Grecia fu liberata dal giogo ottomano nel 1832, la Bulgaria e la Serbia nel 1878 e le loro Chiese divennero autocefale. Nel XX secolo, la Chiesa di Grecia conosce una vera rinascita spirituale, con movimenti religiosi come Zoè e Soter ed eminenti teologi, quali Christos Yannaras, Panayotis Nellas e Giovanni Zizoulias.

Dal Santo Monte è partito quello che si chiama il “rinnovamento filocalico” della spiritualità ortodossa nel XIX e XX secolo. Nel 1782 un monaco del Monte Athos, san Nicodemo l’Agiorita, e il vescovo di Corinto Macario, pubblicano a Venezia una monumentale Filocalia (“amore della bellezza”), un florilegio di testi spirituali nella grande tradizione esicasta risalente ai Padri del Deserto del IV e V secolo, passando attraverso i grandi spirituali della Chiesa d’Oriente fino al XIV secolo. Tradotta da un monaco ucraino stabilitosi in Moldavia, san Paissi Velitchkovsky, la Philocalia slava, poi russa, diventa la fonte della rinascita spirituale della Chiesa russa nel XIX secolo. Questa rinascita attinge le sue radici nell’esicasmo, segnatamente la preghiera di Gesù, e raggiunge il suo apogeo in personaggi come san Séraphim di Sarov e i santi startsy del monastero di Optino. Questo rinnovamento filocalico è l’ispirazione del famoso “pellegrino russo” e continua ad influenzare non soltanto il mondo ortodosso, ma anche l’Occidente.

Nel XX secolo, dopo la rivoluzione bolscevica, tutta la violenza dell’ateismo e del materialismo moderni si è rovesciata sulla Chiesa russa, poi a partire dal 1945 sulle Chiese ortodosse di parecchi paesi dell’Europa dell’Est. Dal 1918 al 1941, la Chiesa Russa ha subito una delle persecuzioni più terribili che il mondo cristiano abbia conosciuto, con martiri a dozzine se non addirittura a centinaia di migliaia. La maggior parte delle chiese, i monasteri e i seminari furono chiusi, fu vietata ogni forma di catechesi, nel 1925 fu sospeso il patriarcato ed una buona parte della gerarchia si sottomise allo stato comunista. Durante la seconda guerra mondiale, Stalin “normalizzò” le relazioni con la Chiesa, molte chiese furono riaperte, ed anche monasteri, seminari e accademie di teologia. Un nuovo periodo di persecuzione, non sanguinosa ma asfissiante, si abbatté sulla Chiesa tra il 1960 e il 1964 e poi ancora tra il 1979 e il 1985. Soltanto con la caduta del regime comunista, mentre era al potere Gorbaciov, alla fine degli anni ottanta, la Chiesa russa è uscita dall’ombra in cui era vissuta per 70 anni.

L’incontro dell’Ortodossia con l’Occidente

Rimaste isolate per molto tempo dai movimenti religiosi dell’ Occidente – lo scisma occidentale della Riforma fu considerato a lungo come questione che non le riguardasse – solo a cominciare dagli anni cinquanta le Chiese ortodosse si sono aggiunte alla globalizzazione delle discussioni religiose. La presenza di numerose comunità ortodosse in Occidente, il formarsi del Consiglio ecumenico delle Chiese nel 1948, lo svolgimento del Concilio Vaticano II nel 1964-68, il ripristino della libertà religiosa nei vecchi paesi comunisti, per il mondo ortodosso sono state altrettante occasioni per prendere coscienza di sé e definirsi di fronte alle altre confessioni cristiane. Le principali Chiese ortodosse per esempio hanno partecipato al Consiglio ecumenico delle Chiese, pur avendo delle riserve riguardo alle tendenze spirituali e sociali – riserve che recentemente hanno obbligato alcune Chiese a rivedere la propria adesione al Consiglio ecumenico.

Uno dei grandi avvenimenti spirituali del XX secolo è stato l’incontro dell’Ortodossia con l’Occidente, grazie soprattutto alla presenza in Occidente della diaspora ortodossa, ucraina, russa e greca soprattutto, ma anche rumena, serba ed araba. Già alla fine del XIX secolo c’era in Europa occidentale e in America settentrionale un’importante presenza di immigrati ortodossi. La prima guerra mondiale scatenò l’arrivo massiccio di rifugiati greci cacciati dalla Turchia. A partire dal 1920 dilagarono ondate di emigrati russi, cacciati dalla patria a causa della rivoluzione bolscevica. Fra questi, l’élite dell’intellighenzia russa si stabilì principalmente in Francia. L’indomani della seconda guerra mondiale, ad una seconda ondata di emigrati russi si aggiunsero Rumeni, Bulgari e Serbi. Dopo la crisi libanese, molti arabi cristiani provenienti dal Libano e dalla Siria sono stabiliti in Europa ed in America del Nord. Ai nostri giorni, una terza ondata di immigrazione russa, a seguito del crollo dell’Unione Sovietica, sta aumentando nei paesi occidentali la presenza di popolazioni venute dalla tradizione ortodossa.

Gli immigrati dei paesi di tradizione ortodossa portano con loro non solo la fede e la pratica ortodosse, ma anche le loro Chiese nazionali, che si trovano impiantate nei paesi di accoglienza. Importanti scuole teologiche sono state fondate, in particolare a Parigi, l’Istituto di teologia San Sergio, e a New-York, il Seminario San Vladimiro. Fra i rappresentanti eminenti della “scuola di Parigi” figurano i teologi Vladimir Lossky, Georges Florovsky, Léonide Ouspensky, Paul Evdokimov, Jean Meyendorff e Alexandre Schmemann. Questi ultimi due si sono stabiliti a New-York nel Seminario San Vladimiro.

Alla fine degli anni venti appaiono alcune “Ortodossie occidentali”, parrocchie che utilizzano come lingue liturgiche le lingue occidentali. Esse sono scaturite sia dall’ insediamento progressivo degli immigrati e dei loro discendenti nei paesi di accoglienza e sia dalla conversione di Occidentali “di matrice”. La prima liturgia celebrata in francese risale al 1927 e la prima parrocchia francofona fu fondata a Parigi nel 1928. Così si sono formate parrocchie e diocesi che utilizzano il francese, l’inglese, il tedesco etc. come lingue liturgiche. La maggior parte di queste diocesi restano sotto la giurisdizione dei Patriarcati e delle Chiese da dove sono venute (Costantinopoli, Antiochia, Romania, Serbia …).

Nel 1970, tuttavia, il Patriarcato di Mosca ha accordato l’autocefalia alle sue diocesi di America del Nord, che sono divenute Chiesa Ortodossa d’America. La presenza delle popolazioni di immigrati di tradizione ortodossa in Occidente consente da più di un secolo un contatto vero tra le due grandi tradizioni del cristianesimo. I cristiani occidentali possono scoprire le tradizioni spirituali accuratamente trasmesse ed arricchite per secoli nella Chiesa ortodossa, la Liturgia bizantina, le icone, la spiritualità esicasta, la preghiera di Gesù, ed una teologia rimasta fedele agli insegnamenti dei Padri e dei Concili ecumenici.

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