Tratto da arturu.it
Tra la metà del XVI e la metà del XVII secolo la musica europea mutò completamente spirito, carattere, forme, qualità timbriche ed espressive. In sintesi:
- la polifonia fu ancora impiegata, soprattutto nella musica sacra, mentre si affermò la monodia, che occupò uno spazio sempre maggiore;
- parallelamente, il contrappunto, imitato e libero, perse importanza rispetto alla nascente scienza dell'armonia;
- i modi di origine ecclesiastica, sui quali per oltre un millennio si erano basate le composizioni, furono a poco a poco sostituiti dai moderni modi maggiore e minore;
- la musica strumentale assunse una importanza crescente.
La trattatistica nei secoli XV e XVI
Queste trasformazioni trovarono riscontro negli scritti dei teorici dalla metà del secolo XV in poi. Partecipi del rinnovamento della cultura e dei metodi d'indagine attuato durante il Rinascimento, i trattatisti del tempo affrontarono con spirito critico e lo studio del linguaggio sonoro, indagando i fenomeni acustici, le forme e l'esperienza musicale. Tra i trattatisti del primo periodo vanno ricordati:
il fiammingo Johannes Tinctoris (1446-1511), vissuto a Napoli, autore di diversi trattati, oggi ricordato quale autore del primo dizionario lessicale della musica, il "Terminorum musicae diffinitorium" (= definizioni dei termini musicali - 1474).
Lo spagnolo Bartolomeo Ramos (o Ramis) de Pareja, che insegnò lungamente a Bologna. Nel suo "Musica pratica" (1482), egli criticò l'esacordo di Guido d'Arezzo, di cui prese le difese Nicola Bruzio da Parma; intervenne poi nella polemica un allievo del Pareja, Giovanni Spataro di Bologna.
Franchino Gaffurio di Lodi (1455-1522) va ricordato sia come teorico, autore di numerosi trattati (Theoricum opus musicae disciplinae (1480), Pratica musicae (1496), Angelicum ac Divinum opus musicae (1508)), sia come maestro di cappella del duomo di Milano e autore di messe e mottetti. Pietro Aron di Firenze, autore del "Toscanello della musica" (1523), il primo trattato di musica scritto in italiano.
I principali trattatisti del Rinascimento furono però Heinrich Loris, detto il Glareano, dal nome della cittadina svizzera (Glarus) nella quale nacque (1488-1563), autore del Dodekachordon (1547), e Gioseffo Zarlino di Chioggia (1517-1590), maestro di cappella in San Marco dal 1565 quale successore di Cipriano de Rore, autore delle fondamentali Istitutioni armoniche (1558), delle Dimostrazioni armoniche (1571), e dei Supplementi musicali (1588).
Lo studio della antica musica greca inspirò all'umanista e musicista Nicolò Vicentino (1511-1572) la stesura del trattato L'antica musica ridotta alla moderna pratica (1555). Egli tentò (ma senza successo) di richiamare in vita la musica greca anche costruendo due strumenti - L'archicembalo e l'archiorgano - che erano in grado di riprodurre gli intervalli dei vari generi in quella musica. Il confronto tra antichi e moderni, secondo il procedimento che fu caro alla cultura rinascimentale e a quella post-rinascimentale, anima il Dialogo della musica antica e della moderna (1581) del musicista fiorentino Vincenzo Galilei (1533-1591), padre del celebre astronomo e matematico. Il Dialogo ebbe notevole importanza nell'indirizzare i dibattiti della camerata Bardi.
Altri trattatisti del tempo
Il canonico bolognese Giovanni M. Artusi, ricordato per il trattato L'Artusi, ovvero delle imperfezioni della moderna musica (1600), riassunto della concezione tradizionale del contrappunto, che sviluppò una polemica famosa contro Monteverdi. Il bergamasco Pietro Cerone, autore di El Melopeo y Maestro (1613), pubblicato in spagnolo, prezioso per la conoscenza della polifonia sacra del rinascimento. Agostino Agazzari di Siena, che descrisse il breve opuscolo Del sonare sopra il basso con tutti gli strumenti e del loro uso nel concerto (1607), la più importante trattazione del basso continuo. I nuovi valori linguistici e stilistici sui quali si basò l'arte musicale del secolo XVII in poi - e cioè la tonalità, l'armonia e il basso continuo - furono registrati in alcune delle opere teoriche citate; su di esse, e soprattutto sulle trasformazioni che esse segnalarono e analizzarono, è opportuno soffermarsi brevemente.
L'origine della tonalità
Il passaggio dai modi gregoriani ai toni moderni avvenne attraverso l'alterazione di una nota che, spostando la posizione di un semitono, modificava la natura della scala modale nella quale tale fatto si verificava. Ciò era già avvenuto, nella pratica, con l'abbassamento di un semitono nel si (da si naturale a si bemolle), nel quinto e nel sesto modo, per evitare l'intervallo melodico di quarta eccedente o tritono (fa-si). Il fenomeno degli spostamenti si ampliò durante il secolo XVI. L'importanza della sensibile nei movimenti cadenziali, già frequenti nella musica del tempo, e la nuova sensibilità armonica che si veniva formando attraverso la pratica musicale, soprattutto strumentale, furono i fattori principali che concorsero a trasformare i modi ecclesiastici nei nostri maggiore e minore. I nuovi modi furono presentati dal Glareano nel suo Dodekachordon (1547), come aggiunta di nuovi 4 modi agli 8 della tradizione gregoriana. Essi furono:
Lo spostamento delle posizioni dei semitoni per le ragioni suddette fece si che i due nuovi modi autentici, eolio e ionico, chiamati semplicemente minore e maggiore, rimanessero soli, avendo assimilato gli altri. Le composizioni del secolo XVII si basarono sulle nuove scale tonali, ad eccezione di quelle collegate con la pratica liturgica di derivazione gregoriana, per le quali il trapasso fu più lento.
L'origine dell'armonia
L'armonia si affermò empiricamente dalla pratica degli strumenti polivoci (in grado, cioè, di eseguire più suoni simultanei): il liuto, l'organo, il clavicembalo e i suoi congeneri. Le esecuzioni su questi strumenti richiamavano l'attenzione di coloro che li suonavano non più sullo svolgimento orizzontale delle varie voci, ma sulla verticalità di suoni che appartenevano a voci diverse, ed erano eseguiti simultaneamente; e ciò comportava la creazione di accordi. La teoria dell'armonia fu enunciata da Gioseffo Zarlino nelle Istituzioni armoniche (1558). Zarlino affermò anzitutto la legittimità di una scienza armonica, essendo gli accordi frutto e conseguenza delle leggi naturali che governano l'acustica.
Secondo queste leggi fisiche, ogni suono fondamentale genera una serie di suoni più acuti, i suoni armonici. Gli accordi perfetti (triadi) maggiori sono formati con i suoni corrispondenti alla successione dei primi 6 suoni armonici dello stesso suono fondamentale: non sono perciò il frutto di un'invenzione teorica o astratta dei musicisti, ma la proiezione di un principio insito nella natura stessa della materia sonora. Zarlino costituì una nuova scala diatonica, la scala naturale o zarliniana, che costituì la scala pitagorica. Gli intervalli della scala naturale sono basati sui rapporti che intercorrono tra un suono e i suoi armonici di acustica). In base a questi rapporti la consonanza degli intervalli di terza, maggiori e minore (e dei loro rivolti di sesta minore o maggiore) fu spiegata con la gradevolezza all'udito, ma soprattutto perché espressione di rapporti relativamente semplici, rispettivamente 5/4 e 6/5.
L'origine del basso continuo
L'usanza diffusa alla fine del secolo XV nell'esecuzione di brani polifonici, soprattutto profani, di sostituire alcune voci - mai la più acuta o le più acute - con uno o più strumenti, e la conseguente tendenza a concatenare nella voce o nelle voci superiori i significati e le risorse espressive avevano modificato (come si è già detto precedentemente, sull'origine dell'armonia) la concezione lineare-melodica, propria della scrittura contrappuntistica, in quella verticale-armonica che si concretò negli accordi e fu fondamento dello stile monodico. Venendo a mancare il bilancio equilibrato fra tutte le parti di una composizione polifonica, che era stato la più alta conquista del contrappunto imitato di derivazione fiamminga, nella melodia all'acuto si concretavano i valori e la carica espressivi. Essa era sostenuta dal basso il quale, in quanto generatore degli accordi, riassumeva e compendiava, in certo senso, le altre parti accompagnanti.
Questo basso fu chiamato continuo in contrapposizione a quello delle composizioni polifoniche, spesso interrotto. Nella pratica, perché la realizzazione degli accordi sul basso non generasse equivoci, il compositore sovrapponeva (o sottoponeva) alle note del basso alcune cifre, come avviene ancora oggi nello studio dell'armonia, per la realizzazione del basso dato. Esse avevano la funzione di indicare agli esecutori quali accordi eseguire sull'organo o sul clavicembalo.
In passato il merito di queste innovazioni fu attribuito al compositore Ludovico Grossi da Viadana (1560 ca. - 1627), il quale lo avrebbe attuato per la prima volta nella stampa dei suoi Cento concerti ecclesiastici (= mottetti) a 1-4 voci, con il basso continuo per suonar l'organo (1602). Invece lo precedettero Giovanni Croce e Adriano Banchieri, in opere del 1590 e 1595 rispettivamente. L'opera del Grossi da Viadana è però importante perché egli fu il primo, nella Prefazione dei concerti ecclesiastici, a spiegare il nuovo principio compositivo.
Il basso continuo (abbreviato b.c.) fu impiegato costantemente durante l'età barocca (1600-1750 ca), nell'accompagnamento della musica vocale (cantate, opere, oratori, messe, ecc.) e di quelle strumentali non a tastiera (suites, sonate, concerti ecc..). Era eseguito da due strumenti: uno, melodico, di solito ad arco (violone, viola da gamba, poi violoncello) suonava la parte del basso; l'altro, a tastiera (clavicembalo, organo) o a corde (liuto, tiorba, arpa) realizzava gli accordi, di solito improvvisando, seguendo le prescrizioni dei numeri posti sotto o sopra le note del basso.
Gli strumenti musicali del rinascimento
Negli affreschi e nei quadri di soggetto sacro e profano del Rinascimento venivano spesso riprodotti strumenti musicali, sia in opere in cui sono raffigurate scene di vita musicale (ce ne sono, tra altri, di Giorgione, Gaudenzio Ferrari, Tiziano, Caravaggio, Dürer, Mathias Grünewald, van Dyck) sia in opere di soggetto generico. Questa abbondante iconografia dimostra quanti e quanto vari, di dimensione e forma, fossero gli strumenti musicali impiegati durante il Rinascimento e, indirettamente, quale fosse la loro importanza nelle cerimonie religiose e nei molteplici aspetti della vita della società. Nel Cinquecento erano ancora impiegati strumenti già diffusi nel basso Medioevo; alcuni furono perfezionati ed arricchiti e se ne aggiunsero altri nuovi.
Strumenti a corde e a fiato
Lo strumento che ebbe la massima popolarità e diffusione durante il secolo XVI e l'inizio del XVII fu il liuto. Di origine orientale, il liuto fu portato in Europa all'epoca delle Crociate e da allora si diffuse gradualmente, conseguendo nel secolo XVI un'importanza e un rilievo, come strumento solista e strumento di accompagnamento, che sono paragonabili solo a quelli del pianoforte tre secoli più tardi. Il tipo più comune di liuto era armato con 11 corde, tre doppie intonate all'ottava, due doppie all'unisono e una (cantino) senza raddoppio.
Alla fine del secolo, volendo aumentare la sonorità dello strumento, si aggiunsero altre corde, più lunghe e quindi con intonazione più grave. Nacquero così nuovi esemplari della famiglia del liuto: la tiorba con due manici paralleli, simile all'arciliuto che però è più lungo, e il chitarrone alto quanto un uomo e montato con corde di acciaio. Questi strumenti trovarono impiego nell'esecuzione dei melodrammi, perché le loro corde consentivano di liberare suoni gravi e ricchi di sonorità.
Le intavolature o tabulature (composizioni strumentali) per liuto erano scritte in una grafia musicale molto diversa da quella della scrittura vocale dell'epoca e di oggi. Esse infatti riproducevano, mediante un tracciato di 6 linee, la cordiera del liuto; su di esse venivano indicate con cifre (nelle intavolature italiane o spagnole), con lettere (nelle intavolature francesi), con lettere e cifre (dai tedeschi), le differenti posizioni in cui occorreva premere ogni corda. Sopra le cifre o le lettere segni particolari indicavano la durata delle singole note
Dalla viella nacquero, durante il secolo XV, tre famiglie di strumenti ad arco: le lire, la viola da gamba e la viola da braccio. La lira nelle varietà da braccio e da gamba (o lirone), era fornita da 7 corde, 2 delle quali di bordone; il manico terminava a forma di cuore, con le caviglie infisse trasversalmente. La lira da gamba (così detta perché l'esecutore la teneva stretta fra le ginocchia) era costituita in vari tipi di dimensioni diverse; i tipi più usati erano il basso e il contrabasso di viola (o violone). Era munita di 5-7 corde, accordate per quarta (a 4 corde per quinta): pare che il merito della trasformazione si debba attribuire ad Andrea Amati. Il contrabasso, di tutti gli strumenti ad arco, è quello che conservò più fedelmente le caratteristiche esterne delle antiche viole. Le viole da braccio erano costituite anch'esse di dimensioni diverse, da cui i nomi di viola soprano, viola contralto, viola tenore; erano fornite di 6 corde intonate per quarta. Questi strumenti caddero in disuso nel Seicento, mentre si diffondevano nuovi strumenti da essi derivati: il violino conosciuto verso il 1550, a 4 corde intonate per quinta; l'odierna viola (lo stesso numero di corde con gli stessi intervalli) che soppiantò nell'uso la viola tenore.
Tra gli strumenti a fiato, più diffusi erano:
- i cornetti, dritti o ricurvi, derivati da quello medioevale;
- la tromba, di vari tipi, tra cui il clarino di registro acuto, ancora usato nel XVIII secolo;
- i flauti, dritti e traversi;
- i fagotti derivati dalla bombarda e ancora differenti dall'omonimo strumento oggi in uso. Dalla bombarda si sviluppò anche l'oboe.
Strumenti a tastiera
Insieme con il liuto, nel Cinquecento e nei secoli seguenti ebbero diffuso impiego gli strumenti a tastiera: l'organo, il regale, il clavicordo e il clavicembalo. L'organo rinascimentale si presentava come un ampliamento del positivo medioevale. Accolto definitivamente nelle chiese come strumento liturgico, ebbe dimensioni più estese. Fu aumentato il numero dei registri e ai principali si aggiunsero registri di mutazione; nei manuali si introdussero tasti meno larghi e più profondi, e ciò consentiva esecuzioni più agili e sciolte. Prima nei Paesi Bassi e in Germania e successivamente negli altri Paesi europei fu introdotta la pedaliera. Gli ulteriori perfezionamenti si realizzavano nel periodo barocco, ad opera principalmente degli organari tedeschi, i quali ampliarono ulteriormente le dimensioni dello strumento, aggiungendo nuovi registri e curando molto la decorazione esterna della cassa.
I trattati di musica strumentale
La diffusione degli strumenti e della musica strumentale, ebbe come conseguenza diretta la pubblicazione di un notevole numero e varietà di trattati. Essi non hanno nulla a che vedere con i moderni metodi per lo studio dei vari strumenti, che seguono procedimenti didattici formulati a partire dalla seconda metà del secolo XVIII.
I trattati di musica strumentale del Rinascimento hanno due elementi che non appaiono sempre né costantemente. Il primo è che essi si prefiggevano principalmente di insegnare a trasporre sui diversi strumenti composizioni di origine vocale. Ciò richiedeva una trasformazione delle melodie strumentali, soprattutto l'impiego delle coloriture (diminuzioni, passaggi), cioè l'introduzione di fioriture o note di passaggio. L'altro elemento è il carattere composito di molti trattati, i quali facevano seguire alla parte precettistica un'antologia o scelta di composizioni per lo strumento o per gli strumenti dei quali si occupavano. Molta importanza ebbero, fra numerosi altri, le opere e gli scrittori che qui di seguito ricordiamo.
Il più antico scrittore di un trattato per l'organo fu Conrad Paumann, organista cieco di Norimberga, che nel 1452 scrisse il Fundamentum organisandi. Stefano Ganassi del Fontego lasciò due trattati: la Fontegare (1535) per i flauti, e la Regula rubertina (1543) per le viole. Dello spagnolo Diego Ortiz di Toledo è il Tractado de glosas sobre clausulas y otros generos de punto en la musica de violones (1553), per gli strumentisti ad arco (glosas è l'equivalente spagnolo di diminuzioni). Vincenzo Galilei, il già ricordato autore del Dialogo della musica antica e della moderna, aveva in precedenza compilato un trattato-antologia in forma di dialogo per liuto, Il Fronino (1568).
Molto importante, per gli strumenti a tastiera, fu Il Transilvano, Dialogo sopra il vero modo di suonar organi et istromenti da penna (= il clavicembalo) del perugino Girolamo Diruta, in due parti (1593 e 1609-10). Esso contiene un'importante antologia di composizioni dei maggiori maestri italiani del tempo. Assai ampi elenchi, ricchi di illustrazioni, degli strumenti rinascimentali sono contenuti in Musica getutsch (1511) di Sebastian Virdung, e nel secondo volume del Sybtagna musicum (1618) di Michael Praetorius.
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