Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

venerdì 27 febbraio 2015

L’ultima cena: Commenti di un contemporaneo alla Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo

Di Kostas E. Tsiropulos

Da Simposio Cristiano - Edizione dell'Istituto di Studi Teologici Ortodossi - San Gregorio Palamas, Milano 1991, pp. 131-139 - Trad. a cura di L. Giamporcaro

Mentre il coro canta l'Inno Trisagio il sacerdote recita a bassa voce la seguente preghiera:

O Dio Santo, che nei santi riposi, cantato dai Serafini con gli accenti dell'inno "Tre volte Santo", glorificato dai Cherubini e adorato da tutte le potestà celesti, tu che dal nulla hai tratto all'essere tutte le cose; tu che hai creato l'uomo a tua immagine e somiglianza, e lo hai adornato di tutti i tuoi doni; tu che offri sapienza e prudenza a coloro che te le domandano, non disprezzi il peccatore, ma hai istituito la penitenza a sua salvezza; tu che hai reso degni noi, umili e indegni tuoi servi, di stare anche in questo momento dinanzi alla gloria del tuo santo altare e di offrirti l'adorazione e la glorificazione che ti spettano; tu, o Signore, accetta anche dalle labbra di noi peccatori l'inno "Tre volte Santo" e visitaci con la tua bontà. Perdonaci ogni peccato volontario e involontario, santifica le nostre anime e i nostri corpi e concedici di poterti servire santamente per tutti i giorni della nostra vita. Per l'intercessione della santa Madre di Dio e di tutti i santi che in ogni tempo ti furono cari. Poiché tu sei santo o Dio nostro, e noi a te rendiamo gloria, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, ora e sempre nei secoli dei secoli.

La santità di Dio è un mistero, poiché non è data né posseduta con lo sforzo della libertà conosciuta dall'uomo. È però un mistero vivificante che santifica tutti coloro che ne hanno sete. E il Signore di tutti riposa sulle loro anime splendenti. Dio aveva bisogno di queste anime, che si sono innalzate, purificate dal sangue del martirio, che hanno rinunciato alla loro vita e sono giunte ai suoi piedi, per riposare?

Siccome il mistero non potrà mai essere vinto definitivamente, infiammerà sempre il nostro spirito con un amore di un fascino paradossale, continuo e sconvolgente. Ma mentre Dio è perfetto, il Suo amore è un amore messo alla prova e contrastato dalle Sue creature, dalla loro libertà. L'amore del Padre ha bisogno, diremmo esprimendoci in modo umano, dell'amore dei figli. Il cuore del creatore riposa sul cuore dei suoi santi. Dio non potrebbe riposare in nessun altro luogo. L'attrazione naturale lo unisce a coloro che divennero santi per lui e attraverso lui e non lo sanno. Essi tremano e l'Unico viene a prendere dimora all'interno di questa soggezione ripiena di luce dell'anima profondamente virtuosa.

Per diventare santi bisogna prendere la propria vita in modo totalmente diverso. Si deve renderla severa, odiare quelle gioie che interiormente soffocano il fuoco dell'amore divino. Bisogna credere e amare. Subire anima e corpo l'amore celeste. Per questo il Creatore ha radicato in noi la capacità di amare. È la potenza primigenia che armonizza la creazione e unisce Dio e uomo e rende feconda questa unione.

Per poter rendere la nostra vita una preda divina. Per ottenere con lacrime, gemiti e cruenti combattimenti la trasformazione di noi stessi obbedendo al santo volere di Dio, alla volontà dell'amante dell'anima. Quale amante non accetta con gioia di diventare il servo di colui che ama? Il nostro cuore non può percepire e accettare nessun altro servizio tranne quello dell'amore. È proprio questo amore che inviò dal cielo sulla terra il Figlio di Dio Unigenito che divenne il servo degli uomini, l'agnello, e pazientemente si addossò tutto il peso del mondo peccatore. Di fronte a questo amore che da secoli stilla sangue nel "mistero" della divina Eucaristia, il cuore dell'uomo soffre, s'infiamma, si inquieta, brama l'unione con il suo amante. Dall'impeto di questa unione nasce la passione della santità.

La realizzazione dell'unione è la realizzazione della santità. Coloro che si amano sono in consonanza. Divina fecondità! La santità però si trova fino al momento della morte dell'uomo in una situazione critica. La libertà e il tempo la mantengono in una continua provvisorietà. Continuamente viene acquisita o perduta. L'uomo procede verso una unione perfetta con Dio o scivola in basso per imperfezioni e ostacoli. "La santità è una situazione tragica dell'uomo, la più alta esperienza del cielo da parte di chi si innamora, vivere dinamico del divino, con libertà e responsabilità".

Ma quando passa il nero fuoco della morte, il dubbio viene tolto. La libertà mondana viene perduta. Non puoi più discutere nulla, né aggiungere né togliere. I santi, gli innamorati salgono verso Dio dalla bocca della morte. La sua fame d'amore viene soddisfatta. Il combattimento si arresta. Ciò significa Paradiso. Significa libertà piena e sicura: annientamento della morte.

I Cherubini, i Serafini, tutte le potenze angeliche sovracelesti adorano e glorificano Dio. Cantano anch'essi l'"inno trisagio" e così con il loro ingresso nel tempio si realizza la sconvolgente concelebrazione degli abitanti del cielo e della terra. In questa collaborazione si esprime in modo misterioso e sacro per gli uomini l'armonia dell'universo spirituale.

Gli uomini del nostro tempo hanno perso questa armonia di collaborazione e per questo motivo la vita è tanto meschina e scialba. La valutazione dell'uomo è costituita da questo giudizio: che cosa ha valore e che cosa può fare in questo mondo. Ma la divina Liturgia lo valuta in modo diverso: che cosa ha valore e cosa può fare per l'eternità. L'abisso è grande.

"Tu che dal nulla hai tratto all'essere tutte le cose".

Immersi nella volontà creatrice di Dio non possiamo acquisire la percezione del nulla. Dilatando la nostra resistenza riusciamo a immaginare il mondo statico, compiuto; tutta la nostra esistenza nega il nulla, come prima di Cristo lo aveva negato la filosofia greca tesa alla comprensione della morte e anche la tragedia. Esistiamo e quindi il nulla non esiste.

Oggi, quando la corruzione delle coscienze avviene con un ritmo incalzante, esistono uomini che accettano la loro futura inesistenza, la loro immersione in un comodo nulla. Ma chi può percepire l'orrore del caos, muto e immobile, sopra il quale lo spirito di Dio, secondo l'Antico Testamento, "aleggiava"? Chi può comprendere il concetto di creazione e la generazione da parte dell'Intemporale Signore del tempo, e dunque anche della Libertà. Al di là di questo Principio il mondo dilegua dalla nostra coscienza. Dopo questo principio percepiamo che si sostiene sulla mano di Dio. Dentro a quell'abisso si erge la volontà divina e la divina Sofia. Alcuni si chiedono con tormento: era forse per Dio una necessità la creazione del mondo? Ma le necessità che spesso dirigono la nostra volontà non hanno nessuna influenza sulla volontà di Dio che agisce con la libertà del mistero. Da questo mistero esce l'uomo, opera finale della Creazione.

"Tu che hai creato l'uomo a tua immagine e somiglianza e lo hai adornato di tutti i tuoi doni".

Se ogni uomo potesse sentire dentro di sé l'impronta ardente dell'immagine di Dio, renderesti conto, con una estrema sensibilità esercitata dal desiderio della perfezione, del proprio destino di raggiungere questa immagine nella "somiglianza", il mondo sarebbe completamente diverso. Questo sigillo della immagine divina è il più grande impegno dell'uomo perché si riassume in quelle attività spirituali che caratterizzano l'uomo: nel pensiero, nel giudizio - l'intellettivo - e nella libera decisione - l'autodeterminazione.

"L'immagine" è la piena, essenziale rivelazione della dignità umana che non può essere concepita se non viene accertato il suo principio divino e inoltre, la sua possibilità di condurci alla "somiglianza", alla pienezza della virtù. Solo all'interno di questo processo dinamico dell'esistenza l'uomo può realizzare la propria liberazione dalle forze estranee del mondo, così da godere della propria libertà come Persona.

Il nostro secolo è profondamente blasfemo poiché ha idolatrato la dignità umana fondandola sul valore autonomo dell'uomo - una autonomia che è stata fatta a pezzi durante la seconda guerra mondiale anche se era stata coltivata da una civiltà atea - ed anche poiché ha utilizzato il pensiero e la libertà per proclamare la sua ribellione a Dio.. Ha usato "l'immagine" per perdere e negare la "somiglianza". Ma il Creatore non separò mai nell'uomo questi due doni singolari. Pose il primo come presupposto dell'altro, proprio perché "ciò che è obbligato non è virtù" secondo san Giovanni Damasceno. La tragedia dell'uomo contemporaneo è la perdita del rapporto tra l'immagine e la somiglianza e l'eccesso egoistico della libertà che ha affievolito nell'anima umana il singolare desiderio esistenziale della somiglianza. La libertà che l'uomo del nostro tempo vive è un finzione, un guscio senza contenuto. Poiché la libertà che non contiene Dio è l'immortalità che non esiste.

All'interno della chiesa durante la divina Liturgia i doni dei quali il Creatore ci ha adornati brillano nella nostra coscienza con una grandezza di bellezza tragica. Organi del corpo, organi nei nostri sensi luminosi, mani libere, occhi assetati, bellezza del volto e del corpo, versatilità e indipendenza dell'uomo. La nostra esistenza dall'interiorità, un mondo dalle molte facoltà, pensiero, giudizio, libertà, si ubriaca della luce insopportabile per intensità del comportamento umano. Ci viene voglia di liberarci da tutto ciò poiché abbiamo amato nella libertà e offrirlo a Colui che ininterrottamente s'immola per noi.

"Tu che offri sapienza e prudenza a coloro che te la domandano".

Oltre al corredo fondamentale dell'esistenza, chiediamo e il Signore ci dona sapienza e prudenza. Non quelle qualità che gli uomini indossano per apparire saggi. Qui si tratta della sapienza secondo Dio, proprio quella che ti spinge e dà forza alla resistenza ad affrontare i misteri dell'Amore e della Grazia di Dio. L'altra sapienza si ferma perplessa di fronte al mistero ed esaurisce la propria forza nel domandare. Questa sapienza che entra dentro il nostro petto postavi dalla mano del Creatore è una sapienza pratica che cambia sia l'uomo sia la vita intorno a lui. È una saggezza dell'esistenza, non dell'intelletto.

Gli antichi greci erano assetati di sapienza e soprattutto di prudenza, che è appunto la sapienza della vita. Riuscirono facilmente a svilupparla ma ebbero difficoltà a motivarla. Dove la logica e il giudizio non raggiunsero la verità, la libertà inventò i miti per afferrarla. Oggi però sopra quei miti antichi, pieni di grazia alla vista ma drammatici per l'aspirazione umana, si erge il sacrificio della croce e la Resurrezione di Dio che ha suggellato la Storia ed è diventato il criterio della vita e conseguentemente anche della morte. La prudenza è ora l'esatto orientamento dell'uomo verso il suo destino, verso la "somiglianza". È una prudenza che nasce dalla libertà che conosce la morte, che conosce qualcosa di ancora più significativo: la propria origine. Prudenza dell'esistenza che vive la vita - dono di Dio - in modo tragico.

"... e non disprezzi il peccatore, ma hai costituito a sua salvezza la penitenza".

L'uomo che pecca in questo mondo procura una disarmonia etica. Tutte le creature portano a compimento il loro destino con perseveranza. E l'uomo dovrebbe sforzarsi di realizzare la "somiglianza". Egli però ha la coscienza ed è libero. Ciò significa che fin dall'inizio è stato posto tra il Bene e il Male, con diritto di scelta e con l'obbligo di responsabilità personale. Il nostro dubbio è sconvolgente poiché vediamo di fronte a noi tutti gli esseri realizzare la volontà di Dio rendendo eccellente questa armonia e l'uomo soltanto avere il diritto di negare, di ribellarsi e di perdersi per Dio.

Il peccato dell'uomo è un'offesa all'amore di Dio, è un sovvertimento dell'universo. Con il peccato l'uomo si contrappone a tutta la creazione tenendo nelle proprie mani la libertà. Ci abbacina la sua indipendenza, ma non ci turba in modo sufficiente la sua responsabilità. Il peccato non è soltanto una negazione dell'armonia e un affronto all'amore divino. È anche opposizione ala Giustizia e disprezzo alla paternità di Dio, è negazione del sangue di Cristo, della Croce e della Resurrezione. Con il peccato l'uomo cessa di avere un destino nella vita e la sua presenza si risolve a non avere che il seguente significato di grande importanza: sottolineare la libertà umana ed esaurire la longanimità e il perdono di Dio.

Il peccato è l'asfissia dell'uomo, la fonte della paura che si perde nel momento della morte ineluttabile. E questa terribile coscienza che trasforma il tempo in oro si è oggi perduta, poiché viviamo in un mondo da secoli peccatore. La vita era stata costituita per conservare, incoraggiare il bene in una permanente difesa. La sensibilità umana di fronte all'avvenimento opposto non si era semplicemente offuscata: l'uomo stesso era stato cambiato cadendo sotto il marchio del proprio egoismo. Non si può passare tutta la vita nella paura, ma non si può accettare qualsiasi cosa. La vita è una scelta. Ma il divino centro di scelta in noi sembra oggi rovinato. Bisogna ritornare molto indietro, alle proprie radici, per trovare per quale motivo si è stati creati e da lì ritornare nuovamente nel Mondo, a metterlo sottosopra con la selvaggia luce della verità. Perché la parola della verità è rivoluzionaria.

Preso nel laccio del peccato, l'uomo del nostro secolo è angustiato da un'ansia di morte. La sua coscienza è ottenebrata e così non si possono spiegare gli eventi, la solitudine, il timore, la disillusione. Il peccato significa innanzitutto "solitudine". Recidi il cordone ombelicale che ti unisce con l'universo e principalmente con il Creatore e Dio tuo, cadi e ti separi da tutto. E quando ritorni di nuovo nulla ti parla con la sua vera voce. Vedi superfici, colori, ma la grande verità non risuona più dentro di te. Si è perduta con la purezza della tua esistenza. Poiché non esiste una forza di alienazione dell'uomo e della sua natura più potente del peccato.

Questa tragica rivoluzione umana che i Progenitori realizzarono cedendo alla tentazione del Male come se volessero essere sicuri della loro libertà, fu soppressa dalla venuta di Cristo con un'altra, seconda rivoluzione. Allora l'uomo fuggì da Dio, ora Dio viene verso l'uomo: "la tua misericordia, Signore, mi seguirà per tutti i giorni della mia vita". L'amore vince il giusto sdegno. La libertà dell'uomo che aveva perduto il proprio significato dopoché il genere umano era stato condannato alla morte eterna, acquista con l'incarnazione, il sacrificio e la Resurrezione del Signore, valore, importanza, fondamento. L'impari lotta ebbe fine. La libertà può finalmente muoversi verso un'altra importante direzione: annullare, vanificare continuamente il male compiuto dall'uomo con la potenza della penitenza. Ora finalmente l'uomo può ritornare. Cristo arricchì la sua vita e liberò la sua libertà con il lieto annuncio della salvezza, con la riscoperta della "somiglianza". Egli divenne simile a noi per rendere più facile la nostra somiglianza con Lui.

"Tu che hai fatto degni noi, umili e indegni tuoi servi, di stare anche in questo momento dinanzi alla gloria del tuo santo Altare e di offrirti l'adorazione e la glorificazione che ti spettano".

Il Signore è grandezza e noi senza di Lui siamo dappoco, "precipitosi e inesperti esseri del momento", friabili tra le dita del tempo, acquistiamo con la potenza liturgica della Chiesa la libertà di stare dinanzi all'altare dove egli testimonierà per noi, dove sarà immolato per la nostra salvezza. Assistiamo, partecipiamo, col corpo e lo spirito, al terribile momento in cui il Creatore si sacrifica e si umilia per salvare la Sua creatura. Se il nostro cuore non fosse indurito dall'abitudine del peccato dovrebbe emettere fiamme selvagge d'amore, dovrebbe desiderare di soffrire con il Signore. Ma la più strana e paradossale richiesta oggi è proprio la sofferenza dell'uomo col proprio Dio. I santi Apostoli non poterono sopportare l'apparizione di Dio sul monto Tabor, dove si trasfigurò. Crollarono sulle rocce colpiti dal fulmine, nascondendo il loro volto per la paura e la vergogna della loro indegnità, come li rappresenta con eccellente turbamento la pittura bizantina. Noi, beneficati dal sangue di Dio, rimaniamo indifferenti, insensibili a questo grandissimo avvenimento della nostra esistenza che si ripete continuamente. Né turbamento, né commozione, né adorazione, né riconoscente glorificazione. E tuttavia, l'altare dove Dio viene immolato per liberare l'uomo dalla schiavitù della morte brilla di gloria eterna. E noi siamo chiamati a partecipare a questa gloria, gloria tragica, nella divina Liturgia.

"Tu, o Signore, accetta dalle labbra di noi peccatori l'inno Tre volte Santo e visitaci con la tua bontà".

La consapevolezza della nostra disarmonia con la creazione è il primo sussulto della salvezza. Il sacrificio di Cristo ha illuminato la coscienza umana di luce sanguigna. Nel momento in cui "ogni cosa è ripiena di luce" come mai potrebbe l'uomo sfuggire il giudizio che certifica il suo stato di peccato? Apriamo la nostra bocca e dalla densa melma la nostra anima emette una voce lacerante che si unisce all'inno sublime delle potenze sovracelesti. Perdono e aiuto. La bocca che si immerse assetata nella terra, ora è liberata dal terribile maleficio, e mescola la propria voce, articolata in un linguaggio, in pensieri di adorazione e di umiltà, con gli angeli che vertiginosamente volteggiano fin nella più umile chiesa del mondo.

Chiediamo al Signore di tutti di accettare l'inno trisagio che gli cantiamo, perché non ci sdegni e non lasci cadere nel caos le nostre parole. Poiché quando il Signore distoglie il suo sguardo e chiude il suo orecchio, l'uomo si è già suicidato con al spada della sua libertà. Se il Signore ci ascolta, gli chiediamo di visitarci con la sua bontà. Gli chiediamo di versare in mezzo a noi il fiume della Sua divina Grazia e di risollevarci dalla caduta. E l'uomo capace di stare davanti al santo altare, è come lo colpisse un fulmine. Gli chiediamo che a causa di questa visita decisiva ci renda interiormente fecondi con rivelazioni e ci renda onesti. Che ci faccia fare finalmente conoscenza con noi stessi e stacchi da noi l'alienazione che il mondo realizza con arte. Sopprima la nostra solitudine e dia significato alla vita e alla nostra lotta. Questa visita è proprio l'ineffabile espressione dell'amore divino, l'artefice della nostra salvezza.

Il Signore ha molti modi per visitarci. Una brezza fragrante, un terremoto, una tenebra e una luce improvvisa, un dolore e dentro la sua amara durezza una grande gioia celeste. La nostra domanda significa due cose: la nostra ininterrotta preparazione ad accogliere la sua visita in qualsiasi luogo e momento; significa ancora la consegna a Lui del nostro cuore con amore. Atto d'amore che crea un nuovo ordine nella vita.  Chiediamo che venga con la sua bontà e benevolenza, sperando di sostenere la Sua terribile presenza; abbandonarsi alla fecondità che Egli compirà. Il nostro scopo è quello di uscire dalla chiesa cambiati, buoni anche noi. Cioè veri.

"Perdonaci ogni peccato volontario e involontario".

Il mondo è in pericolo perché la sua coscienza necrotizzata ha relegato tutti i peccati nell'ambito dell'involontario. Non conosce esattamente la volontà di Dio e crede con superficialità che i peccati si limitino all'omicidio, al furto, all'invidia... Dimentica che prima di muoverci per gli altri, abbiamo terribili conti aperti con noi stessi, abbiamo riempito le piaghe, abbiamo distrutto l'opera di Dio. Siamo venuti senza la nostra volontà, ce ne andiamo senza la nostra volontà. Che cosa ci appartiene? E lo distruggeremo? "Siamo stati comperati a caro prezzo".

La coscienza umana che non è illuminata dalla luce di Dio compie il suo servizio in modo difettoso. L'analisi della nostra interiorità si è affievolita, temiamo di afferrarla, non resistiamo a soffrire, ci sfugge arrabbiata, perversa, perfida instabile. E la vita della coscienza si perde. Si perde anche la vita per sé, cioè rimaniamo anche in una situazione di sonnambulismo esistenziale.

Ma accanto a ciò si è sviluppata una satanica apologetica dei peccati volontari. L'epoca, gli altri, l'inutilità della virtù, lo spirito contemporaneo, lo spirito che subisce la sconfitta foriera di morte realizza la nostra malafede interiore. E Dio che ci ama, che si è immolato per acquistare, si direbbe, il diritto di perdonare e salvare l'uomo è costretto a rimanere inerte mentre i suoi figli si perdono negli abissi con strazianti grida di agonia. Se tale grido fosse udito dal cuore dell'uomo nella divina Liturgia, accende una scintilla nella coscienza, tende le braccia, cerca e trova. Poiché Dio è l'eternamente cercato e l'eternamente trovato.

"Santifica le nostre anime e i nostri corpi".

Qualche volta ci è sembrata assai difficile la santificazione del corpo, di questo infiammato e agitato involucro dell'anima. Bisognava che venissero imbrigliati i suoi terribili appetiti che spesso rovinano l'anima. Adesso anche la santificazione dell'anima è incredibilmente difficile. L'uomo del nostro tempo con incredulità ed empietà ha assai gravemente peccato nello spirito. Epoca di un satanismo non dissimulato, decorato con le ali dell'astuzia dialettica, ha combattuto la verità di Dio quanto nessun'altra, ha distorto la parola della Chiesa. La santificazione dei corpi perciò sembrerebbe semplice se precedentemente non fosse necessario esorcizzare la diabolicità delle anime. L'odio dell'anima che il nostro secolo esprime getta tutta la responsabilità dell'uomo nel corpo ed è naturale che il corpo cada nell'impudenza. Poiché il corpo ha sensazioni, non coscienza. Se non credi e non accogli umilmente, con pentimento, la visita della Grazia divina, che santificherà lo spirito e lo farà risplendere, la santificazione del corpo non è ottenibile. L'uomo non è degno di ricevere il Corpo e il Sangue di Dio solo come un tutto.

"... e concedici di poterti servire santamente per tutti i giorni della nostra vita. Per l'intercessione della santa Madre di Dio e di tutti i santi che in ogni tempo ti furono cari."

Non cerchiamo altro per il futuro che la grazia di servirlo santamente, con modestia, temperanza e devozione. Non sappiamo quanti siano i giorni della vita che ci rimangono. In questa inquietante incertezza tendiamo la mano e ci appoggiamo a Dio. Sappiamo che non basta solamente la decisione, molte volte presa sotto la pressione di una forte commozione. La nostra decisione sarà giudicata, provata, contrastata nella quotidianità, di giorno e di notte; passerà attraverso le attrazioni mondane e le afflizioni del rinnegamento. La nostra vita sarà ininterrottamente critica, in sospeso. Tendiamo l'altra mano e domandiamo il soccorso della Madre del mondo, della Madre di Dio, chiediamo l'aiuto di tutti i Santi che hanno ringraziato Dio con la loro vita. Non siamo soli. Essi vegliano per la nostra salvezza.

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