Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

giovedì 25 luglio 2013

Il peccato: La malattia dei membri del Corpo di Cristo e la loro guarigione

Tratto e adattato da “Dieu est Vivant” Ed. Cerf

Il mistero del pentimento

La più grave malattia che possa subire un corpo è quella che colpisce la testa o il cuore. Se il cervello non manda più gli impulsi nervosi, tutto è paralizzato. Se dal cuore non viene più sangue, è la cancrena. Allo stesso modo, se un membro del Corpo di Cristo non sente più la volontà del suo Signore, non sa più che cosa fare, come agire: per lui la vita non ha più senso. E se non riceve più la corrente di vita e d'amore dallo Spirito Santo, egli si corrompe; la sua personalità si disgrega; al limite, è la follia.

Questa separazione fra l'uomo e Dio si chiama peccato. Il rimedio, la guarigione, viene da Cristo, “medico delle nostre anime e dei nostri corpi”. Quando, per la potenza dello Spirito Santo e il mistero della Chiesa, la mano guaritrice di Cristo si posa sull'uomo che si rivolge a lui implorando la misericordia del Padre, il peccatore perdonato e guarito viene reintegrato nella vita del Corpo: è il mistero del pentimento.

Il peccato nell'Antico Testamento: il peccato del re Davide

Nel 1010 a.C. Davide, che alcuni anni prima aveva ricevuto l'unzione regale dalle mani del profeta Samuele, era stato riconosciuto re di Giuda e di Israele: aveva trent'anni e regnò per altri quaranta (2 Sam 5, 4). Conquistò Gerusalemme, che viene chiamata “città di Davide”. Il Signore lo protesse, ed egli vinse parecchie guerre. Durante la guerra contro gli Ammoniti, a capo dell'esercito mandò Ioab, ed egli rimase a Gerusalemme. Una sera, dopo aver riposato, si mise a passeggiare sul terrazzo della reggia. “Di lassù vide una donna che faceva il bagno. Era bellissima” (2 Sam 11, 2). Ne fu sconvolto e s'informò chi fosse: “Seppe che era Betsabea, figlia di Eliam, moglie di Uria l'Ittita” che era alla guerra con Ioab.

Davide s'invaghì di Betsabea, commise adulterio con lei e fece morire il marito. Allora il Signore gli mandò il profeta Natan. Questi si presentò al re e gli disse: “In una città vivevano due uomini, uno ricco e l'altro povero. Il ricco aveva pecore e buoi in quantità. Il povero aveva soltanto una pecorella che aveva comprato e allevato con cura. La pecorella era cresciuta in casa insieme con lui e con i suoi figli. Egli le dava bocconi del suo pane, la faceva bere alla sua tazza, la teneva a dormire accanto a sé. Per lui era come una figlia. Un giorno, un ospite di passaggio giunse in casa dell'uomo ricco. Per preparargli il pranzo egli si guardò bene dal prendere una delle sue pecore o dei suoi buoi. Portò via la pecorella del povero e la cucinò per l'ospite”.

A questo racconto, Davide andò su tutte le furie. Disse a Natan: “Giuro per il Signore che quell'uomo meriterebbe la morte. Ha agito senza alcuna pietà: pagherà quattro volte tanto la pecora che ha rubato”. Natan replicò: “Quell'uomo sei tu! Il Signore Dio di Israele ti ha dato ogni cosa. Perché hai disubbidito al suo comandamento e hai fatto il male in sua presenza? Hai fatto morire Uria l'Ittita per mano degli Ammoniti e gli hai preso la moglie per farla tua sposa. D'ora in avanti la spada non si allontanerà più dalla tua casa”. Davide disse a Natan: “Ho peccato contro il Signore!”.

Il pentimento di Davide

Davide manifestò il suo pentimento col salmo 50 (51 nella numerazione ebraica), chiamato abitualmente il “Miserere”, perché comincia con le parole: “Pietà di me”, in latino miserere. Anche oggi la Chiesa esprime il pentimento dei peccatori con questo salmo ed è bene recitarlo quando chiediamo perdono a Dio:

Pietà di me, o Dio, nel tuo grande amore; nella tua misericordia cancella il mio errore.
Lavami da ogni mia colpa, purificami dal mio peccato.
Sono colpevole e lo riconosco, il mio peccato è sempre davanti a me.
Contro te, e te solo, ho peccato; ho agito contro la tua volontà.
Quando condanni, tu sei giusto, le tue sentenze sono limpide.
Fin dalla nascita sono nella colpa, peccatore mi ha concepito mia madre.
Ma tu vuoi trovare dentro di me verità, nel profondo del cuore mi insegni la sapienza.
Purificami dal peccato e sarò puro. Lavami e sarò più bianco della neve.
Fa' che ritrovi la gioia della festa, si rallegri quest'uomo che hai schiacciato.
Togli lo sguardo dai miei peccati, cancella ogni mia colpa.
Crea in me, o Dio, un cuore puro; dammi uno spirito rinnovato e santo.
Non respingermi lontano da te, non privarmi del tuo spirito santo.
Ridonami la gioia di chi è salvato, mi sostenga il tuo spirito generoso.
Ai peccatori mostrerò le tue vie e i malvagi torneranno a te.
Liberami dal castigo della morte, mio Dio, e canterò la tua giustizia, mio Salvatore.
Signore, apri le mie labbra e la mia bocca canterà la tua lode.
Se ti offro un sacrificio, tu non lo gradisci; se ti presento un'offerta, tu non l'accogli.
Vero sacrificio è lo spirito pentito: tu non respingi, o Dio, un cuore abbattuto e umiliato.
Dona il tuo amore e il tuo aiuto a Sion, rialza le mura di Gerusalemme.
Allora gradirai i sacrifici prescritti, le offerte interamente consumate:
giovenchi saranno immolati sul tuo altare.

Il perdono di Davide

Natan disse a Davide: “Il Signore sarà indulgente con il tuo peccato. Tu non morirai; tuttavia, poiché hai offeso gravemente il Signore, il bambino che ti è nato morirà”. Effettivamente, dopo una settimana il bambino morì. “Davide confortò sua moglie Betsabea. Si unì a lei ed ebbe un altro figlio che chiamò Salomone. Il Signore amò il bambino”. Così nacque il grande re Salomone.

Il pentimento nel Nuovo Testamento: Il figlio prodigo (Lc 15,11-32)

Un padre aveva due figli. Un giorno, il più giovane vuole abbandonare la casa del padre e chiede la sua parte di eredità. Il padre gliela dà e il figlio se ne va lontano, in terra straniera. Siccome è ricco, è subito circondato da falsi amici interessati che non lo lasciano finché non ha dissipato tutto ciò che possiede in loro compagnia e con donne di malaffare. Alla fine, e proprio quando capita una grande carestia, si ritrova senza nulla. Per sopravvivere si mette al servizio di un abitante del luogo, che lo manda nei suoi campi a fare il guardiano dei maiali, dei quali condivide anche il cibo: arriva così al fondo della degradazione. Ma a questo punto ritrova la coscienza: riflette sulla sua condizione e pensa che potrebbe sfamarsi in casa del padre dove i dipendenti sono trattati meglio di quanto lo sia lui in quel momento. Perciò lascia tutto, si incammina verso la casa del padre per chiedere di esservi assunto come operaio. Il padre lo vede da lontano e gli corre incontro: “Padre - gli dice il figlio - ho peccato contro Dio e contro te”. Il padre non lo lascia nemmeno finire e se lo stringe fra le braccia accogliendolo come figlio. Colmo di gioia, ordina ai servi di imbandire un banchetto e di ammazzare il vitello grasso. Rientrando dai campi, il figlio maggiore sente suoni e danze e chiede che cosa succede. Quando viene a sapere che si tratta del fratello vagabondo ritornato a casa, si sente offeso perché trova ingiusta tutta quella festa. Lui non ha mai avuto niente, eppure è sempre rimasto fedelmente accanto al padre. Allora il padre gli dice: “Figlio mio, tu stai sempre con me e tutto ciò che è mio è anche tuo. lo non potevo non essere contento e non far festa, perché questo tuo fratello era per me come morto e ora è tornato in vita, era perduto e ora l'ho ritrovato”.

I significati della parabola sono molti. Nella Genesi si parla della caduta di Adamo e di quanto questa sia stata grave. La parabola del figlio prodigo ci presenta lo stesso dramma. Con una differenza: Cristo mette l'accento sulla festa che segue al pentimento del figlio. La storia del figlio prodigo è la storia di ogni uomo che vive sulla terra. Noi siamo fatti in modo strano: apprezziamo soltanto ciò che ci manca. Un figlio che abbia i genitori e viva felice non si rende conto della propria felicità. Soltanto quando la perde capisce ciò che ha perduto. Quando nasciamo, questo mondo ci attira. Quando cresciamo, il profumo inebriante che proviene dal mondo spesso ci fa girare la testa: vogliamo toccarlo con mano, questo mondo. E pur amando Dio, lo abbandoniamo per vivere la nostra vita, come presto o tardi abbandoneremo i nostri genitori terreni. Ce ne andiamo lontano e passo dopo passo, travolti quasi da un vortice, dimentichiamo Colui che ci ama sopra ogni cosa e che ci è più vicino di tutti, che portiamo dentro di noi.

Dov'è il castigo? L'abbiamo già subìto lontani da lui. Ci siamo già castigati da soli! E al nostro piccolo movimento quale risposta, quale festa! Appena ci intravede, ci attira a sé, sino al punto di far dispiacere al primogenito. Ai nostri occhi pare che questi abbia ragione ma la sua è soltanto gelosia e non disinteresse, perché si aspetta una ricompensa per ciò che ritiene i suoi meriti. Anche noi possiamo assomigliargli, anche se apparentemente non abbandoniamo mai la casa del Padre. Il primogenito non si era mai aperto alla generosità e alla mansuetudine del padre, eppure “Dio è amore” e “chi ama tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, mai perde la speranza” (1 Cor 13, 7).

La guarigione del paralitico di Cafarnao

Un giorno Gesù si era messo a insegnare in una casa, davanti a molte persone, fra le quali c'erano dei farisei (membri di una setta di Giudei che si distinguevano per un'osservanza minuziosa delle regole della Legge mosaica), e degli scribi (maestri della Legge). Erano persone colte, orgogliose e spesso ipocrite, disposte a difendere la lettera della Legge più che ad accogliere il lieto messaggio del Regno di Dio e della sua grazia. Come accadeva sempre quando parlava, la gente era accorsa numerosa per ascoltarlo e farsi guarire, per cui non c'era più posto nemmeno davanti alla porta.

Ed ecco arrivarono quattro uomini portando su una barella un uomo paralizzato. Cercarono di entrare per metterlo davanti a Gesù, ma non riuscirono ad aprirsi un passaggio. Non si scoraggiarono. Salirono sulla terrazza che formava il tetto della casa, ne scoperchiarono un pezzo e attraverso il foro riuscirono a far scendere la barella in mezzo alla gente che si trovava attorno a Gesù. Va detto che le case di quei luoghi sono costruite con materiali leggeri e che i tetti assomigliano a brande che si possono trasportare facilmente.
Gesù, “quando vide la fede di quelle persone” - racconta il Vangelo (Mt 9, 1-8; Mc 2, 1-12 Lc 5, 17-26), disse al paralitico: “Coraggio, figlio mio, i tuoi peccati sono perdonati”. Osserviamo che Gesù non dice: “Sei guarito”, ma: “I tuoi peccati sono perdonati”. Gesù infatti è colui che guarisce l'uomo tutto intero. Il suo potere è insieme perdono e guarigione d'ogni male e le due cose non possono essere separate.

Rendendosi poi conto che i farisei e i maestri della Legge pensavano: “Chi è costui? ... Chi può perdonare i peccati? Dio solo può farlo!”. Gesù disse loro: “È più facile dire: "1 tuoi peccati sono perdonati", o dire: "Alzati e cammina?". Ebbene, io vi farò vedere che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati”. Rivoltosi al paralitico gli disse: “Alzati, prendi la tua barella e torna a casa”. “Immediatamente quell'uomo si alzò, prese la barella sulla quale era sdraiato e se ne andò a casa sua ringraziando Dio”.

A parte la guarigione propriamente detta del paralitico e la lezione data ai farisei, va sottolineato un altro aspetto del racconto: gli uomini, che si sono presi tanta pena e tanto ingegnosamente sono riusciti a calare la barella attraverso il tetto sino davanti al Signore, non vengono dimenticati: noi leggiamo infatti che Gesù perdona e guarisce l'ammalato vedendo la fede di quelle persone. Quando preghiamo e chiediamo al Signore qualche cosa per noi stessi o per gli altri, anche a noi è richiesta una partecipazione attiva: prima di tutto e soprattutto la fede, ma poi il coraggio, la lotta contro la nostra accidia e il nostro egoismo. Gli amici del paralitico hanno messo tutta la loro forza, l'intelligenza e la fiducia a servizio d'un ammalato incapace di muoversi. In tal modo, hanno dato prova di fiducia e di amore verso Dio e di amore per il prossimo. Questo viene chiesto anche a noi. E possiamo essere convinti che quegli uomini, e il paralitico guarito, sono tornati a casa profondamente cambiati: uomini nuovi che si sentivano perdonati, guariti e amati. Avranno capito che il perdono dei peccati, se è il primo bisogno dell'uomo, più ancora della guarigione dei mali fisici, è concesso da Dio quando c'è il pentimento.

“Ebbene io vi farò vedere che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati. .. Alzati, prendi la tua barella e torna a casa”. È questa la frase centrale del racconto evangelico! Guarendo il paralitico dalla sua malattia visibile - la paralisi del corpo - Gesù ha voluto farci vedere che l'aveva già guarito da una malattia molto più profonda, che sta alla radice del nostro essere, là dove si incontrano Dio e l'uomo, la malattia del peccato: “I tuoi peccati sono perdonati”, gli aveva detto per prima cosa.

Il Dio fatto uomo, dunque, il Figlio di Dio diventato Figlio dell'uomo perdona i peccati. Tale potere Egli lo pagherà col proprio Sangue preziosissimo sulla croce. Infatti, subendo nella propria persona il castigo dei peccatori - la morte, conseguenza naturale del peccato (un ramo tagliato dal tronco può non morire?) - egli otterrà dal Padre il perdono: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Perdonandoci, egli ci guarisce perché ci rimette in relazione con Dio. In che modo, - praticamente, concretamente - oggi Cristo ci fa giungere il suo perdono?

Il Mistero del Pentimento

Oggi il Signore Gesù opera nel mondo mediante lo Spirito Santo che fa della Chiesa il suo Corpo.
La Mano perdonante e guaritrice del Signore Gesù arriva sino a noi attraverso la Chiesa e per opera dello Spirito Santo: “Ricevete lo Spirito Santo - aveva detto agli apostoli il giorno della sua risurrezione -: a chi perdonerete i peccati saranno perdonati” (Gv 20, 22-23).
È necessario che questo perdono sia anche desiderato e chiesto. La parabola del figlio prodigo, che abbiamo appena raccontato, ci presenta con chiarezza le tappe di questo ritorno dalla morte alla vita:

l. Il figlio prodigo “riflette sulla sua condizione”, constata la propria degradazione e affronta il cammino di ritorno verso la Casa del Padre: è la conversione o “metanoia”.
2. Riconosce la propria colpa col dire “Padre, ho peccato contro Dio e contro di te”: è la confessione.
3. Il Padre, che l'aspettava, gli va incontro e se lo stringe fra le braccia senza lasciarlo finire di parlare: è il perdono.
4. Viene ucciso il vitello grasso: è la festa il banchetto eucaristico. Anche noi oggi dobbiamo percorrere questo cammino.

1. La metanoia

È la presa di coscienza, l'improvvisa chiarezza di Davide quando da Natan, che gli aveva parlato del povero al quale il ricco aveva portato via la pecora, si sente dire: “Quell'uomo sei tu!”.
La parola greca metanoia significa “cambiamento di pensiero”: un capovolgimento interiore, una conversione, una scoperta della propria malattia unita alla volontà di guarire.
Le malattie peggiori sono quelle che non si conoscono. La metanoia è una specie di risveglio: “Svegliati, tu che dormi, sorgi dai morti: e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14).
Il peccato è uno stato di letargo, di pre-morte. Il pentimento è sete di vita, di vita autentica, di vita colma della vita di Dio. È la risposta dell'uomo alla parola di Dio ricordata dal profeta Ezechiele: “Non ho affatto piacere nel veder morire un uomo malvagio, desidero invece vederlo cambiare atteggiamento e vivere” (33, 11).

2. La confessione

Quando si commette il male, soffre tutto il Corpo di Cristo, perché “se una parte soffre, tutte le altre soffrono con lei” (1 Cor 12,26). Quando si pecca, si fa del male non solo a se stessi, ma a tutta la Chiesa.
Per questo motivo l'apostolo san Giacomo ci dice: “Confessatevi a vicenda i vostri peccati e pregate gli uni per gli altri, cosicché possiate guarire” (Gc 5, 16) .
In particolare, ci sono tre categorie di peccati che allontanano l'uomo da Dio e che in ogni tempo hanno escluso dalla Chiesa per un certo periodo di tempo colui che prima era fedele e ha cessato di esserlo per l'uno o l'altro di questi peccati.

a) L'apostasia, peccato contro Dio.
Questa colpa consiste nel rinnegare il proprio Cristo, quando per vigliaccheria, per paura, si ha vergogna di dichiararsi suo discepolo: “Ma quelli che pubblicamente diranno di non essere miei discepoli, anch'io dirò che non sono miei, davanti al Padre mio che è in cielo” (Mt 10, 33).
Era la colpa di coloro che, durante le persecuzioni, affermavano di non essere più cristiani. È la colpa di coloro che, ancora oggi, per paura di essere “malvisti” dall'ambiente incredulo, si lasciano trascinare a seguire la moda del giorno, dandosi arie di “miscredenti”.

b) L'omicidio, peccato contro il prossimo.
È l'atto non solo di colui che uccide, ma anche di colui che odia, perché “chi odia il suo prossimo è un assassino” come ci dice l'apostolo Giovanni (1 Gv 3, 15). Odiare significa uccidere in spirito. Anche colui che non vuole perdonare ma “ammuffisce” nel suo rancore, commette la stessa colpa. “Se non perdonerete agli altri il male che hanno fatto, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6, 15). Si veda anche la parabola del debitore spietato (Mt 18, 23-35): “Se non perdonerete generosamente al vostro fratello”, il Padre celeste tratterà anche voi come il re di questa parabola ha trattato il debitore spietato. Ecco perché san Paolo ci dice: “La vostra ira sia spenta prima del tramonto del sole” (Ef 4, 26).

c) L'impudicizia, peccato contro l'amore e contro se stessi.
È la ricerca del piacere carnale senza l'amore, senza il dono definitivo di se stesso all' altro: è il peccato contro la carne (e non il peccato della carne, come si è soliti dire impropriamente). È il peccato di colui che “pecca contro se stesso” (1 Cor 6, 18), che pecca contro l'amore, che in un modo o nell'altro profana l'amore, l'amore che è comunione con Dio perché Dio è Amore (1 Gv 4, 16). Colui che profana l'amore respinge Dio, perché “Dio non ci ha chiamati a vivere nell'immoralità, ma nella santità. Perciò, chi disprezza queste istruzioni, non disprezza l'uomo, ma Dio che vi ha dato il suo Spirito Santo” (1 Ts 4, 7-8) ... “Voi dovete sapere che appartenete a Cristo. E chi prenderebbe ciò che appartiene a Cristo per unirlo a una prostituta? Voi dovete sapere che chi si unisce a una prostituta diventa un tutt'uno con lei. Infatti la Bibbia dice: i due saranno una cosa sola ... Dovete sapere che voi stessi siete il tempio dello Spirito Santo. Dio ve lo ha dato, ed egli è in voi. Voi quindi non appartenete più a voi stessi, perché Dio vi ha fatti suoi, riscattandovi a caro prezzo. Rendete quindi gloria a Dio col vostro stesso corpo” (1 Cor 6, 15-19).

Colui che ha commesso una di queste colpe deve, dopo essersi pentito, chiedere di ritornare a far parte del Corpo di Cristo. È necessario che questo Corpo - la Chiesa - accetti di riprenderlo nel suo grembo: è necessario che l'Assemblea lo perdoni. Perciò è necessario che il peccatore si presenti alla Chiesa e, riconoscendo la propria colpa, si confessi all'Assemblea, alla Chiesa. Per questo motivo nella Chiesa primitiva la confessione era pubblica.

Questo modo di fare presentava tuttavia gravi inconvenienti, perché qualcuno poteva continuare a ricordare i peccati confessati e disprezzare il peccatore anche se perdonato. Perciò l'Assemblea incaricò il suo Presidente, il vescovo o il sacerdote, di accogliere il penitente e ascoltarne la confessione. La confessione esprime la sincerità del pentimento: ricorda il ritorno del figlio prodigo alla Casa del Padre. Il sacerdote che l'ascolta rappresenta la Chiesa, il Corpo sofferente del Cristo totale, l'Assemblea e Cristo suo Capo: egli ne è soltanto l'umile testimone.

3. Il perdono o assoluzione

Perché l'Assemblea reintegri il proprio membro caduto ma pentito, perché lo riconcili con gli altri membri e insieme col loro comune Signore, è necessario che gli trasmetta il perdono di Colui che “ha il potere di perdonare i peccati”, del capo del Corpo, di Cristo. In nome dell'Assemblea e in nome di Cristo, il sacerdote mette la mano sulla propria stola posta sulla testa del penitente inginocchiato - gesto che rappresenta la Mano guaritrice di Cristo - e gli dice: “Tutto ciò che hai detto a me, povera creatura ... Dio te lo perdoni in questo mondo e nell'altro. Gesù Cristo, nostro Signore e Dio, per la grazia e l'abbondanza del suo amore per gli uomini, ti perdoni, figlio mio, tutte le tue mancanze ... la grazia dello Spirito Santo ti conservi nella libertà e nel perdono”. È l'assoluzione. Lo Spirito Santo, attraverso il mistero della Chiesa, attraverso il perdono dell' Assemblea e del suo sacerdote, trasmette al penitente il perdono e la guarigione di Cristo. Ormai egli è “più bianco della neve”.

Sant'Isacco il Siro, un monaco del secolo VII, ce lo ricorda: “In confronto alla misericordia di Dio, il peccato di qualunque uomo è semplicemente un pugno di sabbia nell'immensità del mare”. Un altro grande monaco - del nostro secolo, perché è morto nel 1938 – Silvano dell’Athos, ha detto: “Chiunque abbia perso la pace si penta e il Signore gli perdonerà i peccati. Allora la gioia e la pace regneranno di nuovo nella sua anima”, perché è riconciliato con gli uomini e con Dio.

Il perdono è la riconciliazione dell'uomo col suo Signore, il ristabilimento di quel legame naturale che mette la creatura in comunicazione col Creatore: “Così Dio ha riconciliato il mondo con sé per mezzo di Cristo: perdona agli uomini i loro peccati e ha affidato a noi l'annunzio della riconciliazione” (2 Cor 5, 19). “Questa è la prova che Dio ci ama: Cristo è morto per noi, quando eravamo ancora peccatori ... Noi eravamo nemici suoi, eppure Dio ci ha riconciliati a sé mediante la morte del Figlio suo; a maggior ragione ci salverà mediante la vita di Cristo, dopo averci riconciliati” (Rm 5,8-10).

Per mezzo di Gesù Cristo il perdono di Dio ci ridà la vera vita, ci libera dalla morte. Ascoltiamo san Paolo, quando ci dice: “Vi supplichiamo da parte di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5, 20), così anche noi potremo esclamare con lui: “Possiamo vantarci di quel che siamo di fronte a Dio, perché ora Dio ci ha riconciliati con sé, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (Rm 5, 11). Il peccatore perdonato è nuovamente membro a pieno diritto del Corpo di Cristo. Il peccatore perdonato può liberamente, come prima, accostarsi ai santi Misteri, comunicare al Corpo e al Sangue di Cristo Salvatore, bere alla sorgente dell'acqua viva e ricevere la vita eterna. Il mistero del pentimento sfocia nel mistero dell'Eucaristia. Il peccatore è guarito e salvato.

Il Mistero dell’Unzione

L'uomo è un tutto, è contemporaneamente anima e corpo. Come afferma san Gregorio Palamas (nel secolo XIV): “Noi non attribuiamo il nome di uomo all'anima e al corpo separati, ma ai due insieme, perché a immagine di Dio fu creato l'uomo intero”. Anche sant'Ireneo ci dice che Cristo è il Salvatore dell'anima e del corpo: se non salvasse anche il nostro corpo, non ci salverebbe per niente, perché non s'è mai visto un uomo senza corpo. Per questo motivo Cristo guariva sia le malattie del corpo sia quelle dell'anima. Il Vangelo è pieno di racconti di ammalati gravi - paralitici, ciechi, sordi, muti, lebbrosi, epilettici, indemoniati - che Gesù ha guarito. Gli apostoli prolungheranno questa attività di Gesù: “Essi scacciavano molti demoni e guarivano molti malati ungendoli con olio” (Mc 6, 13). Il Signore continua a guarire gli uomini anche oggi: nella sua Chiesa, per mezzo dello Spirito Santo, nel mistero dell'unzione degli infermi. Tale unzione va bene per qualunque ammalato, quale che sia la sua gravità. E viene fatta sempre con la speranza della guarigione. Hanno quindi torto coloro che sono portati a chiamarla “estrema unzione”, come se si trattasse d'un sacramento amministrato una sola volta, senza speranza di guarigione e negli ultimi momenti della vita.

Non è assolutamente così. E la cosa risulta chiaramente da ciò che afferma san Giacomo riguardo a questo sacramento nella sua lettera (5, 13-15); “Se qualcuno di voi è malato, chiami i responsabili della comunità. Essi preghino per lui e lo ungano con olio, pregando il Signore. Questa preghiera, fatta con fede, salverà il malato, e il Signore gli darà sollievo. Inoltre, se il malato avesse commesso dei peccati, gli saranno perdonati” .

Risulta evidente che per l'apostolo non esiste un confine preciso fra mali del corpo e mali dell'anima. Del resto anche la medicina lo sa benissimo. Per questo motivo durante tutto l'ufficio dell'unzione si prega per la guarigione del corpo e per il perdono dei peccati dell'ammalato. La guarigione è chiesta non come un fine in se stesso, bensì nel quadro del pentimento e della salvezza. La vita - quella vera, l'eterna - non finisce con la morte dell'uomo. Qualunque sia l'esito della malattia - la guarigione o la morte - l'uomo ha bisogno di pentirsi e ha bisogno del perdono divino. Questa è la vera guarigione.

Con la Santa Unzione e con la sua potente preghiera per il malato - che viene chiamato per nome, perché questo sacramento come tutti i sacramenti è personale - la Chiesa ricorda all'uomo che egli non è solo. La Chiesa è presente al suo fianco: tutta l'Assemblea soffre insieme quando uno dei suoi membri soffre (1 Cor 12, 26), e tutta l'Assemblea, mediante la preghiera dei suoi sacerdoti, invoca perdono, soccorso e liberazione dal circolo vizioso del peccato e della sofferenza. La grazia di Dio guarisce le malattie del corpo e dell'anima. In tal modo l'unzione può ridar la salute all'ammalato, o perlomeno dargli un aumento di forza, un ritorno di speranza. La Chiesa non prende il posto del medico, quando questi ha esaurito tutte le risorse della scienza. Essa intende semplicemente rimettere l'uomo sofferente e angosciato nell'amore e nella vita di Dio che è la Vita stessa.

In Cristo, tutte le cose - gioia e sofferenza, salute e malattia, vita e morte - hanno un senso, tutto può essere un cammino verso la Vita. L'uomo viene chiamato, aiutato ad andare incontro a Dio con fiducia, come un uccello si slancia nell'aria o un pesce nell'acqua, e a continuare a cantare la sua Gloria, sia quaggiù se ricupera la salute, sia nella vita che verrà, L'uomo viene chiamato a cantare la Gloria di Dio e anche a dire: “Abbi pietà di me, peccatore”, in un atteggiamento di sottomissione alla volontà del Signore, con fiducia e con umiltà aspettando tutto dalla misericordia divina.

L'ufficio della unzione degli infermi può essere celebrato sia in chiesa nell'Assemblea dei fedeli, se il malato può recarvisi, sia a casa. È celebrato da sette sacerdoti; però possono amministrarlo anche tre, due o uno solo. Il Mercoledì santo si usa amministrare il sacramento dell'unzione degli infermi a tutti i fedeli, per la guarigione dei loro mali e dei loro “peccati dimenticati”, proprio “dove si uniscono l'anima e il corpo”.
La celebrazione del sacramento è caratterizzata da:

1. Sette preghiere di benedizione dell'olio, o preghiere dell'olio (in greco euchélaion). Dopo di esse i sacerdoti, come prescrive l'apostolo, ungono con l'olio di misericordia l'ammalato sulla fronte - sulle narici, sulle tempie, sulla bocca, sul petto, in mezzo alle spalle, sul palmo e sul dorso delle mani. Una delle preghiere comincia così: “Padre santo, medico delle anime e dei corpi, tu hai mandato il tuo unico Figlio, il nostro Signore Gesù Cristo, per guarire ogni male e liberare dalla morte, guarisci anche il tuo servo dalla sua debolezza sia corporale sia spirituale ...”.

2. La lettura di sette passi delle Epistole e del Vangelo. Questi passi mettono in evidenza l'amore efficace del Signore Gesù per i malati e per i peccatori. Formano un vero inno all'amore di Dio in Cristo e alla sua misericordia. Si noti che misericordia, compassione, in greco si dice éleos e che olio si dice élaion (e si legge éleon), per cui negli scritti evangelici l'olio diventa naturalmente il simbolo della divina misericordia. Nella parabola del buon Samaritano si legge: “Invece un uomo della Samaria … gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione (éleos); gli andò vicino, versò olio (élaion) e vino sulle ferite e gliele fasciò” (Lc 10, 33-34). Così pure si legge la parabola delle dieci vergini, nella quale l’olio che portavano con sé le cinque vergini sagge rappresenta la misericordia che deve avere ogni cristiano.

Sette Epistole, sette Vangeli, sette preghiere, sette unzioni fatte da sette sacerdoti: un atto della pienezza della Chiesa, della cattolicità della Chiesa, dell’intero Corpo di Cristo, e non una preghiera individuale di questo o quel “guaritore”.

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