Fate ogni cosa per la gloria di Dio (1Cor. 10, 31)

Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

giovedì 7 agosto 2014

Il concetto cristiano di morte

Di Padre Alexander Schmemann, da Russkaya mysl’, marzo 1980.
 
“Soffrì e fu sepolto. E di nuovo risorse…”. Dopo la Croce, dopo la discesa nella morte c’è la risurrezione dai morti – che è la principale, fondamentale e decisiva conferma del Simbolo della fede, una conferma da parte del cuore stesso del cristianesimo. Infatti “se Cristo non è risuscitato, allora la vostra fede è vana”. Queste sono le parole dell’apostolo Paolo, e rimangono ad oggi fondamentali per il cristianesimo. Il cristianesimo è una fede, prima di tutto e soprattutto, nel fatto che Cristo non è rimasto nella tomba, che la vita ha rifulso fuori dalla morte, e che nella risurrezione di Cristo dai morti, l’assoluta, totalizzante legge del morire e della morte, che non ammette eccezioni, in qualche modo è stata spazzata via e superata dall’interno.
 
La Risurrezione di Cristo comprende, ripeto, il cuore stesso della fede cristiana e della Buona Notizia cristiana. Eppure, per quanto strano possa sembrare, nella vita quotidiana del cristianesimo e dei cristiani nel nostro tempo c’è poco spazio per questa fede. È come se fosse stata oscurata, ed il cristiano contemporaneo, senza essere consapevole di essa, non la respinge, ma in qualche modo rasenti attorno ad essa, e non vive la fede come hanno fatto i primi cristiani. Se frequenta la chiesa, egli ovviamente sente nelle ufficiature cristiane le gioiose e così risonanti conferme: “calpestando la morte con la morte”, “la morte è stata sommersa nella vittoria”, “regna la vita”, e “non vi sono più morti nelle tombe”. Ma chiedetegli ciò che realmente pensa sulla morte, e spesso (troppo spesso purtroppo) sentirete una sorta di vaga affermazione dell’immortalità dell’anima e della sua vita in una specie di mondo dell’oltretomba, una credenza che esisteva anche prima del cristianesimo. E questo nel migliore dei casi. Nel peggiore, si incontrerebbe solo perplessità e ignoranza, “Sai, veramente non ci ho mai pensato”.
 
Intanto, è assolutamente necessario pensarci, perché non è semplicemente con la fede o l’incredulità nell’immortalità “dell’anima”, ma propriamente nella Risurrezione di Cristo e nella nostra “risurrezione universale” alla fine del tempo che il tutto del cristianesimo “sta o cade”, come si suol dire. Se Cristo non è risorto, allora l’Evangelo è la frode più terribile di tutte. Ma se Cristo è risorto, allora non solo tutte le nostre rappresentazioni e le credenze pre-cristiane nell’immortalità “dell’anima” cambiano radicalmente, ma semplicemente svaniscono. E allora l’intera questione della morte si presenta in una luce completamente diversa. E qui sta il nocciolo della questione, che la Resurrezione soprattutto presuppone un atteggiamento verso la morte e un concetto di morte che è più profondamente diverso dalle sue solite asserzioni religiose, e in un certo senso questo concetto è l’opposto di quelle asserzioni.
 
Deve essere francamente affermato che la credenza classica nell’immortalità dell’anima esclude la fede nella risurrezione, perché la risurrezione (e questa è la radice della questione), comprende in sé non solo l’anima, ma anche il corpo. Basta leggere l’Evangelo, non lascia alcun dubbio. Quando videro il Cristo risorto, gli Apostoli, come dice l’Evangelo, pensavano che stessero vedendo un fantasma o una visione. Il primo compito del Cristo risorto fu quello di consentire loro di percepire la realtà del suo corpo. Egli prende il cibo e mangia davanti a loro. Comanda all’incredulo Tommaso di toccare il suo corpo, di essere convinto della Resurrezione tramite le sue dita. E quando gli Apostoli giunsero a credere, è proprio l’annuncio della risurrezione, la sua realtà, la sua “corporeità”, che diventa il contenuto principale, la potenza e la gioia della loro predicazione, e il sacramento centrale della Chiesa diventa comunione del pane e del vino come il Corpo e il Sangue di Cristo risorto. E in questo atto, dice l’apostolo Paolo, “proclamando la morte del Signore, essi confessano la sua risurrezione”.
 
Coloro che si convertono al cristianesimo si convertono non a idee o principi, ma accettano questa fede nella risurrezione, questa esperienza, questa conoscenza del Maestro risorto. Essi accettano la fede nella risurrezione universale, il che significa il superamento, la distruzione, l’annientamento della morte come fine ultimo del mondo. “L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte!”, esclama l’apostolo Paolo in una sorta di estasi spirituale. E ad ogni notte di Pasqua, noi lo annunziamo: “O morte, dov’è il tuo pungiglione? O inferno, dov’è la tua vittoria? Cristo è risorto, e non vi sono più morti nelle tombe. Cristo è risorto, e regna la vita!”. In questo modo l’accettazione o non accettazione di Cristo e del cristianesimo è essenzialmente l’accettazione o non accettazione della fede nella sua risurrezione, e nel linguaggio di asserzioni religiose che significa credere nell’unione in Lui di corpo e anima, di cui la dissoluzione e la rovina è morte.
 
Qui non stiamo parlando di coloro che rifiutano la risurrezione di Cristo, perché rifiutano l’esistenza stessa di Dio, cioè convinti (o pensano di essere convinti) atei. La discussione riguarda un’area del tutto diversa. Di importanza molto maggiore è quella strana “oscurità” della fede nella risurrezione, che ho appena citato, tra quei credenti stessi, tra quegli stessi cristiani che congiungono in modo peculiare la celebrazione della Pasqua con l’attuale, forse spesso inconscio, rigetto della resurrezione di Cristo. Si è verificato nel cristianesimo storico una sorta di ritorno al concetto pre-cristiano della morte, che consiste, in primo luogo, nel riconoscimento della morte come una “legge di natura”, vale a dire un fenomeno insito nella natura stessa, con la quale, per questo motivo, e non importa quanto spaventosa la morte possa essere, bisogna “scendere a patti”, che si deve accettare.
 
Infatti, tutto il non-cristiano, tutte le religioni naturali, tutte le filosofie sono in sostanza occupati con il nostro “venire a patti” con la morte e il tentativo di dimostrare per noi la sorgente della vita immortale, dell’anima immortale in una sorta di mondo alieno al di là della fossa. Platone, per esempio, e dopo di lui innumerevoli seguaci insegnano che la morte è una liberazione dal corpo che l’anima desidera, e in questa circostanza la fede nella resurrezione del corpo, non solo diventa inutile, ma anche incomprensibile, persino falsa e non veritiera. Al fine di percepire il senso di tutta la fede cristiana nella risurrezione, dobbiamo iniziare non da questa credenza stessa, ma dalla concezione cristiana del corpo e della morte, perché qui si trova la radice del malinteso, anche all’interno del cristianesimo.
 
La coscienza religiosa presuppone che la risurrezione di Cristo è prima di tutto un miracolo, cosa che naturalmente è. Ma per la coscienza religiosa media questo miracolo è ancora maggiore: il miracolo di tutti i miracoli resta “unico” per così dire, appartenente a Cristo. E poiché riconosciamo che Cristo è Dio, questo miracolo cessa di essere un miracolo in un certo senso. Dio è onnipotente, Dio è Dio, Dio può fare qualsiasi cosa! Qualunque cosa la morte di Cristo significhi, la sua forza e il potere divino non avrebbero permesso che Lui rimanesse nella tomba.
 
Eppure il nocciolo della questione è che tutto questo comprende solo la metà della secolare interpretazione cristiana della risurrezione di Cristo. La gioia del primo cristianesimo, che vive ancora nella Chiesa, nelle sue ufficiature, nei suoi canti e nelle sue preghiere, e soprattutto nell’incomparabile festa di Pasqua, non separa la risurrezione di Cristo dalla risurrezione “universale”, che nasce e comincia nella risurrezione di Cristo.
 
Celebrando una settimana prima della Pasqua di Cristo la risurrezione del suo amico Lazzaro, la Chiesa ratifica solennemente e con gioia che questo miracolo è una “conferma della risurrezione universale”. Ma nella mente dei fedeli queste due parti inseparabili della fede – la fede nella risurrezione di Cristo e la fede nella “risurrezione universale”, da lui iniziata – sono stati in qualche modo disconnessi. Ciò che rimane intatta è la fede nella risurrezione di Cristo dai morti, la sua risurrezione nel corpo, cui invita a toccare l’incredulo Tommaso: “metti qua il tuo dito, e spingilo nelle mie ferite: e non essere più incredulo ma credente”.
 
Ora, come per il nostro mortale e finale destino e fato dopo la morte, che abbiamo cominciato a chiamare il mondo dell’oltretomba, questo destino e fato ha gradualmente cessato di essere interpretato alla luce della Risurrezione di Cristo e del suo rapporto con esso. Per quanto concerne Cristo noi confermiamo che egli è risorto dai morti, ma per quanto riguarda noi stessi diciamo che crediamo nell’immortalità dell’anima, in cui i Greci e gli Ebrei credevano secoli prima di Cristo, in cui al giorno presente tutte le religioni credono, senza eccezioni, e per i quali credere nella Resurrezione di Cristo (per quanto ciò possa suonare strano) è addirittura inutile...
 
Qual è il motivo alla base di questa strana biforcazione? Il motivo risiede nel nostro concetto di morte, o meglio in un diverso concetto di morte come la separazione dell’anima dal corpo. Tutte le “religiosità” pre-cristiane ed extra-cristiane, insegnano che questa separazione dell’anima dal corpo deve essere considerata non solo “naturale”, ma anche positiva, che in questo deve essere considerata una liberazione dell’anima dal corpo, che impedisce all’anima di essere spirituale, celeste, pura e benedetta. Dal momento che nell’esperienza umana il male, la malattia, la sofferenza e le passioni nascono dal corpo, lo scopo e il significato della religione e della vita religiosa diventa naturalmente la liberazione dell’anima da questo corpo “prigione”, una liberazione, che proprio nella morte le permette di raggiungere la sua pienezza.
 
Ma deve essere più fortemente sottolineato che questo concetto di morte non è cristiano, e, inoltre, è incompatibile con il cristianesimo, palesemente contraddittorio. Il cristianesimo proclama, conferma e insegna, che questa separazione dell’anima dal corpo, che noi chiamiamo morte, è il male. Non fa parte della creazione di Dio. È ciò che è entrato nel mondo, che lo rende soggetto a se stesso, ma opposto a Dio e che viola il suo disegno, il suo desiderio per il mondo, per l’umanità e per la vita. È ciò che Cristo è venuto a distruggere.
 
Ma ancora una volta, in modo non tanto da capire, ma piuttosto di sentire, percepire questa interpretazione cristiana della morte, dobbiamo cominciare a dire almeno qualche parola su questo disegno di Dio, come ci è stato rivelato nella Sacra Scrittura e rivelato nella sua pienezza in Cristo, nel suo insegnamento, nella sua morte e nella sua Risurrezione.
 
Questo disegno può essere in modo semplice e conciso, così delineato: Dio ha creato l’uomo con un corpo e un’anima, cioè subito sia spirituale che materiale, ed è proprio questa unione di spirito, anima e corpo che è chiamata uomo nella Bibbia e nell’Evangelo. L’uomo, in quanto creato da Dio, è un corpo animato e uno spirito incarnato, e per questo motivo ogni loro separazione, e non solo la separazione definitiva, nella morte, ma anche prima della morte, qualsiasi violazione di tale unione è male. È una catastrofe spirituale. Da questo riceviamo la nostra fede nella salvezza del mondo attraverso il Dio incarnato, cioè ancora, soprattutto, la nostra fede nella sua accettazione della carne e del corpo, non “simil-corpo”, ma un corpo nel senso più pieno della parola: un corpo che ha bisogno di cibo, che si stanca e che soffre. Così quello che nella Scrittura è chiamato vita, quella vita, che consiste prima di tutto del corpo umano, animato dallo spirito e dello spirito fatto carne, giunge a termine – al momento della morte – nella separazione dell’anima e del corpo. No, l’uomo non scompare con la morte, perché la creazione non può distruggere ciò che Dio ha chiamato dal nulla in essere. Ma l’uomo è immerso nella morte, nel buio di assenza di vita e di debolezza. Egli, come dice l’apostolo Paolo, è dato alla distruzione e rovina.
 
Qui vorrei, ancora una volta, ribadire e sottolineare che Dio non ha creato il mondo per questa separazione, morte, rovina e corruzione. E per questo motivo l’Evangelo cristiano proclama che “l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte”. La Risurrezione è la ricreazione del mondo, nella sua originaria bellezza e totalità. È la completa spiritualizzazione della materia e l’incarnazione completa dello spirito nella creazione di Dio. Il mondo è stato dato all’uomo come sua vita, e per questo motivo, secondo il nostro insegnamento cristiano ortodosso, Dio non la annienterà, ma la trasformerà in “un nuovo cielo e una nuova terra”, nel corpo spirituale dell’uomo, nel tempio della presenza di Dio e della gloria di Dio nella creazione.
 
“L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte…”. E quella distruzione, quello sterminio della morte è iniziato quando il Figlio di Dio stesso nel suo amore immortale per noi discese volontariamente nella morte e nella sua oscurità, riempiendo la sua disperazione e l’orrore con la sua luce ed il suo amore. Ed è per questo che a Pasqua cantiamo, non solo “Cristo è risorto dai morti”, ma anche “calpestando la morte con la morte…”.
 
Egli soltanto è risorto dalla morte, ma ha distrutto la nostra morte, distruggendo il suo dominio, la sua disperazione, la sua finalità. Cristo non ci promette il Nirvana o una specie di vita nebulosa nell’oltretomba, ma la risurrezione della vita, un nuovo cielo e una nuova terra, la gioia della risurrezione universale. “I morti sono risorti, e coloro che sono nelle tombe cantano di gioia...”. Cristo è risorto, e rimane la vita, vive la vita... Quello è il significato, quella è la gioia senza fine di questa conferma davvero centrale e fondamentale del Simbolo della fede : “E il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture”. Secondo le Scritture, ovvero secondo tale conoscenza della vita, con quel disegno per il mondo e per l’umanità, per l’anima ed il corpo, per lo spirito e la materia, per la vita e la morte, ciò che ci è stato rivelato nelle Sacre Scritture. Questa è l’intera fede, l’intero amore, e l’intera speranza di tutto il cristianesimo. Ed è per questo che l’apostolo Paolo dice: “Se Cristo non è risuscitato, allora la vostra fede è vana”.

Nessun commento:

Posta un commento