Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

lunedì 5 ottobre 2015

Brevi appunti sulle “Esecuzioni Filologiche”

Di Vinicio Gai, musicologo e organologo

Minipreambolo

Quando nella prima metà del secolo scorso si cominciarono a riutilizzare gli strumenti storici che si erano salvati, ci si trovò di fronte a difficoltà di notevoli proporzioni, il cui elenco è lunghissimo, ma mi limiterò a qualche cenno a cominciare, come sostengono alcuni amici insigni organologi, dal fatto che i musici del passato possedevano un virtuosismo ed una tecnica conformi agli strumenti di cui disponevano e che era andata irrimediabilmente perduta a mano a mano che gli strumenti si erano perfezionati, nonostante che subito dopo l’invenzione delle valvole si rimpiangessero gli strumenti semplici perché il suono veniva considerato migliore. Poi il problema dei locali e della socioacusia (per socioacusia s’intende il fracasso sempre in aumento in cui siamo costretti a vivere nei nostri tempi), per cui in breve sintesi gli orecchi di oggi non sono più quelli del periodo barocco.

Si discusse molto sul fatto se si dovessero adoperare strumenti originali, oppure copie, e se queste dovessero essere conformi all’originale quando esso era nuovo oppure com’è attualmente. Con ingenti sforzi alcuni strumentisti sono riusciti a recuperare, in parte, ciò che era andato perduto; ma alla base di tutto ci sono le qualità del concertista, che al pari di un cantante, se ha le doti naturali può fare molto e bene, ma se queste doti non ci sono allora niente da fare. Uno strumento moderno può essere suonato anche da chi ha una mediocre attitudine, ma lo strumento antico no. Circa poi le esecuzioni del passato, a livello di mediocrità le cose andavano come ci raccontano, ma ai livelli del Bendinelli o del Fantini, celeberrimi suonatori di tromba, le cose erano ben diverse.

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In conversazioni più o meno amichevoli con amici musicisti o musici è capitato spesso di parlare di un particolare aspetto, a quanto pare assai controverso, vale a dire sulle così dette "esecuzioni musicali filologiche" cioè se le musiche scritte nei secoli passati debbano essere eseguite come si eseguono oggi o se ci dovremmo adoperare per eseguirle così come si presume che venissero eseguite nei secoli trascorsi.

L'assunto è naturalmente vastissimo e complesso, tuttavia noi abbiamo sempre cercato di circoscrivere, per quanto possibile, ad una visuale un po' unilaterale e cioè sotto il punto di vista preminentemente organologico perché nella musica non basta fare della "filologia" nel senso di fedeltà scrupolosa al testo, o come alcuni critici dicono con "perizia calligrafica", perché se tutto ciò è valido per i testi letterari, per la musica ci troviamo di fronte a tutta una serie di problemi non certo di facile soluzione, perché del passato come è stato osservato non esistono registrazioni fonografiche, le quali sarebbero state una documentazione eccellente. Purtroppo non esistendo tutto ciò siamo costretti a fare ricorso ad una serie di induzioni, deduzioni e controdeduzioni.

Su questo particolare argomento abbiamo racimolato molti scritti dei quali cercheremo di citarne alcuni; altri per ovvie ragioni saranno trascurati, molti altri purtroppo ci saranno ignoti, comunque tanto per avviare un certo tipo di discorso ci sono sembrati sufficienti quelli che abbiamo raccolti. Naturalmente per ovvie ragioni non possiamo citare qui intere opere, ci dovremmo comunque limitare ad alcune brevissime citazioni di brani, il che talvolta è un po' ingrato perché da brevi citazioni non è possibile afferrare certi concetti che sono diluiti in gran parte delle varie opere perciò sarebbe utile che l'ascoltatore leggesse per lo meno quanto sarà inserito poi nella bibliografia per comprendere il contenuto dei vari libri sull'argomento nella loro entità e totalità.

Non sappiamo se riusciremo nell'intento, ma è nostro proposito di non trasformare varie pubblicazioni, come spesso viene detto, in un "chewin gum", cioè vorremmo cercare di non offrire agli ascoltatori, per quanto possibile, dei concetti già esistenti più o meno rimasticati, ma delle constatazioni su cui tirare poi qualche conclusione, come premessa daremo qui di seguito una serie di citazioni che abbiamo tolto da alcuni dei moltissimi scritti che ci sono capitati sotto gli occhi in vari anni.

Paul Collaer, « L'orchestra di Claudio Monteverdi », in Musica, Firenze, Sansoni, 1943, vol. II, p. 86-87, scrive:

"Potrebbe meravigliare che una tale precisazione sia necessaria; ma sta di fatto che fin oggi molti hanno giudicato opportuno di modernizzare l'orchestra di Monteverdi, sotto diversi pretesti. Ora si è trovato che l'orchestrazione originale non si può riprodurre, per ragioni puramente materiali (scomparsa dall'uso degli strumenti musicali necessari, incapacità dei nostri strumentisti di impiegarli quando se ne dispone); il presente studio basterà a refutare quest'argomento. Ora si è preteso che l'orchestrazione autentica di Monteverdi non conviene più alla sensibilità del pubblico attuale. Questo argomento di carattere intellettuale, è più pericoloso per la verità musicale del precedente; se vi si prestasse fede bisognerebbe ammettere che si ha il diritto, dopo un certo numero d'anni di modificare la sonorità di un opera musicale.".

E a p. 96, lo stesso Collaer, scrive:

"Per riassumere: l'orchestra autentica di Monteverdi può essere oggi ricostituita; la sola sostituzione che è necessaria prevedere è quella dei cornetti".

Certo è che se si cominciano a fare delle sostituzioni sia pure minime diventa un po' più problematico il fatto della originalità o "autenticità".

Marc Pincherle ne «L'interpretazione orchestrale di Lulli», in L'Orchestra, Firenze, Barbera, 1954, p. 139, scrive:

"In fatto d'esecuzione orchestrale le opere teoriche non fanno difetto, ma tutti i giorni si ha l'occasione di vedere come direttori d'orchestra di grandissimo talento e di raffinata cultura siano assai imperfettamente informati e si muovono con un certo imbarazzo in ogni musica anteriore a Beethoven".

Per quanto riguarda la sostituzione di famiglie di strumenti con altre famiglie a seconda delle disponibilità nelle esecuzioni, si ricorda fra le altre opere: Eugèn Borel, «La strumentazione della sinfonia francese del sec. XVIII», in L'Orchestra cit., pp.9, 10, 16, 17, 19, 20. Dove appunto fra le altre cose si legge, p. 17: "Per rimediare alla mancanza dei fagotti, corni ecc., che si verificava in provincia e negli ambienti degli amatori, i compositori ricorsero a diversi espedienti: primo di tutti quello che consiste nell'attribuire agli strumenti a fiato la qualifica di ad libitum, che a quell'epoca era assai frequente e usata".

Ci sembra di poter osservare che non soltanto ciò accadeva a livello provinciale o dilettantesco, per es. nell'Antigone di Traetta1, troviamo 3 corni da bosco in do acuto, oppure 2 flauti, 2 oboi e fagotto, oppure fluato, clarinetto e fagotto, il che significa che anche ad un certo livello potevano mancare degli esecutori in grado di poter superare alcune difficoltà che alcuni brani presentavano2.

Prendiamo ora in considerazione la voluminosa opera: L'interpretazione e gli interpreti, Torino, UTET, 1951 di Andrea Della Corte, particolarmente da p. 73 a p. 94, dove si trovano citazioni e osservazioni, senza dubbio molto interessanti, fra cui (p.76) quella che segue:

"Le proteste contro la battuta rumorosa" dov'è immancabile l'episodio, nel quale Lulli si ferì un piede con il "bastone di direttore" e in seguito a tale ferita Lulli morì3.

A p. 82 del Della Corte, troviamo scritto: "La competenza degli esecutori risulta bassissima dalle osservazioni e dai consigli del Galeazzi4. Egli raccomanda al primo violino di battere il piede o la mano, quando l'orchestra 'vacilla'; ai suonatori di non accordare gli strumenti mentre i personaggi cantano. Queste e altre osservazioni, che ritroviamo in un opuscolo dello Scaramelli5 sembrano convenire a un galateo o a una satira, più che a un metodo o a un trattato di esecuzione, e confermano la mancanza di preparazione tecnica e artistica. Esclusa ogni cura della concertazione, sembra non siano neppure previste le prove d'insieme [...]".

Il Della Corte scrive poi (p.90): "Dalle citazioni dei pratici e teorici della direzione qui inserite emerge chiaramente lo stato culturale delle orchestre, dei maestri, del pubblico, e anche del problema interpretativo-esecutivo in Italia negli ultimi decenni del sec. XVIII e nei primi del seguente. Moltissime cause di tali condizioni potrebbero essere elencate, ma il discorso sarebbe estraneo all'argomento di questo libro".

Il Della Corte continua con una serie di osservazioni (s'intende correlate all'epoca in cui il libro fu scritto) molto interessanti sulle orchestre nel XVIII sec. in Italia.

Ettore Bottrigari6, com'è noto e come si può vedere agevolmente nella edizione citata, cerca (dopo un ampio esame circa il modo di eseguire la musica ai suoi tempi) di individuare i difetti e di suggerire qualche rimedio, o per lo meno mettere in discussione un certo stato di cose scrivendo, p. 3: "[...] havend'io veduto un grande apparato di stromenti diversi; tra quali era un Clavicembalo grande, et una Spinetta grande, Tre lauti di varie forme, una grande quantità di Viole, et un'altra di Tromboni, due Cornetti uno diritto e uno torto; due Ribechini, et alquanti Flauti grossi, diritti et traversi et un Arpa doppia grande, et una Lira tutti per accompagnamento di molte buone voci: et dove mi pensava di udire una Armonia celeste, hò sentito una confusione anzi che no accompagnata da una discordanza; che mi ha piuttosto offeso che dato piacere [...]".

Secondo il Bottrigari, tanto per fare qualche esempio, ravvisava certi difetti in alcuni strumenti a fiato nel non adoperare dei criteri univoci nel praticare la foratura, scrivendo, p. 6: "Gli strumenti da fiato con fori, come sono Flauti diritti, et traversi, Cornetti diritti, et torti, et altri simili sono una specie; che più tosto suona il Diatonico Syntono di Tolomeo che altra; et per non potersene avere come afferma esso Tolomeo ne' suoi Armonici essatta certezza ne per li fori, ne per lo fiato la passaremo: non di meno soggiungerò di aver parlato con diligenti Mastri di tali strumenti, et truovo che essi non vi hanno cosa ferma da potervi fondare salda ragione: ma solo mentre fabbricano i buchi a tale strumento vanno ad orecchia quelli allargando secondo che sentono il bisogno; aiutati dalla natura [...]"7

Molti altri teorici scrissero sulla intonazione di alcune orchestre seguendo le orme del Bottrigari, se non addirittura copiando dalla sua opera come nel caso dell'Artusi8, citato largamente da L. Torchi, «La musica strumentale», RMI, vol. I, 1894, pp. 7 – 38, vol.II, 1895, pp. 666-671.

A. Agazzari9 scriveva: "Di più gli strumenti, altri sono di corde, altri di fiato. Di questi secondi (eccettuato l'organo) non diremo cosa alcuna per non essere in uso nei buoni e dolci conserti, per la poca unione con quei di corde e per l'alterazione, cagionata loro dal fiato umano, se ben in conserti strepitosi, e grandi si meschiano: e tal volta il trombone in picciol conserto s'adopera per contrabbasso, quando sono organetti all'ottava alti: ma che sia ben suonato, e dolce: e questo si dice in universale, perché nel particolare posson esser tali strumenti suonati con tal eccellenza da maestrevol mano che sia per acconciar il conserto et abbellirlo". A p. 8, si legge: "onde chi suona leuto, essendo strumento nobilissimo fra gli altri, deve nobilmente suonarlo con molta invenzione, e diversità; non come fanno alcuni, i quali per aver buona dispostezza di mano, non fanno altro che tirare, e diminuire dal principio alla fine, e massima in compagnia d'altri stromenti, che fanno il simile, dove non si sente altro che zuppa e confusione cosa dispiacevole et ingrata a chi ascolta".

Michael Praetorius10, scriveva :" [...] devo anche necessariamente ricordare ciò che segue: che a me all'inizio dell'ordinamento dei concerti del Coro [= complesso] dei flauti [...] non ebbi poche difficoltà: dal momento che molto raramente questi flauti è dato trovarli che siano bene accordati, perché,come seguirà nel 44° capitolo, anche gli organi in alcune chiese possono subir facilmente gli effetti sia del caldo che del freddo, così che in estate hanno l'intonazione più alta e in inverno più bassa. Così che necessariamente se due strumenti a fiato suonino insieme finiscono per costituire una sorta di accordo di due note della differenza di un semitono. Così che mi è venuto in mente un rimedio, che cioè si dividano i flauti in alto fra la testata e fori delle dita e si faccia il pezzo superiore più largo in modo che il medesimo nella parte di sotto, quando si vuole o secondo necessità si possa infilare e fare i pifferi più lunghi o più corti [...] E quantunque alcuni celebri fabbricanti di strumenti ritengano che i flauti con ciò possano divenire falsi in alcuni fori, tuttavia essi hanno finito per trovare che non si prospetta alcun difetto al di fuori di questo [...]".

Il Praetorius continua poi dicendo che quanto viene proposto per i flauti è già stato fatto con successo nei bassanelli e nei cornetti.

G. B. Doni11 scriveva: "Che poi gli strumenti da fiato siano più soavi, patetici, e simili alla voce umana degli altri, l'esperienza stessa lo dimostra negli Organi, e ne' cornetti, che quando sono ben sonati, non si può sentire cosa più dolce: e Aristotele anco afferma ne' Problemi musicali12 , che è più soave il suono della Tibia, che della Lira e che ella ha l'istessa proporzione con gli altri strumenti [...]. Dico anco che si unisce meglio con la voce umana, per la simiglianza, che ha con lei, e che ricuopre molti errori de' Cantori: tutte qualità molto considerabili per quello che si cerca. Non è anco di piccola importanza quella proprietà, che hanno gl'Istrumenti da fiato, di poter allungare il suono quanto si vuole, la quale non hanno gl'Istrumenti di corde, da quelli di archetto in poi [...], ma la traversa o flauto d'Alemagna si potrebbe bene usare in luoghi spaziosi, e così il cornetto torto; ma il cornetto muto, e diritto e i flauti ordinari si potrebbero adoprare quasi per tutto, se fossero lavorati da buoni maestri, e maneggiati come si deve [...]" (pag.106). A p.112-113 ci parla poi delle stonature dei Graviorgani per effetto della temperatura e scrivendo fra l'altro: "Con tuttociò, a questi ed a ogni altra sorte d'Instrumenti di tasti manca quella perfezione, che hanno i Flauti e le Viole del forte, e piano, come si vuole molto importante in queste Musiche sceniche [...]".

È rimasta famosa la frase di A. Scarlatti, il quale rivolgendosi ad Hasse disse: "Figlio mio lei sa che io non posso sopportare gli strumenti a fiato perché stonano tutti"13.

B. Marcello14 scriveva: "Oboè, Flauti, Trombe, Fagotti, etc. sono sempre scordati, crescono".

F. M. Veracini15, fra le altre cose molto interessanti scriveva:

"L'accordìo dell'Orchestra debbe essere fatto presto, piano e giusto, avanti di cominciare l'Overtura dell'Opera, per lasciare il perfido Fidecommisso, lasciatoci dagl'Antichi Sonatori, qual'è il cominciare scordàti e poi fare un continuo Vespaio nel tempo che gl'Interlocutori cantano i Recitativi; e credasi pure che quel maledettissimo zun zun zun zun che fanno i Violini e i Violoni, accordando forte infino all'ultimo [dell'Opera ] - senza mai essere accordàti - disturba chi canta e strapazza orribilmente chi ascolta. Per la qual cosa pare, in vece dell'Opera, si voglia piuttosto rappresentare la veglia di Padella!"

"Ottima cosa sarà ancora, pel Compositore, di non dar mai principio alla sua Musica, se non averà prima riscontrato come sia bene accordata la sua Orchestra. Comincerà dal confrontare attentamente i Corni colle Trombe, ma prima le trombe coll'Organo o col Cimbalo, e, se a caso i Corni scarseggiassero un pochetto e non potesse ottenersi che arrivassero esattamente al Tuono, per essere troppo grandi o troppo lunghi, gli[sic] lascerà stare così calanti, avvenga che i Corni sempre crescono per causa del caldo del fiato nel sonarli."

Il Veracini condanna “l'usanza solita de' Sonatori dell'Opera di tenere strettissima conferenza fra loro, nel tempo de' Recitativi, o di presentare il Tabacco a' loro vicini, o di smoccolare con un chiodo le Candele, o di accordar forte (per fare sentire le virtù loro), o di cominciare a mettersi, adagio adagio, sul naso gli Occhiali, [per] poi sonare a tutto bell'agio dopo gl'altri, o pure di ripigliare dal Leggìo (con tutta pausa) l'Arco, [...] nel tempo appunto che [= in cui] dovrebbero aver cominciato insieme con l'Orchestra, non già uno dopo l'altro, come fanno i Sonatori delle Campane, quando principiano a sonare solennemente a Festa.".

Il Marchese di Ligniville nel suo Stabat mater, a tre voci in canone, 1762, scriveva all'inizio dell'opera un "Avvertimento" in cui si legge: "L'Autore domanda perdono ai Seguaci del Gusto moderno se nel corso di quest'opera non troveranno, ne trombe ne tromboni [...]".

E veniamo ora alle impressioni riportate dal Fetis16 in un suo viaggio in Italia. "Al mio primo entrar in Italia rimasi non poco meravigliato della negligenza con cui suonano le orchestre e della poca cura che presiede alla organizzazione di queste [...]".

"[...] Gli abitanti della capitale or accennata si occupano nel loro gran teatro degli affari, e li trattano ad alta voce, parlando e disputando di contratti, di variazioni di fondi pubblici, vanno e vengono, ridono e schiamazzano, come se sulla scena e in orchestra non si facesse nulla di meritevole della menoma attenzione [...] Se i filarmonici francesi potessero accoppiare alla loro bravura meccanica il genio naturale, e il vivacissimo istinto degli italiani, si arriverebbe al bello ideale della musicale esecuzione [...]".

Pur avendo saltato una serie molto interessante di altre citazioni che avremmo potuto trarre da opere di notevole valore, come gli scritti del Quantz17 ci è sembrato sufficiente quanto abbiamo sin qui citato. Prima di cominciare a tirare qualche conclusione ci vorremmo soffermare anche su un altro tipo di considerazioni e cioè una serie di passi musicali scritti non certo per dei concertisti, ma per gli strumentisti, che militavano nelle orchestre, i quali probabilmente non dovevano essere dotati di peculiari caratteristiche come ad esempio il cornista Punto o il nostro contemporaneo H. Baumann, o il Quantz, o comunque moltissimi altri strumentisti. Ma esaminiamo adesso i passi che seguono, tratti da partiture manoscritte della Biblioteca del Conservatorio di musica “L. Cherubini” di Firenze. Le segnature sono le seguenti:A262 – B180; A434; …A438; A422;

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Se osserviamo i pochi passi che abbiamo qui elencati e gli strumenti con cui venivano eseguiti è impossibile non trovare dei grossi dubbi sulle possibilità che tali passi venissero eseguiti come vengono eseguiti oggi dagli strumentisti nostri contemporanei. Quali tipi di corni fossero in uso fra il 1813 e il 1821 è presto detto, basterà esaminare (se non si ha la possibilità di visitare alcuni musei di strumenti musicali in Europa), tre eccellenti pubblicazioni dei seguenti autori: A. Baines18 , R. Morley-Pegge19, O. Fritzpatrick20.

Si tenga presente che i cilindri vengono inventati all'incirca nel 1815, a proposito di questa data si veda H. Heyde, Das Ventilblasinstrument (e immaginiamo pure l'esistenza di un corno a chiavi). Ora la domanda che noi ci siamo posti tantissime volte cosa sarà venuto fuori dagli strumenti allora in uso quando si trovavano sul leggio dei passi come quelli indicati? Non è certo facile né possibile immaginare quali fossero le capacità virtuosistiche di un medio suonatore di corno, ma è forse facile capire il rendimento di quei tipi di strumenti.

Anche Mozart si arrabbiava con i cornisti facendo uso della seguenti parole italiane: “ Signor Asino; a te bestia; Oh, seccatura di coglioni; Ma intoni almeno una, cazzo!” Si veda: Das Horn bei Mozart, Kirchheim, Hans Pizka Editin, 1980, p.119.

È vero, come sostengono alcuni amici insigni organologi, che i musici del passato possedevano un virtuosismo ed una tecnica conforme agli strumenti di cui disponevano e che è andata irrimediabilmente perduta a mano a mano che gli strumenti si sono perfezionati. È vero che nei melodrammi si potevano fare tante cose: la ghigliottina (per es.) che lavorava senza sosta, tagliando brani ecc.; spostamento di passi da uno strumento all'altro, cioè senza guardare troppo per il sottile, si attribuiva il passo a quello strumento che lì per lì fosse stato in grado di poterlo eseguire trascurando la preferenza timbrica; talvolta alcune parti del melodramma erano dei blocchi componibili o scomponibili secondo le possibilità. I direttori o revisori che hanno potuto agire sulle altrui opere con mano un poco pesante, magari non tenendo conto di certe cose storiche e del gusto dell'autore in fatto di colori orchestrali quando si sono riprese opere del passato per essere nuovamente rieseguite. A tale proposito scriveva Labroca21: "[...] tenere presente nella sua interezza il carattere del melodramma e non dimenticare che le opere immortali, anche se sono di tutti i tempi posteriori al loro sorgere, una data di nascita l'hanno anche loro."

"Con questo che abbiamo detto veniamo anche a risolvere il quesito circa il modo di presentare l'opera sconosciuta di Rossini: che essa venga rappresentata viva per la vita del teatro e non già morta per la gioia dei pochi studiosi. Ma che si tratti di vita intimamente rossiniana, sicché quanto nella musica viene presentato sia di sicura mano di Rossini.".

È anche da rilevare che l'applicazione dei pistoni al corno non sembra che fosse accettata al suo sorgere tanto di buon grado, come si può leggere in varie pubblicazioni, ed anche la G.M.M. del 5 novembre 1854, n. 45, pp. 355-358, riportando uno scritto del "sig. Fétis (padre)", assumeva la difesa del corno a pistoni, o a cilindri. Da tenere presente che i primi pistoni non dovevano essere molto perfezionati, come si può vedere in varie pubblicazioni.

Adriano Della Fage22 scriveva: "In ultima analisi in una ventina di corni dati a saggio se ne trovano appena 2 o tre bene intonati. E qui si deve ammirare il merito straordinario di tanti bravi suonatori, i quali a forza di abilità nella disposizione delle labbra giungevano ad una perfetta intonazione.". Ma vorremmo ritornare ora sul "virtuosismo perduto", con qualche breve considerazione.

Com'è noto esistono vari dischi fonografici, nei quali sono incise musiche del passato con gli strumenti in uso nell'epoca in cui furono scritte; in queste musiche vi sono brani di una considerevole difficoltà23. Ebbene, secondo il mio modesto parere, la mobilitazione generale degli aggettivi laudativi non sarebbe forse sufficiente a qualificare questi insigni esecutori, i quali, sempre secondo il nostro modesto parere, è probabile che abbiano ritrovato nella sua entità e totalità quel "virtuosismo" che si dice sia andato perduto. Se prendiamo la registrazione della Sonata, op. 17 per corno e pianoforte, eseguita con un corno semplice sembra a noi improbabile che si possa eseguire meglio24 di come è stata eseguita da H. Baumann; eppure l'orecchio moderno o diciamo contemporaneo sembra preferire questa sonata eseguita con un corno moderno.

A tale proposito abbiamo fatto una specie d'indagine fra un gruppo di amici qualificatissimi. La maggioranza di questi amici ha detto: "interessante, grande abilità del Baumann, in ogni modo il risultato, se pur interessante, dimostra che è preferibile l'esecuzione con il corno moderno; l'alternanza continua fra suoni aperti e suoni chiusi viene rifiutata dalla nostra educazione musicale, perché essi sembrano presentare due aspetti negativi: 1° cambiamento del timbro, 2° diminuzione della quantità del suono". Giunto a questo punto sarebbe difficile dire fino a che punto Beethoven accettasse ciò che gli imponeva la tecnica in uso al sua tempo". La minoranza degli amici da noi interpellata ha risposto: "la Sonata op. 17 fu scritta per il corno semplice e per il tipo di tecnica allora in uso, perciò va eseguita così, come è stata eseguita da Baumann e la riteniamo più gradevole di una esecuzione fatta con i corni che usiamo oggi".

Per quanto riguarda il Quintetto, per oboe, tre corni in Mi b e fagotto di Beethoven, gli amici, dopo aver apprezzato la grande capacità degli esecutori, sono stati concordi nel riconoscere che alcuni intervalli di semitono hanno rivelato una approssimazione che non sembra essere troppo gradevolmente accettata ai nostri giorni; il punto preciso a cui gli amici si riferivano, si trova nella partitura edita da Schott, nel 1954 questo passo si trova a p. 8, settima battuta a partire dalla lettera D. Si noti bene che insigni cornisti hanno affermato che meglio di come è stata eseguita non sembra essere possibile e che tale approssimazione negli intervalli sopra indicati non è da imputare all'esecutore, ma allo strumento, il quale non può consentire un certo tipo di precisione a cui oggi siamo abituati.

Per quanto riguarda gli strumenti a fiato di legno riuscivano forse a cavarsela meglio dei corni, ma anch'essi non erano immuni da giudizi sfavorevoli, basterà ricordare quanto abbiamo citato (poco più sopra per esempio) di Bottrigari e A. Scarlatti a proposito del flauto. Quali erano gli strumenti per esempio ai tempi in cui furono scritti i passi citati? oltre che nei vari musei si possono vedere nelle eccellenti opere di alcuni autori (che elenchiamo in ordine alfabetico) come per esempio: Baines25, Bate26, Carse27, Langwill28, Rockstro29.

Per flauto, oboe e clarinetto, il processo, per così dire, di "colpevolizzazione" (quando le esecuzioni non erano soddisfacenti), oltre agli esecutori, ai costruttori ed agli strumenti si spostava tal volta sulla materia da cui erano ricavati e cioè il legno, proponendo di ricavare questi strumenti dal metallo perché appunto il legno poteva essere soggetto a variazioni dimensionali e deterioramenti per varie cause, ma molti erano contrari a sostituire il legno con il metallo, per esempio il De La Fage30, scriveva: "Nella esposizione universale comparve il Sig. Böhm con una collezione di strumenti stabiliti secondo il suo sistema. Fra questi si osserva un flauto d'argento. Fosse anche di oro, mi pare che qualunque sia metallo non convenga alla delicatezza de' suoni che si eseguono nel flauto. Non conviene neppure agli strumenti ad ancia. Si sono fabbricati per uso delle bande di cavalleria flauti, oboi e clarinetti di ottone e sono già parecchi anni che si è dovuto rinunziare.".

Sull'argomento ritornava ancora il fabbricante Agostino Rampone31, in una lettera alla stessa G.M.M., in cui annunciava la fabbricazione, nel suo stabilimento, di strumenti ad ancia di metallo, scrivendo fra l'altro: "[...]il legno onde sono costruiti [gli strumenti come i flauti e clarinetti] si altera in modo straordinario. Le qualità fonetiche di detti strumenti mutano rapidamente; essi si rilasciano, si fendono, si screpolano, e ben presto sono inservibili o quasi".

"[...] due strumenti a fiato di legno, usciti dalla identica fabbrica, e perfettamente uguali tra loro, mutano quasi immediatamente la loro intonazione a seconda dell'ambiente in cui abitualmente sono adoperati".

La G.M.M. del 1881, p. 250 tornava a parlare del Rampone, il quale aveva costruito, si dice con ottimi risultati, "con metallo l'intero quartetto di legno (flauto, oboe, clarino [sic] e fagotto)".

Il Rockstro32, ricordava che i "flauti di legno d'ogni genere sono soggetti a storcersi, a cambiare il loro 'calibro' e a spaccarsi".

Per quanto riguarda la materia con cui gli strumenti di vari tipi vengono costruiti non sembra che i pareri siano concordi, infatti fra i vari studiosi vi sono coloro che sostengono che la materia con cui è costruito uno strumento non influisca sul suono33, ed altri, i quali asseriscono che la materia influisce sul suono34. Questo problema sembra essere assai vecchio ed esteso a vari strumenti; per esempio il Barcotto35, scriveva "[...] Giungo ancora che le canne di legno sono state inventate per Organo portatile, essendo di materia più leggera da portare. Ma la verità è che mentre si può far di meno di metterli Canne di legno, massime in Organi di qualità, sempre sarà meglio, poiché la Canna di legno quando è guasta, non è più buona altro, che per il fuoco, che così non sono le altre, come si è detto di sopra. E di più non si devono permettere Canne di legno, poiché sono fabbricate con cole, che facilmente l'umido, e il gran caldo le guastano, ed anco le tarli li danno un gran danno[...]". Philip Bate36, scriveva recentemente che per quanto riguarda i flauti non si può essere 'dogmatici' sui "meriti relativi al legno e al metallo", nonostante che i flauti di metallo sembra che siano oggi universalmente favoriti.

In un catalogo di una famosa ditta costruttrice di strumenti a fiato leggevamo anche recentemente: "Entro il primo anno dalla fornitura i legni screpolati per legge naturale vengono sostituiti con il solo addebito della mano d'opera". Ma anche questi inconvenienti non sembra che facciano preferire il metallo per gli oboi clarinetti ecc. Si pensò anche che costruendo flauti, clarinetti, fagotti con il metallo si potesse imitare perfettamente gli strumenti di legno con "doppia cameratura37, Ph. Bate38, non ha mancato di rammentare anche dei tipi di strumenti con "doppia cameratura" o con "doppio tubo", citando anche il "Thermos clarinet", il quale avrebbe avuto il vantaggio (secondo colui che lo ideò) di mantenere costante la temperatura dello strumento. Inutile dire che condividiamo pienamente il parere sfavorevole dato dallo stesso Bate su questi strumenti.

A proposito del così detto suono metallico vorremmo registrare un'altra osservazione di Arthur H. Benade39, il quale scrive: " [...] ci rimane il problema di spiegare perché il corno può dare un suono talmente poco metallico che gli permette di entrare a far parte di un quintetto raffinato in compagnia dei legni".

Abbiamo veduto sin qui, sia pure in modo un po' sintetico e saltuario cosa hanno detto i teorici e critici, quale era grosso modo la musica da eseguire, quali erano gli strumenti e le presunte capacità degli esecutori (e su cui ritorneremo nelle conclusioni di questi appunti); abbiamo veduto che in certo periodo le esecuzioni italiane erano più scadenti di quelle di altri paesi, rimane adesso di prospettare il problema per grandi linee, sotto un profilo scientifico giovandosi anche dei referti di uomini di scienza fra cui particolarmente l'Ing. Walter Ferri e il Dr Umberto Tamburini.

Gli strumenti ad arco delle orchestre del passato usavano le corde di minugia, la quale sembra sia una materia alquanto igroscopica e come tale portava a degli inconvenienti più volte lamentati da vari esecutori. Pur convenendo che la minugia ha caratteristiche diverse dal fascetto di capelli, con cui si fanno gli igrometri e igrografi pur nondimeno la minugia rimane una sostanza molto sensibile alla U.R. Sappiamo benissimo che il corpo umano espelle umidità e in certe condizioni in misura anche notevole come si può vedere in trattazioni di fisiologia umana40, o anche in trattazioni riguardanti la climatologia dei musei41.

Sappiamo benissimo che le sale da concerto e i teatri non erano climatizzati42; sappiamo altresì che escursioni di temperatura, provocano effetti diversi sui vari tipi di strumenti43. vale a dire mentre i fiati tendono a crescere certi tipi di corde tendono a calare, sia pure tenendo presente l'adattamento di cui parlano Leone e Righini. In realtà abbiamo voluto anche noi compiere qualche prova (per quanto possibile di ordine scientifico) prima di giungere alla fine della esplorazione che ci siamo prefissa in questi appunti. Per quanto riguarda la stonazione di alcuni strumenti ad arco più volte rilevata dai vari autori abbiamo eseguito varie prove, insieme con il Dr U. Tamburini (fisico) e il M° Cristiano Rossi (violinista), presso l'Istituto del Legno di Firenze. In tali prove, fra le altre apparecchiature, ci siamo giovati di una macchina di prova universale modello Tensometer, con un carico di fondo di 32 Kg e di una corda di minugia44 La3, cercando di operare su un presunto diapason del '70045.

Naturalmente abbiamo altresì cercato di conoscere anche quanto potesse influire sull'intonazione delle corde di minugia l'umidità espulsa dal suonatore durante l'esecuzione46, nonostante che ciò abbia presentato notevoli difficoltà per mancanza di apparecchiature che forse avrebbero dovuto essere appositamente costruite. La descrizione delle prove effettuate comporterebbe un lungo discorso, quindi ci limiteremo a dire che la conclusione a cui siamo giunti non è stato altro che una ulteriore conferma di quanto si è più volte affermato cioè che mantenere costante l'intonazione di corde di minugia (così come si costruivano nei secoli passati) era una impresa piuttosto ardua per i suonatori di strumenti ad arco.

Abbiamo poi tentato di fare altre prove con un flauto (a questo proposito si veda anche Organometria... di V. Gai). Queste prove sono state compiute insieme con i Maestri Pietro Grossi47, Piero Mencarelli48, Renzo Stefani49; il Dr Umberto Tamburini50, ci ha dato molti consigli sulla conduzione delle prove. Dare ragguagli di tutti i tentativi fatti sarebbe cosa estremamente lunga e noiosa quindi ci limiteremo anche in questo caso a brevi constatazioni fatte nel corso delle prove.

Il flauto, inserito in una provetta ha subito una serie di trattamenti. Dopo aver fatto subire i vari cicli di inumidimento e di essiccamento sono state compiute registrazioni su nastro; il M° Grossi ha provveduto per mezzo di un computer ad elaborare tutta una serie di dati per tentare di stabilire il rapporto fra variazioni dimensionali dello strumento (provocate dai vari procedimenti di umidificazione e di essiccazione) e variazioni dei suoni in Hz. Variazioni in tal senso esistono, ma un buon esecutore è in grado di annullarle comodamente, infatti il 20 dicembre del 1971 nel corso delle nostre prove il flautista Mencarelli con la rotazione dello strumento e non so con quale accorgimento (caso limite) iniziava una nota di 555 Hz e la portava oltre 600 Hz. A questo punto giova ricordare: 1°

che egli ci poteva ingannare (nelle note lunghe) e rendere vane tutte le nostre pazienti prove, 2° che Leone e Righini hanno scritto il loro libro Il Diapason con tanta sapienza e con tanto buon senso. È bene precisare che durante le nostre prove abbiamo cercato di non perdere di vista le varie trattazioni come quella ora citata, e di non farsi prendere da suggestioni teoriche quantunque i presupposti esistessero.

Giunti a questo punto sarà utile mettere a confronto le varie opinioni sul dilemma se le esecuzioni scadenti del passato fossero causate dagli strumenti oppure dai suonatori.

F. M. Veracini, violinista insigne, non avrebbe lamentato la stonazione dei violini o il mal vezzo di intonare dal principio alla fine di una esecuzione se egli stesso non fosse stato in grado di dimostrare che si poteva suonare intonati e che gli strumenti potevano reggere l'accordatura per una intera esecuzione. Ciò avvalorerebbe la tesi che la colpa era degli esecutori e non degli strumenti; c'è però da tenere presente che gli orchestrali non potevano avere le qualità di Veracini e che forse strumenti più perfezionati avrebbero potuto supplire alle presunte carenze degli orchestrali.

Abbiamo avuto occasione di citare dei passi di Rossini veramente difficili da eseguire, anche in tal senso vi sono opinioni contrastanti. Taluni dicono che tali passi venissero eseguiti con una approssimazione o grado di tolleranza oggi del tutto ignota. Secondo H. Fitzpatrick51 un gruppo di cornisti della scuola di Luigi Belloli consentirono a Rossini di scrivere quei passi così difficoltosi di cui ne abbiamo poco sopra citati alcuni, quindi è da presumere, che la bravura di questi cornisti potesse supplire agli strumenti piuttosto rudimentali. Personalmente debbo confessare di essere un po' scettico. Il Rockstro52 ci parla della bravura del Ribas nell'eseguire il passo che abbiamo citato di Mendelssohn.

Per quanto riguarda il nostro assunto sotto il profilo scientifico potremmo disquisire all'infinito in mezzo a molte elucubrazioni, ma a tale proposito preferiamo citare un brano (a nostro avviso scritto con tanto buon senso) di Leone e Righini53: «[...] se sugli strumenti a fiato le variazioni della temperatura agiscono in un senso, su quelli a corde agiscono in un senso contrario. Si potrebbe pensare che ad una ipotetica abnorme variazione della temperatura dovrebbe corrispondere una stonazione generale sempre più manifesta, cosa che in pratica non succede. La verità è che interviene un reciproco ed agile adattamento fra le varie categorie di strumenti, anche se per ragioni obbiettive si deve riconoscere una maggiore facilità da parte degli strumenti ad arco a seguire le variazioni d'intonazione. Un compromesso pratico tanto spontaneo quanto immediato e benvenuto riduce sempre, nella realtà di qualsiasi esecuzione strumentale, le preoccupazioni che la teoria può suggerire, ed è proprio e solo in questi termini che bisogna eseguire e studiare i fatti se si vuol arrivare a risultati utili. Se si lascia la briglia sciolta al teorico puro, che per altre cento ragioni ha grandi meriti, si rischia di dover calzare un paio di scarpe strette con le quali non sarebbe possibile far due passi senza rovinarsi i piedi; per cui, dovendo necessariamente camminare, si finirebbe per andare scalzi.».

Per concludere vorremmo osservare che tenuto presente quanto abbiamo sin qui citato e quanto abbiamo letto in proposito, il nostro modesto parere è che, nonostante tutto, se oggi volessimo fare delle esecuzioni strettamente filologiche dovremmo mettere in conto anche un certo tipo di tolleranza che non sapremmo fino a che punto l'orecchio attuale potrebbe gradire, tenendo anche presente che probabilmente le orchestre del passato non disponessero di cornisti che potessero uguagliare Punto o di flautisti che potessero uguagliare Ribas.

Fin qui gli appunti risalenti al 1973. Si aggiungono ora altre considerazioni.

Scriveva Sachs54, fra le altre cose, a proposito di restauro di antichi strumenti musicali: «... qualsiasi sforzo che tenda ad adattare lo strumento alle esigenze moderne dei concerti di musica antica, ben inteso − , orchestre forti, sale vaste, diapason di 435 vibrazioni doppie, timbro sensuale e abbondante, qualsiasi sforzo di questo genere fa torto alla sonorità autentica e rende illusoria la ragion d’essere dei musei». A proposito dei locali dove eseguire musica antica, sempre fra le altre cose, scriveva Sachs55 «...Ma bisogna astenersi dall'ornamentazione e bisogna proibire qualsiasi ornamento "d’epoca" ed altri infantilismi del tipo dei concerti di musica antica in costume del tempo».

Oltre sessanta anni dopo le citazioni or ora fatte, scrive Andrea Frova56:

«L'arte barocca è fatta di decorazioni, di cornice, di abbellimento, di scenografia e ricerca dello stupore; in qualche modo la musica di questo periodo è anche una rappresentazione teatrale dove assieme all'udito sono coinvolti altre sensi. Per molti amanti della musica antica e necessario percepire l'odore delle panche di legno, del cipresso delle tavole armoniche,...»57.

Il Frova, continua poi scrivendo: «La sola cosa che non mi pare abbia senso è quella di mischiare, nella medesima esecuzione, strumenti originali e strumenti moderni, eppure è quello che normalmente si fa. ... Oppure tutti gli strumenti sono antichi tranne quello più grande di tutti, la sala e allora il problema è lo stesso. Un problema di equilibri che nei secoli tra il Cinque e Seicento non si poneva: quella musica era per pochi, suonata da pochi e goduta da pochi ed era bella e perfetta così.».

Ruggero Pierantoni58, facendo osservare che «È certo vero che l'intensità di un suono diminuisce con la distanza e lo fa, all'aperto in assenza di strutture risonanti, con la legge che vede ridursi di 6 dB l'intensità ad ogni raddoppiamento della distanza. Un suono di 60 dB a 10 metri, diviene di 54 a 20 metri...» ecc.

I fisici acustici, Pasqualini e Briner59, a proposito di violino antichi e moderni rilevavano, fra molte altre valutazioni la seguente: «In un grande ambiente gli strumenti antichi, ritenuti acusticamente eccellenti, a differenza di quelli moderni si odono meglio da lontano che da vicino;...».

Circa le variazioni subite dal violino e i suoi familiari nel corso dei secoli, per ottenere una maggiore intensità di suono abbiamo già ampiamente parlato in altre pubblicazioni; comunque i due fisici citati è probabile che abbiano fatto le loro prove su strumenti modernizzati.

Non ci possiamo dilungare sull'assortimento delle opinioni che sono moltissime tuttavia ne riportiamo alcune iniziando con un brano di una intervista a Susan Milan60 effettuata da Renata Cataldi61.

L'intervistatrice pone questa domanda: «Cosa pensa della tendenza filologica a interpretare la musica barocca e classica con gli strumenti dell'epoca?» Ecco la risposta.

«Un argomento interessante. Adoro questo tipo di musica. Avevo un trio barocco con il clavicembalo e la viola da gamba. Suonavo il mio flauto d'argento. Quando gli strumenti antichi tornarono di moda non riuscii a continuare, poiché la maggior parte degli enti concertistici erano attratti da gruppi strumentali omogenei. Avrei potuto imparare a suonare un flauto barocco, ma non ne avevo il tempo. Ora si è di nuovo più flessibili e nei miei programmi con il pianoforte fanno capolino Bach e Telemann. La mia opinione personale è che finché si rispetta il linguaggio del compositore, suonare su uno strumento moderno non è un grave peccato. Se suonassi Bach come Chaminade allora dovrei aspettarmi delle critiche, ma il mio stile è ben educato e sento di poter offrire una buona interpretazione di una sonata barocca con il mio flauto d'oro o d'argento. Credo che Bach avrebbe amato il flauto moderno e le sue tante possibilità. Dopotutto, se Boehm avesse inventato il nuovo sistema per flauto quando Mozart era ancora vivo, questi ci avrebbe potuto lasciare molte più opere per questo strumento.».

Alceo Toni, nel 1920 scriveva62: «...chi... sente profondo ed irresistibile il bisogno di un clavicembalo per eseguirvi qualsiasi pezzo scritto per questo istrumento? esteti nostalgici di un passato che non rivive; gente che sogna la resurrezione dei morti, perché neppur essa è viva nella realtà del tempo in cui si muove...». «Il clavicembalo è morto: Chi non è un maniaco dello storicismo musicale non può pensare con compiacenza, di vederlo tornare in onore nelle nostre sale di concerto a scapito del pianoforte...». Il Toni ricorda anche «che una esecuzione di musica antica sarà sempre... inquinata di spiriti anacronistici».

Scriveva Giacomo Orefice63: «O Bartolomeo Cristofori, tu sei stato uno dei più grandi benefattori dell'umanità, e chi sa quanti ignorano perfino il tuo nome!...Ora il pianoforte, se non un bene supremo, è certo dell'uomo un supremo conforto... L'orchestra stessa, che rappresenta il cosmo musicale, non ha saputo sostituire il pianoforte...»: L'articolo di Orefice, conclude: «O Bartolomeo Cristofori, sia benedetto, sia esaltato il tuo nome nei secoli».

Intendiamoci non mancavano coloro che avevano fatto uso di una suppellettile retorica opposta a quella che è stata fin qui citata, come per esempio Alfredo Oriani64. il quale sembra avesse una certa predilezione per la musica antica e per il canto, infatti scriveva che «Nessuno strumento dal petto di legno o dalla gola di metallo, solitario o sostenuto da altri può, come la voce umana, rilevare le ineffabili emozioni della nostra anima...».

A proposito del pianoforte (Ombre di Occaso, p. 24), dopo averlo definito «il più odioso fra gli strumenti musicali» scriveva: «Il pianoforte è la cassa mortuaria dell'arpa» ecc.

I lavori in cui ci si occupa di prassi esecutiva ecc. sono moltissimi, oltre a quelli già citati si ricordano i seguenti.

Buti, F., -Cavalli, F., Ercole Amante, Saggio dell’edizione critica curata da F. Luisi, Direttore D. Fasolis, Università di Parma – Radiotelevisione Svizzera, Parma – Lugano 2008, il vol. e corredato di un disco di interessante ascolto. Dahlhaus, C. – Eggebrecht, Che cos’è la musica?, Bologna, il Mulino, 1988. Dolmtsch,A. The Interpretation of the Music of the Seventeenth and Eighteenth Centuries, Seattle, University of Washington Press, 1969. Feder, G., Filologia musicale…, Bologna, il Mulino, 1992. Gai, V., “Un’antica opera d’arte per l’ascoltatore di oggi: L’Orfeo nel pensiero e nell’opera di Valentino Bucchi, in Premio Valentino Bucchi, Anno XX n. 1, gennaio 2000, p. 103 Gallico, C. “Edizioni critice di musica barocca”, in Enciclopedia della musica..., Torino Einaudi, 2002, vol.II, p. 952 e seguenti. Geoffroy-Dechaume, A. I “Segreti” della musica antica…, Milano, Ricordi, 1973, ristampa 1978. Giaccai, F. “Socioacusia e ascolto musicale”in Per una carta europea del restauro…,Firenze Olschki, 1987, p. 135. Heyde, H. Das Ventilblasinstrument… , Leipzig VEB Deutsher Verlag für Musik., 1987. Kirkpatrick, R. L’interpretazione del clavicembalo ben temperato, Padova, Muzzio, 1987. Landowska, W. Musique ancienne…, 4ª ed., Paris, Senari, 1921. Malipiero, G.F. L’Orchestra, Bologna, Zanichelli, 1920. Per una carta europea del restauro – Conservazione, restauro e riuso degli strumenti musicali antichi, a cura di E. Ferrari Barassi e M. Laini, Firenze, Olschki, 1987. Pinzauti, L. Gli arnesi della musica, Firenze, Vallecchi, 1965 e 1963. Pinzauti, L.[D.]«Scarlatti e i suoi“Esssercizii”», in Omaggio a Scarlatti, Firenze, Musicus concentus, 14/10/ 1985, pp.11–15;a questo proposito si veda altresì il periodico LA NAZIONE, 26/10/85,p.3 Problemi e metodi della filologia musicale – Tre tavole rotonde, a cura di S. Campagnolo, Lucca, LIM, 2001. Rovighi, L. – Cavicchi, A., v. “Prassi esecutiva” in DEUMM, “Il lessico”, vol. III, p. 711. Sherman, B. D., Interviste sulla musica antica…, Torino, EDT, 2002. Tagliavini, L. F., Gli strumenti originali per l’esecuzioni della musiche antiche, Estratto da: “I Sussidi didattici dei conservatori di musica”, Documento conclusivo del Convegno Nazionale di Studio, (Milano 2 – 7 giugno 1966). Tiella, M., L’officina di Orfeo – Tecnologia degli strumenti musicali, Venezia, il Cardo 1995. Tiella, M. – Zanisi T., Contributi al restauro degli strumenti musicali, Cremona, Turris, 199

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                          Vinicio Gai, mentre sta osservando alcuni strumenti radiografati al Negativoscopio.

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Stereorestitutore analogico delle Officine "Galileo" di Firenze,
mentre il Prof. Ing. Walter Ferri sta facendo i controlli.

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Restituzione fotogrammetrica di un violino.

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Stereorestitutore Digicart 40 delle Officine "Galileo" di Firenze. Con questo apparecchio è stata effettuata "la restituzione e poi le successive correlazioni geometrico-strutturali tra la viola medicea di Antonio Stradivari e alcune sue moderne riproduzioni [come per esempio quella del Liutaio Carlo Vettori]; autori: Daniele Ostuni e Ivan Chiaverini - Facoltà di Ingegneria dell'Università di Firenze".

NOTE:

1 Revisione di A. Rocchi. Ed. a cura del Maggio Musicale Fiorentino, 1962.

2 Si veda anche H.J.Moser « Sciocchezze e saviezze del melodramma viste dal podio del direttore », in L'Orchestra, Firenze, Barbera 1954, p. 113.

3 Questo episodio è ricordato in molte pubblicazioni fra cui ricordiamo: Dizionario Ricordi,Milano, Ricordi,1959 v. Lulli, p. 694, col. 1ª; Della Corte e Gatti, Dizionario di musica,Torino, Paravia, 4ª ed. v. Lulli, p. 336, col. 1ª; D. Ewen Storia di A. Toscanini, Bari “Leonardo da Vinci” Editrice, 1951 p. 1

4 Elementi teorico-pratici di musica, Roma 1791.

5 G. Scaramelli, Saggio sopra i doveri di un primo violino cfr. Della Corte Op. cit. p. 89.

6 Il desiderio overo, De' Concert di varij Strumenti Musicali … Venezia, 1594, Ristampa fotomeccanica, Bologna, Forni,1969.

7 Questo brano del Bottrigari lo troviamo citato in varie pubblicazioni sugli strumenti a fiato, come ad esempio F. Sconzo, Il flauto e i flautisti, … Milano Hoepli,1930 p. 60;G. Prestini Notizie intorno alla storia degli strumenti…, Bologna, Bongiovanni, 1925 p. 23.

8 Si veda a tale proposito la Prefazione di G. Vecchi al Desiderio dell'ed. cit.

9 Del sonare sopra ’l basso con tutti li stromenti, Siena, D. Falcini, 1607 p. 3.

10 Syntagma musicum, II, Organographia, 1619, Faksimile-Nachdruck, herausgegeben W.Gurlitt, Kassel, Bärenreiter,1958, 2. Auflage 1964 p. 34-35. Il passo del Praetorius è ricordato in varie pubblicazioni come per esempio:F. Squarzoni Il flauto cenno storico , Ferrara,, Bresciani, 1917, p. 26.

11 De’ trattati di musica… raccolti e pubblicati per opera di A.F. Gori…, Firenze, Stamperia Imperiale, 1763 pp. 105-111.

12 A tale proposito si veda: Aristotele, Problemi musicali, a cura di G. Marenghi, Firenze, Fussi - Sansoni, 1958, particolarmente pp. 33-35 e 75.

13 Questa frase o per lo meno questo atteggiamento di A. Scarlatti è ricordata in molte pubblicazioni fra cui: E. J. Dent, Alessandro Scarlatti - His Life and Work, London. E.Arnold,1905, p. 192; Sconso, Op. cit., p. 60; Prestini, Op. cit., p.

22. La fonte di questa frase si trova in: F.W. Marpurg, Historisch-kritich …,Band I, Stück 5, Berlin, Schütz, 1755

p. 228. Tale fonte ci fu gentilmente suggerita dal Prof. W. Hosthoff a cui rivolgiamo i più vivi ringraziamenti.

14 Il teatro alla moda, …., Napoli,… Vinaccia, 1761 p. 40.

15 M. Fabbri, Appunti didattici e riflessioni critiche …., Le inedite “Annotazioni sulla musica” di F.M. Veracini. Torino, Einaudi, 1965, pp. 17, 20, 21, 22. Il manoscritto di queste annotazioni si trova nella Biblioteca del Conservatorio di Firenze. Fabbri da indicazioni su questo ms. a p.27, nota 6.

16 "Lettera del Sig. Fètis sulle orchestre italiane", in G.M.M., 1843, pp. 112, 113, 117.

17 Trattato sul flauto traverso, a cura di S. Balestracci, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 1992

18 European and American Musical instruments, London, B.T. Batsford, 1966.

19 The French Horn-Some Notes…London, Benn Ltd, 1960. 20 The Horn and Horn Playing…, London, Oxford University Press, 1970.

21 «Modo di rappresentare Rossini», in Musica, vol. I, p. 71.

22 «Ragguaglio della parte musicale dell'Esposizione Universale in Parigi, Lettera Iª", in G.M.M., 23 dicembre 1855, n. 51, p. 404.

23 Di questi dischi non stiamo a dare l’elenco, per varie ragioni.

24 Anche se è ricorrente la frase che "esiste sempre un meglio" e la perfezione non sembra avere limiti. A parte l’intervento degli ingegneri acustici nelle registrazioni..!

25 Op. cit.; Woodwind Instruments and their History, London, Faber and Faber, 1962.

26 The Oboe…,London, E. Benn,1975; The Flute…London, E. Benn, 1969.

27 Musical Wind Instruments…, NewYork, Da Capo Press 1965.

28 The Basson and Contrabassoon, London, E. Benn, 1965

29 A Treatise on the Flute, London, Musica Rara, 1928.

30 Cfr. G.M.M., 1879, pp.402-403.

31 "Istrumenti a fiato di metallo" in G.M.M., 1879, p. 406.

32 A Treatise on the Flute, cit.p. 414.

33 Si veda per esempio O. Tiby, Acustica musicale e organologia... Palermo,Industrie Riunite Editoriali Siciliane,1933.

p. 173-174; Magni-Dufflocq, La fisica del suono…, Milano, Sonsogno 1934, pp. 85-86.

34 A tale proposito si vedano le interessanti valutazioni di P. Righini, Cenni sulla costruzione del corno, Torino, Augusta, s.d. p. 22 e seguenti e Acustica musicale,Torino, V.Giorgio. p. 106 e seguenti.

35 Cfr. R. Lunelli, "Un trattato di A. Barcotto...", in Collectanea Historiae Musicae, I, Firenze Olschki 1953, p. 149.

36 The Flute, cit. p. 8.

37 Luigi Panzini, Art. cit. in G.M.M., 1881, p. 250.

38 Op. cit. p. 10.

39 I tubi sonori la fisica degli strumenti a fiato, Bologna, Zanichelli,1967 p. 55.

40 Come per esempio G. Martino, Elementi di fisiologia umana, Milano, Principato, 1946, p. 343.

41 Museum, vol XIII, 1960, p. 221.

42 Sulla cui utilità per la buona intonazione si veda. U. Leone - P. Righini, Il diapason, Eri, 1969, parte III e p. 73 e 84. 43 Leone - Righini, Op. cit., p. 94.

44 Della fine del XVIII sec.?; questa corda ci è stata regalata dal liutaio Lapo Casini a cui rivolgiamo vivissimi ringraziamenti.

45 Tenendo presente quanto scritto da Leone e Righini in Op. cit., p. 42.

46 Naturalmente abbiamo anche tenuto presente tutta una serie di misurazioni termoigrometriche compiute in teatro e in sale di concerti in collaborazione con il M° Pasqualino Rossi.

47 Uno dei più noti nel campo della musica elettronica, con le apparecchiature elettroniche con cui egli lavora.

48 Primo flauto nell'orchestra del "Maggio Musicale Fiorentino".

49 Diplomato in flauto.

50 Fisico, dell'Istituto del Legno.

51 The Horn & Horn-Playing, cit. p. 191.

52 A Treatise on the Flute, cit. p. 626.

53 Op. cit., p. 94.

54 La signification la tâche et la technique muéeographique des collecions d’ intruments de musique, .. Extrait de Mouseion. Vol. 27-28, Paris 1934 p.14. Il brano è stato tradotto da K. Mesina e F. Perrone.

55 Op. cit. p. 31.

56 Fisica nella musica, Bologna, Zanichelli, 1999, p. 335 e 336.

57 A proposito degli odori del legno, ecco alcune considerazioni chimiche. I terpeni derivano dall'isoprene idrocarburo a 5 atomi di carbonio C5H8 con 2 isopreni si costruiscono i monoterpeni 2 C5H8 = C10H16 con 3 isopreni si costruiscono i sesquiterpeni 3 C5H8 = C15H24 questi composti sono i terpeni più diffusi in natura e in genere quelli responsabili del profumo del legno tra i monoterpeni c'è ad esempio il pinene, canfene, limonene con una polimerizzazione elevata si ottiene il caucciù presente nell'Hevea brasiliensis

58 La trottola di Prometeo – Introduzione alla percezione acustica e visiva., Roma – Bari, Laterza, 1996 pp.327 e 329.

59 Cfr. "Rivista musicale italiana", 1950, p. 172 e seguenti.

60 Celebre flautista.

61 Apparsa nel periodico "Fa La Ut ", n. 14, luglio settembre 2002, p. 13 e seguenti, il brano è a p. 17.

62 "Pianoforte e musica per istrumenti polifonici antichi" in Il pianoforte..., anno I n. 2, Torino, febbraio 1920, p. 5.

63 "L'elogio del pianoforte", in Il pianoforte..., anno I, n. 5, Torino maggio 1920, pp.8 9.

64 Cfr. N. Tabanelli, "Arte contemporanea - Oriani e la musica", in RMI , vol. XLII, Milano Bocca, 1938, pp. 325-343 e 495-505, particolarmente p. 500-501.

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