Del Prof. Agostino Ziino
La musica liturgica bizantina rappresenta un capitolo di fondamentale importanza nella storia della musica, sia sul piano storico che su quello estetico, e per questo per molti aspetti. Innanzitutto bisogna considerare che, nonostante tutti i cambiamenti e le modernizzazioni avvenuti nel corso dei secoli, il canto bizantino rappresenta certamente uno dei repertori liturgico-musicali più antichi nell’ambito del culto cristiano, il che lo pone in un rapporto privilegiato con la tradizione musicale greca, con il canto liturgico ebraico e con quello cristiano primitivo.
In secondo luogo si consideri che dal canto bizantino sono derivati tutti i repertori liturgico-musicali orientali, slavi, russi e greco-ortodossi. In terzo luogo, è ormai accertato che esso ha parzialmente influenzato anche alcuni repertori liturgico-musicali dell’Occidente, in particolare quello mozarabico della Spagna, quello beneventano, quello cosiddetto romano-antico e quello ambrosiano. In questo contesto, inoltre, sarà utile mettere in evidenza il fatto che la tradizione melurgica bizantina, rappresenta ancora uno dei nuclei più antichi ed arcaici di quella musica liturgica che si cantava nell’Italia meridionale, particolarmente in Calabria ed in Sicilia nel Medioevo, durante la dominazione bizantina.
Il canto bizantino interpreta in modo perfetto i contenuti e le forme della religiosità orientale, caratterizzata da una forte impronta essenzialmente ascetica, realizzando di conseguenza una musica che, pur nella sua ineludibile funzionalità celebrativa nell’ambito della liturgia basilicale o monastica, raggiunge momenti di bellezza assoluta e di profondità spirituale.
La storia del canto liturgico bizantino è molto complessa e per molti aspetti ancora da approfondire adeguatamente, se non addirittura ancora da studiare in assoluto. Fino al X secolo abbiamo solo fonti indirette, in quanto mancano le fonti primarie, specialmente quelle musicali, sia perché la trasmissione del canto liturgico era affidata principalmente alla tradizione orale, sia perché le fonti scritte, se ci sono state, sono state certamente distrutte per diversi motivi, tra i quali le gravi lotte cristologiche e l’iconoclastia.
La perdita delle fonti costituisce per gli studiosi una circostanza terribilmente drammatica ed impedisce di conoscere a fondo secoli di tradizione liturgico-musicale nei quali prevale la figura del melodo, di una persona cioè era nel contempo poeta e musicista e che riusciva a realizzare una perfetta fusione tra questi due elementi. Tra i melodi più importanti ricordiamo Ciriaco, Romano il melode e Anastasio nel V-VI secolo, Andrea Cretese e San Germano di Costantinopoli nel VII secolo, Giovanni Damasceno, San Cosma di Maiumà e Cosma di S. Saba nell’VIII, ed infine Teodoro e Giuseppe Studiti, Casia o Cassia (autrice del brano num. 2) e Giuseppe Innografo nel IX secolo.
I primi codici musicali scritti risalgono al X secolo e presentano una notazione musicale di tipo neumatico chiamata dagli studiosi “paleobizantina” che arriva fino al XII secolo, tuttora però di difficile lettura e interpretazione. Nel XIV secolo appaiono i primi “maestri di cappella” chiamati protopsaltes o maistores, tra i quali emerge la figura di Giovanni Papadopulos, chiamato anche Giovanni Cucuzeli, che ampliò le melodie tradizionali “abbellendole” e vocalizzandole notevolmente. La notazione musicale di questo periodo storico (XII-XV secolo) è chiamata dagli studiosi “mediobizantina”. La tendenza verso la vocalizzazione della linea melodica portò in seguito ad uno stile musicale molto “abbellito” detto appunto “calofonico”, caratterizzato da un grande virtuosismo.
L’arte compositiva venne chiamata anche “papadica” (aggettivo derivato dalla parola Papàdes, Padri); nello stile papadikon furono composte nuove melodie o vennero adattate quelle tradizionali già esistenti. Questa tendenza al virtuosismo vocale aumentò sempre di più specialmente dopo il 1453: difatti l’avvento turco provocò anche un forte ed inevitabile influsso da parte della musica araba. Tra i Maìstores del periodo musulmano figurano Manuele Crisafi, Giacomo Protopsalte, Pietro Berekètes, Pietro Lampadario, Giovanni di Trepezunte, Pietro di Bisanzio e Curmuzio.
La notazione musicale che va dal XV al XIX secolo è chiamata “neobizantina” o bizantina tarda. Nel 1814 ha inizio l’opera di riforma della musica bizantina da parte di Crisanto di Madito, compiuta in collaborazione con Gregorio Levìtes Protopsalte (morto nel 1822), opera che vide la luce in due pubblicazioni, stampate rispettivamente nel 1821 e nel 1832. Lo studioso Giovanni Marzi afferma che l’opera di Crisanto di Madito ha il grande merito di aver semplificato il complesso sistema semiografico; ma d’altra parte nessun tentativo fu da lui compiuto per restituire al canto la sua forma originaria, la primitiva “purezza”. Questo è certamente vero, ma è anche vero che i tempi non erano ancora maturi per compiere un lavoro di restauro filologico sulla musica bizantina simile a quello compiuto alla fine del secolo dai monaci benedettini dell’Abbazia di Solesmes sul canto cosiddetto “gregoriano” e sul suo repertorio.
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