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Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

martedì 12 luglio 2016

La festa dei santi apostoli Pietro e Paolo

Il 29 giugno (12 luglio del calendario civile), la Chiesa celebra la festa dei santi Protocorifei degli Apostoli Pietro e Paolo. Il Sinassario bizantino (una sorta di martirologio, cioè una raccolta di notizie brevi relative alle commemorazioni liturgiche giornaliere) segna: «Il 29 del medesimo mese [giugno], memoria dei santi, gloriosi e famosissimi apostoli e protocorifei Pietro e Paolo», e l’ufficiatura ripete nel titolo: «Memoria dei santi, gloriosi e famosissimi apostoli e protocorifei Pietro e Paolo».

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Al grande Vespro dopo l’esordio e il canto dei Salmi si procede al canto di sei Idiómela Stichirá, tropari (cioè particolari tipi di inni liturgici). Il testo del terzo di essi, dovuto all’innografo Andreas Pyros, dice: «Con quali canti spirituali noi loderemo Pietro e Paolo? Essi, le bocche della tremenda spada dello Spirito che uccidono l’ateismo e non restano spuntate. Essi, gli splendenti ornamenti di Roma, le delizie dell’intera terra, le spirituali tavole divinamente scritte della nuova alleanza, che promulgò in Sion Cristo, che possiede la grande misericordia».

Verso la fine del Vespro, dopo il «Gloria al Padre», viene un tropario di Efrem di Karia: «Festa gioiosa risplendette fino ai confini oggi, la tuttasanta memoria dei sapientissimi apostoli e corifei Pietro e Paolo. Perciò anche Roma gioisce assieme ai cori. Con canti e inni festeggiamo anche noi celebrando questo venerabilissimo giorno. Gioisci, Pietro apostolo e autentico amico del tuo Maestro, Cristo il Dio nostro! Gioisci, Paolo da tutti amatissimo, e araldo della fede e maestro del mondo. Poiché avete divina fiducia, coppia santa eletta, intercedete presso Cristo, il Dio nostro, affinché siano salvate le anime nostre».

Il tropario proprio della festa canta: «O primi nel trono degli apostoli e maestri del mondo, intervenite presso il Sovrano di tutti, affinché sia donata pace al mondo e la grande misericordia alle anime nostre».

Al Mattutino si cantano due canoni (ufficiatura del mattino), per Pietro e per Paolo, dovuti a Giovanni Monaco (Damasceno). In quello di Paolo la strofa (Hypakoê) che termina la I ode canta: «Quale prigione non ti ebbe incatenato? Quale Chiesa non ha te come oratore? Damasco grandi fatti pensa di te, Paolo, poiché ti vide abbattuto dalla Luce. Roma, accogliendo il tuo sangue, anche essa si vanta. Però Tarso gioisce di più, e con desiderio onora le tue fasce. Pietro, la pietra della fede, Paolo, il vanto del mondo, convenendo a Roma, rendeteci forti».

Agli Áinoi (Lodi) il terzo tropario riassume la vicenda di Pietro: «Tu degnamente fosti chiamato Pietra, sulla quale il Signore ha resa ferma la fede inconcussa della Chiesa, arcipastore ti fece delle pecore spirituali. Da qui portatore delle chiavi delle porte celesti Egli, come Buono, ti stabilì, per aprire a tutti quelli che attendono nella fede. Perciò degnamente fosti reso degno di essere crocifisso come il tuo Sovrano: tu intercedi presso Lui affinché salvi e illumini le anime nostre».

Dopo il «Gloria al Padre» finale, il tropario di Cosma il monaco acclama così: «La venerabilissima festa degli apostoli viene per la Chiesa di Cristo, procurando la salvezza a tutti noi. Perciò misticamente applaudendo, a essi ci indirizziamo: Gioite, astri che siete raggi del Sole spirituale per quanti stanno nelle tenebre! Gioite, Pietro e Paolo, infrangibili fondamenta dei divini dogmi, amici di Cristo, strumenti preziosi! Siate presenti in mezzo a noi invisibilmente, rendendo degni di doni immateriali quelli che la vostra festa esaltano con canti».

Pietro e Paolo testimoni del Signore a Roma

Il martirio di Pietro a Roma è un fatto storico non dubitabile. Esso fu subito circondato da una meritata aureola di gloria, e a questa presto si aggiunsero elementi apocrifi, ricamati in leggenda. Altrettanto presto era stata dimenticata una pagina singolare, di uno che al fatto aveva assistito da giovane, Clemente Romano, terzo vescovo di Roma, di probabile origine ebraica.

Quando nel 96 d.C. invia tre laici romani con una lettera «alla Chiesa di Dio che è pellegrina in Corinto», allora in preda a dissensi e discordie gravi, pone tra l’altro come parametro a cui rifarsi in senso negativo quanto era accaduto a Roma stessa, e che aveva portato alla morte dei principi degli apostoli, i gloriosi Pietro e Paolo. La causa della loro esecuzione per mano dell’autorità imperiale, secondo Clemente Romano, era stata l’invidia e la gelosia di gruppi di cristiani stessi di Roma. Pietro e Paolo sono così portati come esempi, si può dire attuale, quasi contemporaneo, di quanto può l’invidia nella comunità cristiana.

Vale la pena di leggere alcuni passi di questo testo. I paragrafi 4-6 sono dedicati a descrivere i casi dolorosi di invidia, anzitutto Caino e Abele, Esaù e Giacobbe, il faraone e Mosè, Datan e Abiron rivoltòsi, Saul e David (par. 4). Poi Clemente prosegue: «5. – 1. Ma affinché cessiamo con gli esempi antichi, veniamo agli atleti fattisi più vicini a noi. Prendiamo gli autentici esempi della nostra generazione. 2. Per gelosia e invidia le più grandi e le più giuste colonne furono perseguitate, e fecero agone fino alla morte. 3. Prendiamo davanti ai nostri occhi i buoni apostoli. 4. Pietro, che per gelosia ingiusta non subì una o due, ma numerose sofferenze, e così, avendo testimoniato [martyréô], procedette fino al lui dovuto luogo della gloria. 5. Per gelosia e lite Paolo mostrò il premio della pazienza. 6. Sette volte avendo portato le catene, esiliato, lapidato, diventato araldo in Oriente e in Occidente, ricevette la gloria autentica della sua fede, 7. dopo avere insegnato la giustizia, e essere giunto ai confini dell’Occidente [la Spagna], e avendo testimoniato [martyréô] davanti ai governanti, così fu trasposto dal mondo e andò nel Luogo santo, divenuto immenso modello di pazienza. 6. – 1.Con questi uomini vissuti santamente fu radunata una grande folla di eletti, i quali, avendo sofferto molti oltraggi e torture, divennero tra noi un bellissimo esempio».

Clemente presenta il martirio di Pietro e Paolo a fedeli che lo conoscevano bene. Solo che si preoccupa di annotare fatti che forse non erano pervenuti fuori di Roma. I due apostoli furono condotti alla morte dalla polizia imperiale a causa della gelosia e dell’invidia di fedeli di Roma, poiché i pagani difficilmente potevano provare tali sentimenti per i cristiani, che disprezzavano come gente di una religione abominata. La storia seguente dice che quei medesimi delatori poi riconobbero la sublime grandezza di Pietro e Paolo, riconoscendoli come i veri fondatori della Chiesa di Roma, ossia il popolo dei fedeli romani quale sede apostolica: a questa sede apostolica prestigiosa scriveva sant’Ignazio vescovo d’Antiochia e glorioso martire proprio a Roma, allo stadio di Domiziano, oggi piazza Navona.

L’archeologia, al di là delle leggende (come la richiesta, per umiltà, di Pietro ai carnefici di essere crocifisso a capo verso il basso; il Quo vadis?, e altro), sulla scorta di Tacito e di Svetonio, dice che «un’ingente folla di cristiani» furono condannati da Nerone nell’anno 64. Nel numero di essi stava il loro apostolo, Pietro. Tutti quei padri nostri furono crocifissi, alcuni avvolti da pelli di animali spalmate di pece, e così bruciati vivi, altri lasciati a esser sbranati dalle bestie feroci. Il luogo è indicato accanto al circo di Nerone, sulla direttiva della via Cornelia con la via Trionfale, ossia nei pressi dell’attuale via della Conciliazione. Di fatto il sepolcro di Pietro sotto la basilica costantiniana ha restituito le ossa calcinate di un uomo di circa 60-70 anni, raccolte piamente in drappo trapunto d’oro. È difficile dubitare che quelle ossa siano la santa spoglia del Principe degli apostoli.

Paolo seguì il fratello Pietro nella testimonianza a Cristo Signore circa 3 anni dopo, nel 67, nella località che la tradizione senza esitazione né mutamenti addita alle Acque Salvie, presso l’attuale area indicata come le Tre Fontane, sulla via Laurentina. Paolo fu composto nel sepolcro dell’area cimiteriale della via Ostiense.

Le spoglie sante di Pietro e di Paolo furono preservate dalla loro distruzione desiderata dall’autorità imperiale collocandole per diversi decenni nella “catacomba” per antonomasia, da cui venne il nome delle altre catacombe, le attuali catacombe di San Sebastiano sulla via Appia. Dopo il 258 furono riportate ai rispettivi luoghi di sepoltura, dove attendono la resurrezione finale.

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