Il culto dell'icona mariana, raffigurante la Protettrice di Foggia (la mia città natale! n.d.r.), è senza dubbio avvolto dal mistero considerando che, fatto alquanto singolare, nessuno mai tra i fedeli ha potuto vedere l'immagine della Vergine dipinta sulla tavola ritrovata dai pastori intorno all'anno mille.
[…] La Vergine Assunta in Cielo, della quale se ne conserva l’antica Icone, volgarmente chiamata Iconavetere, e si adora coverta da sette veli, cioè tele greche intessute di seta di varii colori, oltre le preziose fatte da divoti cittadini, una di ricamo d’oro e d’argento, e l’altra tutta d’argento, e due dei regi Napoletani della Casa d’Angiò e della casa di Hohenstauffen con le loro imprese […] (G. Calvanese, Memorie per la città di Foggia, Leone Editrice, Foggia 1991, rist. anast. 1932, pp. 74 e 75.)
Pare che l'icona - di tipo "Nikopeia" (colei che mostra la vittoria), col Bambino tra le braccia, all'altezza del petto e dipinta frontalmente – sia stata portata nel 485 d. C. a Siponto dalla città di Costantinopoli, dove era oggetto di grande venerazione. Sarebbe stata consegnata, in tale circostanza, al vescovo Lorenzo Maiorano, che ne fece dono alla città di Arpi. Durante la distruzione della città nel 600 d. C. circa, l’icona fu posta in salvo da un contadino del luogo che, avvoltala in drappi, l’avrebbe poi nascosta nel sito del suo rinvenimento. Nel 1062 Foggia non era ancora una città. I pochi casolari arroccati intorno alla Taverna del Gufo si perdevano solitari nella campagna arroventata. I grandi querceti, numerosi all'epoca, erano ricchi di selvaggina. Qua e là, in primavera, occhieggiavano laghetti e stagni, resti delle piogge invernali. Fu sulle acque di una di queste pozze che ebbe inizio la storia della Madre di Dio dei Sette veli e, con essa, la storia di Foggia.
Alcuni contadini, che conducevano i buoi all'abbeverata, videro tre fiammelle posate sulle acque. Incuriositi e timorosi si avvicinarono e con grande stupore trovarono, così, nella melma, una grande tavola avvolta in teli. La scoprirono: era un'icona che né l'acqua, né le traversie del tempo erano riuscite a distruggere del tutto. Nonostante fosse degradata, si distingueva bene l'immagine della Vergine Madre di Dio nell'atto di offrire all'adorazione il suo Figlio Gesù. I contadini rivestirono prontamente l'immagine di veli nuovi e la portarono in una vicina casupola, la Taverna del Gufo. La capanna divenne ben presto il centro religioso della zona e nei dintorni si costruirono molte case. I forestieri cominciarono ad affluire numerosi per venerare la Madre di Dio, ma anche per trafficare con i pastori abruzzesi che affollavano la zona da settembre a maggio. La Taverna del Gufo con la sua preziosa icona divenne poi una chiesa rurale, che sia i forestieri che i paesani chiamavano Sancta Maria de Focis, a ricordo della Vergine Santa e delle tre fiammelle apparse sulle acque dello stagno; attorno ad essa si formò il primo nucleo abitativo che riunì gli abitanti dell’antica Arpi, dispersi nelle vicinanze dopo la distruzione della città.
Nel 1080 Roberto il Guiscardo volle che sullo stagno dove era stato rinvenuto il Sacro Tavolo fosse costruita una grande chiesa. Appena ultimata, la chiesa venne elevata al rango di Chiesa Palatina e l'immagine della Vergine vi trovò la sua definitiva sistemazione. Nel 1172 il tempio venne ampliato su interessamento di Guglielmo II di Sicilia, detto il Buono. Con la chiesa cresceva anche la città che divenne ben presto una delle più importanti del Regno. La storia del santuario si identificò con quella della città. Via via che la città s'ingrandiva, la chiesa veniva abbellita e arricchita di arredi, di nuove rendite e di privilegi. Tutti i re, dai Normanni agli Svevi, agli Angioini fino agli Aragonesi, gli Spagnoli e, infine, i Borboni, considerarono quella di Foggia come una delle chiese più care. Spesso Foggia ospitava le assemblee parlamentari di cui la sua chiesa era il centro religioso. Carlo I d’Angiò ne fece la sua cappella palatina, e qui volle che nel 1274 si celebrassero le nozze tra la terzogenita Beatrice e Filippo di Courtenay. Furono devoti dell’Iconavetere anche Carlo II lo Zoppo, Roberto il Saggio, Giovanna I, Giovanna II ed il consorte Ladislao, Alfonso I e suo figlio Ferrante I d’Aragona.
Diverse volte i Principi Regnanti scelsero la Chiesa di Santa Maria de Focis per i loro matrimoni. Nel 1767 Maria Carolina d’Asburgo, moglie di Ferdinando IV di Borbone, si recò in pellegrinaggio a Foggia. Più tardi ella volle che le nozze tra suo figlio Francesco I, principe ereditario, e Maria Clementina d’Austria, fossero celebrate a Foggia. Correva l’anno 1797 e per un solo giorno la città fu capitale e l’Iconavetere patrona del Regno. Il Re Carlo I d'Angiò, morto a Foggia nel 1285, volle che nella Chiesa di Santa Maria fosse sepolto il suo cuore.
Il 1731 fu un anno memorabile nella storia di questo santuario. Alle 3 di notte la città fu colpita da un violento terremoto che provocò 20.000 morti: dal suolo sgorgava molta acqua, a conferma che la città era stata costruita su una zona paludosa. La Chiesa della Collegiata di Foggia era stata semidistrutta e l’icona era alloggiata nella chiesa di San Giovanni Battista. Il 22 marzo, giovedì santo, mentre il popolo era tutto raccolto nella partecipazione alla Santa Messa, si vide distintamente apparire nella piccola finestra ogivale dell’icona il volto della Vergine Madre di Dio.
Alfonso Maria de' Liguori, appresa la notizia, volle recarsi a Foggia per rendere omaggio all’icona. Anche lui ebbe il privilegio di vedere la Vergine, anzi, si narra che durante la visione levitò davanti al popolo riunito nella chiesa. Le apparizioni si rinnovarono fino al 1745. Nel 1782 la sacra immagine venne incoronata con decreto del Capitolo Vaticano e nel 1806, per volere di Pio VII, la chiesa fu insignita del titolo di Basilica Minore. Infine, nel 1855, con la istituzione della Diocesi di Foggia, la chiesa di Santa Maria de Focis venne elevata a cattedrale della nuova diocesi.
La prima ricognizione dell’icona di cui si ha notizia fu effettuata nel 1667 ad opera di Mons. Sebastiano Sorrentino, vescovo di Troia. Questo avvenimento è attestato da un atto notarile risalente al 1680 rogato dal notaio foggiano Giuseppe Di Stasio riportante le ultime volontà del canonico don Ignazio Fusco, arciprete della chiesa di San Tommaso Apostolo. Tale documento, custodito presso l'Archivio di Stato di Lucera, parla proprio della ricognizione fatta di notte dal prelato accompagnato da due cappuccini per volere del vescovo di Troia. Il canonico sosteneva che, tolti i veli all'icona, gli apparve una tavola di cedro con l'immagine della Madre di Dio sbiadita. Nel documento non si fa menzione al numero di veli che avvolgono l’icona per cui resta il mistero intorno al numero sette: si è detto dei drappi con i quali il pastore l'avrebbe protetta e nascosta dalla distruzione di Arpi, ma il numero sette potrebbe avere più un significato simbolico legato al numero dei Sacramenti o delle virtù cardinali o ancora dei vizi capitali.
Altre ricognizioni furono effettuate: sicuramente una negli anni’60 e una nel 1980, per restauri, ma evidentemente qualcosa deve essere successo tra il XVII e il XX secolo perché dell’icona originaria in realtà non vi è traccia. L’immagine attuale è un dipinto raffigurante la Vergine riccamente abbigliata, seduta con il bambino in grembo. In tale occasione, è stato stabilito che, dal profilo dell’aureola che emerge, è possibile collocare l’opera secondo stili diffusi in ambito abruzzese e campano. Le tracce di lapislazzuli e di oro, gli alveoli destinati ad ospitare pietre dure intorno alle aureole, emersi nel corso del restauro risalente agli anni sessanta, attestano la preziosità dell’icona, databile tra l’XI ed il XII secolo. Altra particolarità è che la Madre di Dio dei Sette veli ha metà del volto dipinto oltre il quadro; la Vergine, dunque, "esce" per metà viso fuori dal quadro. La metà del viso dipinta oltre è ripiegata all'indietro tramite cerniere.
L’icona oggi risiede nella Cattedrale di Foggia, dove i cittadini si recano per venerarla il 22 marzo e il 15 agosto e si presenta tutta ricoperta da preziosi drappi riccamente ricamati. Verso la sommità si vede un'apertura ovoidale ricoperta di stoffa nera dalla quale la Vergine sarebbe apparsa nel XVIII secolo.
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