Di Pietro Galignani
Da Simposio Cristiano, ed. dell'Istituto di Studi
Teologici Ortodossi "S. Gregorio Palamas", Milano 1989, pp. 63-82.
L'impero bizantino subì nel sec. XIV profonde tensioni che
incisero profondamente la sua storia. Nicola Kavasilas, che ha pensato in questo
periodo, visse tra la ripresa dell'umanesimo greco e la riaffermazione
dell'esperienza mistica, tra i progetti per ridare coesione e vitalità allo
stato e le manovre destabilizzanti delle potenze mediterranee, tra l'avanzata
dell'esercito turco e i tentativi di unione ecclesiale.
Durante la sua giovinezza si schierò con Giovanni Cantacuzeno
contro la reggenza per Giovanni Paleologo. Nel 1349 Giovanni, Demetrio Cidone e
Nicola progettarono di ritirarsi in un monastero ma il progetto non ebbe
esecuzione. Nel 1354 l'imperatore Giovanni Vi abdicò e si ritirò in un monastero
e forse ebbe la compagnia dell'amico Nicola.
La produzione teologica
Le opere fondamentali di Nicola Kavasilas si integrano a
vicenda perché nascono da una medesima ispirazione. Il significato della "Divina
Liturgia" acquista una profondità e una ampiezza prospettica solo se riferito
alla "Vita in Cristo". Quest'ultima poi ha nel commento alla "Divina Liturgia"
il suo sviluppo e la sua completezza. È stato giustamente osservato che la "Vita
in Cristo" non è una mistagogia, non è un trattato di sacramentaria perché
"oggetto del discorso è l'esistere e l'operare del Cristo in noi, e la nostra
partecipazione alla vita divina".
L'opera teologica di Nicola Kavasilas è dunque la comunicazione
di una profonda esperienza ecclesiale che permette al teologo di riconoscere
Cristo vivo, presente e operante nella storia concreta e quotidiana dell'uomo.
Tale esperienza porta all'estrema maturazione il senso religioso che coincide
con la consistenza fondamentale dell'uomo e a un atteggiamento di obbedienza di
fronte al mistero che diviene manifesto e sperimentabile. Non è un caso che le
notizie sulla vita di Nicola lascino supporre che egli, dopo gli anni dedicati
all'attività politica, abbia trovato la via del chiostro. Solo appartenendo a
una comunità concreta nella quale la quotidianità è vissuta con spessore storico
si può riconoscere e far memoria della presenza viva di Cristo tra gli uomini.
Senza l'appartenenza concreta e cordiale a una compagnia che
sia strada e dimora il cristianesimo non è percepito come una vita, bensì
ridotto a dottrina, a moralismo, ad attivismo secondo progetti personali. Senza
questa appartenenza, che può anche diventare nell'ascesi solitaria la dimensione
interiore della propria vita cristiana, non si è capaci di memoria e non si può
vivere realmente la tradizione della Chiesa che è la grande memoria.
Solo a questa condizione la vita cristiana diventa una
esperienza viva del mistero di Dio che si rivela in una presenza che accoglie,
perdona, consola e trasforma. Tutta l'attività teologica di Nicola Kavasilas è
l'esposizione di una assimilazione esistenziale della vita cristiana che è
essenzialmente vita nel Cristo e che trova nella Divina Liturgia il suo culmine
oggettivo e il momento di massima autocoscienza della Chiesa. La tradizione
della Chiesa ha qui il suo punto focale perché la scrittura è assimilata in un
atto vitale che compendia tutta l'esperienza storica dell'incontro salvifico di
Dio con l'uomo.
La divina liturgia
L'eucaristia è dunque il momento culminante della "Vita in
Cristo" perché memoria oggettiva della sua presenza nella storia. La
partecipazione ai santi misteri trasforma progressivamente l'uomo realizzando la
reale figliolanza che è trasformazione della volontà e trasfigurazione della
persona che diventa per grazia ciò che Dio è per natura.
"Nella celebrazione dei santi misteri l'atto essenziale è la
trasformazione dei doni offerti che diventano il corpo e il sangue divino; lo
scopo è la santificazione dei fedeli che attraverso questi misteri ricevono le
remissione dei peccati, l'eredità del regno dei cieli e tutto ciò che questo
comporta."
In un altro passo parallelo Kavasilas sottolinea che il
sacrificio realizzato nella trasformazione dei santi doni significa, è memoria
reale, il mistero dell'opera redentrice di Cristo. Tale opera è resa presente
attraverso i riti e le formule che precedono e seguono il sacrificio.
"Il sacrificio memorizza (katangelli) la morte di
Cristo, la sua resurrezione e la sua ascensione nel momento in cui esso
trasforma i doni preziosi nel corpo stesso del Signore, corpo che è resuscitato
ed è salito al cielo".
Ciò che precede l'atto del sacrificio manifesta ciò che è
avvenuto prima della morte: la sua venuta, la vita pubblica, la sua perfetta
manifestazione. Ciò che segue l'atto del sacrificio manifesta "la promessa del
Padre", per usare l'espressione stessa (di Cristo), cioè la discesa dello
Spirito sugli apostoli, la conversione delle nazioni a Dio operata da questi e
la loro comunione.
Kavasilas afferma dunque che la celebrazione dei divini misteri
(mistagogia) ha una profonda unità e una armonica struttura realizzata dal gesto
rituale e dalla parola liturgica che si dispone in modo significativo e ordinato
attorno al centro stesso dell'azione mistagogica. Il gesto rituale e la parola
liturgica hanno perciò una funzione preparatoria al compimento del grande
mistero e anche rendono possibile il raggiungimento dello scopo precipuo
dell'azione misterica.
"Le preghiere, le salmodie, le letture della Sacra Scrittura,
in una parola tutti i gesti e tutte le formule sacre che si trovano prima e dopo
la consacrazione dei doni preparano questo atto, contribuiscono alla sua
realizzazione e al raggiungimento del suo scopo. Se è vero che Dio ci dà
gratuitamente tutte le cose sante e che noi non contribuiamo affatto a nessuna
di esse, ma esse sono una gratuità assoluta (atechnos isi charites),
tuttavia egli esige necessariamente da noi che diventiamo capaci
(epitidious) di riceverlo e conservarlo".
Kavasilas ritiene che nella Divina Liturgia sia stata applicata
la pedagogia della parabola del seminatore. "Egli non è uscito di casa per arare
il terreno ma solo per seminare mostrando così che l'attività e il lavoro di
preparazione deve essere preventivamente compiuto da noi."
Non c'è contrasto tra la libera e gratuita iniziativa di Dio
che solo con la sua potenza opera in noi l'inserzione nell'umanità deificata di
Cristo e la libera corrispondenza umana. Il compito dell'uomo è quello di
lasciarsi riplasmare dall'amore del Padre, dalla obbedienza del Figlio e dalla
grazia dello Spirito che con la loro energia trasfigurano e deificano l'uomo. Il
contributo dell'uomo non consiste in opere meritorie di spiccato sapore
moralistico ma nel lasciarsi coinvolgere in obbedienza nell'iniziativa del
mistero di Dio che si manifesta nella concretezza della vita.
Dice a questo proposito il nostro autore "Ormai conosciamo dai
discorsi precedenti che cosa, nella vita in Cristo, va attribuito e conviene a
lui solo". Tuttavia, se la formazione di questa vita dipende in principio
unicamente dalla mano del Salvatore, una volta che essa abbia preso consistenza,
custodirla e mantenersi vivi è effetto anche del nostro impegno: qui è
necessaria la parte dell'uomo e il nostro contributo per non sciupare la grazia
dopo averla ricevuta, ma serbarla intatta e partircene da questo mondo col
nostro tesoro in mano".
La preghiera liturgica
Il significato della preghiera cristiana prende dunque tutto il
suo significato all'interno della tradizione della Chiesa. In modo sintetico si
può dire che la tradizione è la vita stessa della Chiesa le cui radici affondano
profondamente nel mistero trinitario che si manifesta in Cristo che permane
contemporaneo a tutta la storia affinché ciascuno possa incontrarlo e vivere in
lui. Perciò la Tradizione, come ha acutamente sottolineato Dumitru-Staniloae, è
un insegnamento creduto e confessato. Esso è il fondamento del culto che è
preghiera di domanda, di lode e di ringraziamento. In essa la Chiesa facendo
memoria della divina economia chiede con grande perseveranza la "grande
misericordia" e ciò avviene in modo particolarmente efficace nella celebrazione
dei santi misteri i quali sono la fonte e la sorgente della vita cristiana
conforme all'esempio di Cristo.
Kavasilas riconosce che la preghiera liturgica è parte
integrante della Tradizione e assieme alla salmodia e alla lettura della Sacra
Scrittura ha una duplice funzione. Da un lato è memoria della presenza reale del
mistero di Dio tra gli uomini e dall'altro è coscienza della dipendenza dal
mistero che produce una obbedienza fiduciosa. Quest'ultima ha la capacità di
aprire il cuore del credente all'azione trasformante e trasfigurante di Dio e
custodisce la vita che egli genera e sviluppa nell'uomo.
Per Kavasilas la preghiera cristiana si distingue da ogni altra
formulazione perché unisce in sé due aspetti che la qualificano nella sua
peculiare specificità. Essa è innanzi tutto per l'uomo coscienza di una
dipendenza radicale e totale dal mistero divino. Tale coscienza è acquisita da
una attenta considerazione della propria consistenza che tenga conto di tutti i
fattori strutturali della condizione umana. Contemporaneamente essa è memoria
del mistero che ha rivelato in Cristo la sua fisionomia trinitaria e sempre nel
Cristo è contemporaneo a tutta la storia. Ne consegue che nella preghiera ogni
cristiano fa esperienza esistenziale della salvezza.
La distinzione o peggio la disarticolazione di questi due
elementi riduce profondamente la vita cristiana. Il primo da solo, se sa
sostenersi nella sua verità contro la tentazione della riduzione e della
dimenticanza, si riduce al naturale senso religioso che inevitabilmente tende al
suo compimento positivo. Il secondo separato dal primo riduce soggettivamente la
vita cristiana a intellettualismo o a moralismo. In entrambi i casi la vita in
Cristo viene ineluttabilmente recisa e diventa impossibile l'interiore
conformazione della volontà umana a quella divina che porta alla deificazione
dell'uomo come afferma san Massimo il Confessore.
La preghiera liturgica proprio per la sua strutturale
consistenza testé analizzata apre l'uomo alla azione santificante e trasformante
della grazia divina. Innanzitutto "le preghiere ci orientano verso Dio e ci
procurano il perdono dei peccati; ugualmente le salmodie rendono Dio propizio e
attirano su di noi il movimento della misericordia divina che ne è la
conseguenza".
La preghiera come coscienza della dipendenza ci fa vivere
l'esperienza dell'assoluta appartenenza a Dio in Cristo che diventa fondamento
ultimo di ogni giudizio e di ogni azione fin nelle più minute pieghe della
quotidianità. In secondo luogo attraverso le formule liturgiche e all'insieme
dei riti "è tutta l'economia dell'opera del Salvatore che è significata... così
gli spettatori di questi riti hanno la possibilità di avere davanti agli occhi
tutte queste divine realtà. La consacrazione dei doni, che è lo stesso
sacrificio, , annuncia la morte del Salvatore, la sua resurrezione e la sua
ascensione, poiché trasforma i doni preziosi proprio nel corpo del Signore che è
stato soggetto di tutti questi misteri, che è stato crocifisso, è resuscitato, è
salito al cielo. Quanto ai riti che precedono l'atto del sacrificio,
simbolizzano gli eventi anteriori alla morte di Cristo, la venuta sulla terra,
la prima apparizione poi la perfetta manifestazione. I riti che seguono l'atto
del sacrificio ricordano la promessa del Padre, secondo la parola stessa del
Salvatore, cioè la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, la conversione
delle nazioni da loro operata e la loro comunione."
La memoria della salvezza e la sua attualizzazione attraverso
le formule ispirate contenute nella Sacra Scrittura "esortano alla virtù e
santificano quelli che le leggono e cantano". Kavasilas dunque opera una
distinzione tra le preghiere, le salmodie e le pericopi bibliche anche se tutte
concorrono al medesimo scopo. Riservando il termine preghiera in modo specifico
alle formule liturgiche, rileva che queste sono distinguibili secondo quattro
tipi: la glorificazione, il rendimento di grazie, la confessione e la domanda.
La sequenza proposta non ha per l'autore solo una funzione
enumerativa, bensì corrisponde anche a una gradazione di dignità. "Il primo di
tutti questi elementi è la doxologia soprattutto perché questo è l'atteggiamento
dei servitori riconoscenti, quando si avvicinano al loro Signore, essi non
mettono avanti immediatamente i loro problemi personali, bensì ciò che concerne
unicamente il Signore. Ora tale è precisamente la doxologia. Colui che confessa,
volendo essere liberato dai suoi mali, accusa se stesso."
È inoltre chiaro che colui che ringrazia, contento dei beni che
ha, ringrazia colui che gli ha elargito questi doni. Ma colui che
glorifica lascia da parte se stesso e tutti i suoi interessi e glorifica il
Signore per lui stesso come pure la sua potenza e la sua gloria. Inoltre la
natura stessa e la convenienza dell'atto da compiere richiede qui il primo posto
per la doxologia. Infatti, non appena ci avviciniamo a Dio comprendiamo
immediatamente la trascendenza della sua gloria come pure la sua potenza e la
sua maestà, ne conseguono sentimenti di ammirazione, di stupore e altri
analoghi: la doxologia ne segue necessariamente.
Approfondendo il rapporto impariamo la sua bontà e il suo amore
per gli uomini. L'atto che ne deriva è la riconoscenza. In seguito consideriamo
l'eccellenza della sua bontà e la ricchezza del suo amore, riteniamo la nostra
infedeltà come segno primo e sufficiente di questa eccellenza e ricchezza. Egli
infatti nonostante la nostra condizione, non cessa di colmarci dei suoi
benefici. Il segno che, prima di ogni altro, ci insegna quanto Dio ami gli
uomini è quello che è più vicino a noi e dentro di noi, è sotto i nostri occhi.
Ricordarci delle nostre miserie davanti a Dio si chiama confessione.
Il quarto elemento è la domanda. È infatti conseguente aver
fiducia che otterremo ciò che le nostre preghiere sollecitano dopo aver imparato
a conoscere la bontà di Dio e il suo amore per noi. Colui che è già stato buono
verso coloro che sono malvagi quale atteggiamento assumerà verso quelli che sono
cambiati, quelli che sono stati giustificati per aver spontaneamente
riconosciuto i loro peccati, secondo la parola del profeta: - Confessa per primo
i tuoi peccati affinché tu venga giustificato? - ".
La doxologia
L'indicazione delle varie forme di preghiera che Kavasilas
presenta ha una forte componente esistenziale e ripropone in tale modo la
pedagogia dell'incontro con Cristo che si approfondisce e matura nell'ascesi
personale. L'esperienza dell'incontro con Cristo è l'esperienza dell'incontro
con la comunità cristiana che la persona, che liberamente vi aderisce,
percepisce come una presenza originaria che non ha le proprie radici in un
progetto o in una utopia. La consistenza di tale comunità sta nella coscienza
della propria identità e nell'affezione ad essa. Tale identità è la persona
stessa di Cristo.
L'esperienza di essere afferrati da Cristo porta a una nuova
concezione della persona, il cui significato, la cui consistenza è una unità con
Cristo, con un Altro. Attraverso questo, una unità con tutti coloro che nello
Spirito riconoscono come radice, consistenza e significato della propria vita il
Cristo e con tutti coloro che il Padre gli dà in mano. L'identità cristiana si
manifesta in una esperienza nuova nell'affezione a Cristo e al mistero della
Chiesa che trova nella comunità cristiana la concretezza più vicina. La comunità
locale, se è vera presenza, è totalmente immersa nella Tradizione della Chiesa
che porta con sé e vive la divina economia o storia della salvezza come
esperienza costitutiva della sua realtà. Nella vita della Chiesa e in
particolare nelle ufficiature liturgiche il cristiano fa l'esperienza della
gloria di Dio che si manifesta e manifesta - la deità di Dio - come orizzonte
del donde e del verso dove del mondo. Per il cristiano, totalmente immerso nella
vita della Chiesa, la storia della salvezza realmente resa presente nella
liturgia e in particolare modo nella Divina Liturgia diventa esperienza
personale che definisce il significato nuovo della sua persona. Quanto più
profondamente una creatura, nella Chiesa, si incontra con la gloria di Dio,
tanto più desidera esaltare questa gloria che si eleva al di sopra di sé e di
tutto il creato. Quanto più una creatura può entrare nello spazio aperto di Dio,
tanto più comprende la consistenza originaria di Dio, la sua forza, la sua
potenza e la grazia come grazia. Cosicché per il cristiano non c'è possibilità
di sottrarsi al paradosso, che inizia con la comunicazione del totalmente Altro
e termina nel rendimento di grazie della creatura raggiunta da Dio.
Se nell'Antico Testamento la gloria di Dio si è mostrata nella
dialettica del fuoco e del fumo, del lampo e della nuvola, della luce e della
tenebra, nel Nuovo Testamento è Cristo stesso la gloria di Dio, manifestata
dallo spirito e confermata dal Padre. La persona di Cristo e tutta la sua vita
sono epifanie della gloria di Dio compreso il momento della sua Kenosis
misteriosamente e potentemente collegato con la sua glorificazione. U. Von
Balthahsar ha profondamente intuito che "la liturgia cresce
immediatamente dall'intimo della rivelazione biblica, in quanto alla
manifestazione della gloria di Dio risponde sempre già e necessariamente la
glorificazione (dossologia di Dio).
È addirittura impossibile, nella Bibbia, distinguere in modo
adeguato i due campi, parola e risposta. E questo non solo per la - lode delle
labbra -, salmi e inni, ma anche per tutto il mondo della liturgia sacrificale,
che viene derivata dal codice sacerdotale espressamente per rivelazione divina e
che figura quindi come parola di Dio realizzata dall'uomo.
Ancora più inseparabile diventa il dono di Dio e la
restituz
ione dell'uomo a Dio nella liturgia della Nuova Alleanza, nella
eucaristia, intorno alla quale le chiese istituiscono una liturgia protratta di
salmi e di inni e nella quale si consumano i sacrifici dell'Antico Patto. Gloria
nel senso biblico si compie nella reciprocità di autodedizione di Dio e
accettazione glorificante dell'uomo credente".
Tale concezione della doxologia è in profonda sintonia col
pensiero e l'esperienza di Kavasilas che vede particolarmente nella Divina
Liturgia, come già accennato, la rappresentazione della vita di Cristo. "La
mistagogia tutta intera è come una rappresentazione unica di un sol corpo che è
la vita del Salvatore, mette infatti sotto i nostri occhi le diverse parti di
questa vita, dall'inizio alla fine, secondo il loro ordine e la loro armonia".
Ma la memoria che qui viene realizzata non si limita a metterci
di fronte a Cristo che è gloria di Dio, bensì ci fa vivere nel Cristo offrendoci
l'esperienza della grazia, della gratuità che è sempre intimamente connessa con
la manifestazione della gloria. La distinzione dunque tra doxologie e
ringraziamento è molto sottile a tal punto che l'una trapassa naturalmente
nell'altra senza soluzione di continuità.
Infatti l'esperienza viva di Cristo nella concretezza della
comunità cristiana che è dimora perché il luogo i n cui la vita in Cristo è
possibile ed è strada perché la nostra vita diventi sempre di più glorificazione
di Dio, è esperienza della gratuità dell'amore e del cambiamento del cuore.
La domanda
Se il primo polo della preghiera è la doxologia e
ringraziamento intesi come è stato chiarito, come memoria di una presenza viva
che gratuitamente si rivela e cambia, il secondo polo che rimane da analizzare
seguendo l'esperienza e l'indicazione di Kavasilas, è il polo della confessione
e della domanda. Anche questi due aspetti della preghiera sono profondamente
intrecciati a tal punto da richiamarsi continuamente a vicenda. Ancora una volta
le ufficiature liturgiche sono paradigmatiche a questo proposito e Kavasilas ci
è guida in questa comprensione.
Lunga tutta la storia della salvezza, la divina economia, ogni
manifestazione epifanica nella quale rifulge la gloria di Dio coincide con la
chiamata dell'uomo al compito della sua vita. Non è necessaria alcuna
esemplificazione in proposito data la chiara riscontrabilità dell'assunto.
Di fronte alla gloria di Dio l'uomo, incontrato e sollecitato,
ha chiara coscienza della debolezza, della fragilità di chi è stato scelto da
Dio per un compito grande. La prima reazione di colui che Dio si prende come
strumento è un senso di impotenza, di incapacità strutturale. Perfino Mosè ebbe
lo stesso atteggiamento quando Dio lo chiamò dal roveto ardente.
Di fronte a Dio che gli si presenta, l'uomo scopre la nullità
della sua consistenza, la dipendenza assoluta e radicale, la sua libertà è
chiamata a dire sì a un disegno che non comprende, a un criterio che gli è
profondamente lontano. Tuttavia sperimenta una presenza forte, potente, che
sorregge, consola e dà senso pieno alla vita, perché tale presenza è piena di
gratuità e di grazia. Come il profeta, si sente povero, senza volto eppure pieno
di coscienza e di certezza. O accetta che Dio definisca totalmente la sua
umanità, riempia la sua intelligenza, dia la motivazione ultima alla sua
volontà, gli tolga il cuore di pietra per sostituirlo con un cuore di carne
oppure la sua risposta alla chiamata e al compito è superficiale. Con tale
termine si indica quell'atteggiamento per cui si aderisce secondo una propria
prudenza cioè secondo la propria misura. Si accetta la presenza di Dio che
parla, si vive la memoria secondo un atteggiamento guardingo che cerca di
applicare una propria precauzione umana. Con questo atteggiamento si rifiuta il
rischio dell'abbandono vero, dell'accettazione reale, del riconoscimento
autentico. Di fronte a Dio prevale allora il proprio ritegno, il proprio egoismo
nutrito dall'attrattiva mondana, dalla stima del mondo, dalla compiacenza
sottile, segreta, intellettuale o affettiva a una vita che si realizza al di
fuori della trama di alleanza tra Dio e gli uomini. Il peccato è il tentativo di
fuga, il tentativo di liberarsi dal fatto che Dio è tutto e che la liberazione
dell'uomo è Lui. Dio però si propone continuamente alla nostra vita con
l'amorosa gratuità della sua presenza, sempre incontrabile in coloro che nella
comunità cristiana vivono l'obbedienza e il cambiamento del cuore. L'annuncio
vissuto, che la comunità cristiana compie, che Cristo è la liberazione dell'uomo
è contemporaneamente la possibilità di sperimentare il fatto che Dio ci ama
gratuitamente e la possibilità di sperimentare il fatto che Dio ci ama
gratuitamente e la gloria di Dio che l'uomo può sperimentare oggi in una vita
concreta in una storia concreta.
L'esperienza della presenza liberante di Cristo glorioso nelle
trame della storia e nei rapporti umani è l'esperienza di essere amati di un
amore gratuito, pieno di tenerezza, di compassione, di misericordia. L'essere
stati amati dal gesto che ci ha creati è perché eravamo destinati a essere
amati, e in questa destinazione Dio è più forte della nostra debolezza e della
riduttiva prudenza con cui trattiamo il suo annuncio. Nella dialettica tra
l'esperienza della donazione totale di Cristo all'uomo e della disubbidienza
alla sua chiamata e alla disattenzione al compito che ci affida nasce la
confessione, la domanda di perdono.
Kavasilas seguendo le indicazioni paradigmatiche e pedagogiche
della Divina Liturgia sottolinea con forza e con continuità il rapporto
glorificazione e domanda perdono. L'uomo si scopre peccatore di fronte alla
gloria di Dio e riconosce nella sua vita la dialettica della memoria e della
dimenticanza-. Questa rende precaria l'obbedienza e debilita la volontà.
Riferendosi all'inizio della Divina Liturgia quando il diacono
dirige la preghiera litanica, Kavasilas prende in considerazione le preghiere
che il celebrante innalza a Dio, stando all'interno del santuario. In esse il
sacerdote prega per gli assistenti, per la santa casa di Dio, implorando sul
popolo una abbondante effusione di misericordia e di pietà. "Egli aggiunge il
motivo per cui egli innalza queste suppliche in riferimento alle quali Dio
donerà ciò che è giusto da parte sua. Non è che quelli che stanno per ricevere
(la divina misericordia) se siano degni, neppure noi abbiamo diritto a
riceverla, "ma poiché è a te che appartiene la gloria, ogni onore e
adorazione"".
È a causa della tua gloria che ti rivolgo queste richieste,
dice egli. L'essere trattati con simile amore, benché ne siamo indegni, è a
vantaggio della tua gloria. Questo modo di essere glorificato ti conviene
secondo la parola del beato Davide: "Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo
nome rendi gloria". L'esperienza dell'amore della divina Triade che lo ha
espresso in modo inimmaginabile nella persona del Cristo, fa confessare la
propria indegnità, la propria fragilità, la propria disobbedienza, il proprio
peccato. Inoltre si chiede che il Signore sia prodigo verso il suo popolo di
grande e copiosa misericordia.
Il commento alla preghiera recitata silenziosamente durante la
prima piccola litania chiarisce ulteriormente il significato della misericordia
divina, che viene invocata in forza della gloria divina, mettendone in evidenza
l'effetto domandato per l'uomo. Dopo aver pregato dunque per tutta la Chiesa il
sacerdote aggiunge: "Santifica tutti coloro che amano il decoro della tua casa,
tu glorificali con la tua divina potenza e non voler abbandonare noi che in Te
riponiamo la nostra speranza". "La gloria, dice," così commenta Kavasilas "abita
presso i re come il potere di rendere gloriosi tutti quelli che vuole, Tu che
sei il re eterno, a Te appartiene la potenza e l'impero".
La Chiesa insiste nel chiedere e far chiedere ai fedeli la
divina misericordia perché Dio attraverso essa trasformi l'intelligenza, la
volontà e il cuore dell'uomo a propria somiglianza; trasfiguri e deifichi la
natura umana dando all'uomo quella gloria che mai si potrebbe conquistare e
rendendo reale l'adozione filiale. Tutto ciò è possibile perché Cristo nella
suprema obbedienza al Padre ha realizzato per l'uomo la grande misericordia che
ciascuno incontra e vive partecipando ai divini misteri dentro una memoria reale
che nello stesso tempo è riconoscimento di radicale dipendenza.
Kavasilas sottolinea con forza il fatto che la Chiesa a ogni
domanda litanica fa rispondere il popolo con la formula "Signore pietà"
(Kyrie eleison) e se lo spiega "Innanzitutto siffatta richiesta, come è
stato detto, implica l'azione di grazia e la confessione. Inoltre implorare da
Dio la sua misericordia è domandare il suo regno, il regno che Cristo ha
promesso di donare a quelli che lo cercano, aggiungendovi in sovrappiù tutti gli
altri beni di cui abbiamo bisogno. Ecco perché i fedeli si contentano di questa
domanda che ha una portata universale".
Qui ci troviamo di fronte a uno dei passi fondamentali per
comprendere il significato della preghiera che la Chiesa propone come
paradigmatico. Troviamo innanzitutto lo stretto legame tra le diverse forme di
preghiera, precedentemente distinte, cosicché glorificazione, ringraziamento,
confessione, domanda di misericordia trovano la loro essenziale unità nel
desiderio che si avveri il destino di ciascuno secondo il libero disegno di Dio,
realizzato attraverso un gratuito atto di amore. Tale atto ha il suo culmine
nella "kenosis - eleos", che è la massima espressione della gloria di
Dio.
"La kenosis è la povertà del figlio, le sue opere e le
sue sofferenze nella carne; questi eventi (sono chiamati) misericordia e verità.
Misericordia poiché, quando noi ci troviamo nello stato più miserabile, eravamo
suoi nemici e in rivolta contro di Lui, non ci ha guardato con indifferenza a
causa della sua immensa bontà e amore; non si è nemmeno contentato di compatire
la nostra disgrazia, ma ha condiviso egli stesso i nostri mali, la nostra
angoscia, la nostra morte".
La preghiera cristiana nasce da un incontro totale della vita,
l'orizzonte esaustivo del significato. L'uomo che con attenzione e sincerità
riconosce la sua situazione risponde con la richiesta che avvenga anche per lui
la grande misericordia, il suo destino si avveri attraverso un cammino in una
comunione, in una compagnia che sia tensione al destino che è vivere la
comunione con Dio in Cristo. La domanda della misericordia pur con tutte le
sfumature che può avere, è il punto sintetico della preghiera e delle sue forme.
Esiste però una condizione preliminare perché il nostro chiedere sia un
desiderio del cuore, una confidenza totale e incondizionata, una disponibilità
obbediente. Questa condizione ci è indicata dalla prima esortazione che il
diacono rivolge ai fedeli: preghiamo "in pace" il Signore.
La pace è la grazia dell'incarnazione che si manifesta nella
Natività. Essa è sentire che la nostra vita è sostenuta con forza, è la
sicurezza che Dio è già venuto in mezzo a noi e opera in noi. Quanto più è
radicata tale coscienza tanto più tutto è stabile nella nostra vita.
Nell'affascinante gratuità, nella bellezza ricca di quell'avvenimento in cui si
è percepito e scoperto il significato di ogni cosa sta la vera tranquillità del
nostro operare. La pace avviene in noi quando il nostro vivere è coscienza
fedele dell'evento di Cristo e la coscienza di questa presenza è coscienza di
sé.
La pace vive come speranza perché è certezza nell'attesa della
gloriosa manifestazione del Signore. Il Kavasilas sottolinea con forza il senso
cristiano della pace; infatti afferma che nel pronunciare la parola pace, la
Chiesa include la confessione e il rendimento di grazie. "Infatti colui che è
scontento di ciò che gli capita nella vita, non può avere in se stesso la pace;
(la possiede) bensì colui che è riconoscente e che in tutte le cose rende grazie
a Dio, secondo la legge formulata dal beato (apostolo) Paolo. Neppure colui che
non ha "la coscienza pura", ma è impossibile avere la coscienza pura senza
confessione. Inoltre la supplica che si rivolge pone in un atteggiamento di
riconoscenza e di confessione. Che cosa si chiede infatti? Di essere fatti
oggetto di pietà (eleithine). Questa è la supplica dei condannati che,
senza né alcuna scusa né alcuna giustificazione da far valere, lanciano al loro
giudice questo grido supremo, sperando di ottenere ciò che chiedono non dalla
giustizia ma dall'amore (philanthropias). Questo è l'atteggiamento delle
persone che testimoniano al giudice la sua immensa bontà e a se stessi la loro
perversità; il primo atteggiamento è una confessione, il secondo riconoscenza".
La pace è dunque un dono di Dio che viene dall'alto. Non si
tratta soltanto, soggiunge Kavasilas, della pace tra gli uomini, ma soprattutto
della pace con noi stessi. L'anima agitata e insicura non può avere un rapporto
positivo con Dio perché non vi si abbandona con fiducia ma tenta di risolve i
propri problemi con le proprie forze che sconvolgono l'uomo e dividono il suo
cuore in una moltitudine di preoccupazioni. Ancor peggio chi nutre nel suo cuore
odio, recriminazione, invidia non costruisce ma distrugge la comunione
ecclesiale, si sente interiormente diviso, incapace di vera obbedienza e sequela
e non fonda la propria speranza nell'indefettibile fedeltà di Dio.
Ascesi e preghiera personale
Fino ad ora abbiamo analizzato la Divina Liturgia, che è il
vertice dell'autocoscienza della Chiesa, perché luogo della grande memoria
oggettiva, sia norma, secondo Kavasilas, e regola educativa alla preghiera. Le
ufficiature liturgiche in generale ricordano (cioè rendono presente e
incontrabile nella storicità dell'esistenza umana) il mistero di Dio che si
manifesta in modo glorioso cosicché l'esperienza storica della divina economia
diventi esperienza personale di ogni credente. L'uomo però non ha accesso
diretto e immediato con il Dio che si manifesta; il rapporto tra uomo e Dio non
è un rapporto privato soggetto alla riduzione soggettivistica, ma passa
attraverso una comunione, una compagnia concreta, che attraverso le situazioni
concrete della sua labile e fragile esistenza storica vive concretamente la
memoria di Cristo e apre il credente alla totalità della grande memoria della
Chiesa. Alcuni elementi di questo contesto in cui germoglia e fiorisce la
preghiera cristiana sono impliciti nel discorso di Kavasilas, però, come è stato
documentato, sono chiaramente presenti le conseguenze che a quegli elementi
inevitabilmente rimandano. Non è un caso che l'ascesi e la mistica fioriscono
prevalentemente nell'ambiente monastico (sia cenobitico, sia idioritmico che
anacoretico) e che Kavasilas abbia sicuramente aspirato alla vita monastica
anche se non è sicuramente provato che abbia dimorato in qualche monastero.
Comunque la comunità monastica è una comunione cristiana; una compagnia tesa al
destino, capace di esercitare una memoria oggettiva, aprire il credente alla
grande tradizione della Chiesa, fargli sperimentare l'oggettività ineludibile
della presenza di Cristo nella storia, dilatare il suo cuore fino a farlo
coincidere con la coscienza ecclesiale. È per questo motivo, lo si è accennato
all'inizio, che Kavasilas non ci ha dato una trattazione soggettiva, ideologica
o moralistica del cristianesimo, ma ci ha comunicato una esperienza cristiana
sicuramente radicata nella autocoscienza della Chiesa vissuta nella tradizione.
È inevitabile allora che l'ascesi cristiana sia l'eco personale
della Tradizione vissuta dalla Chiesa e che la preghiera sia il respiro di
questa vita. Riflettendo dentro la tradizione Vladimir Loskij riconosce che "al
di fuori della verità custodita dalla Chiesa nel suo insieme, l'esperienza
personale sarebbe priva di ogni certezza, di ogni oggettività; sarebbe una
mescolanza di vero e di falso, di realtà e di illusione; misticismo nel senso
deteriore del termine. D'altra parte, l'insegnamento della Chiesa non avrebbe
nessun ascendente sulle anime se non esprimesse in qualche nodo una esperienza
intima della verità data in misura diversa a ciascuno dei fedeli ."
L'ascesi cristiana è l'atteggiamento del camminare religioso,
la sua volontà, passione e urgenza. È il rapporto vissuto con Dio, è la vita in
Cristo, custodita e approfondita nell'ambito dell'obbedienza al compito della
vita che consiste nel lasciar rifulgere, secondo la peculiarità precipua di ogni
persona, la gloria che Dio ci comunica con la sua grande misericordia. Essa, in
una parola, è il lavoro della vita in una sequela dell'oggettività del mistero
di Dio presente concretamente nella storia. Progressivamente essa rende capaci
di enunciare l'avvento della grande misericordia e dona una creatività nuova
sorgente di rapporti nuovi di convivenza, attenti alla verità ultima della
persona, disponibili a condividere il bisogno e il dolore.
Kavasilas insiste continuamente nel presentare l'ascesi come la
tensione, il desiderio di mantenere attiva la vita che Cristo ha infuso e fatto
maturare per mezzo dei divini misteri. Se è da una parte indubitabile che la
nascita di questa vita dipenda soltanto dall'iniziativa di Cristo, è effetto del
nostro impegno lasciarci riplasmare il cuore dalla grazia, rimuovendo gli
ostacoli che la nostra libertà può frapporre..
La sequela e l'obbedienza è per Kavasilas il modo fondamentale
per vivere in Cristo, per assimilarci e partecipare alla sua umanità deificata
perché chi comunica al Cristo nei misteri deve essere unito a lui anche nella
volontà. "Infatti è necessario avere comunione di volontà con colui al cui
sangue comunichiamo."
Non è possibile per un verso essere uniti, per l'altro divisi;
qui amare, là combattere; essere figli ma riprovevoli; membra ma membra morte,
alle quali, essendo divisi dalla vite vera, non giova a nulla l'esser state
prima congiunte e l'esser nate, come il tralcio la cui fine è di esser gettato
fuori a seccare per essere dato al fuoco. Perciò, chi ha deciso di vivere in
Cristo deve stare attaccato a quel cuore e a quel capo, poiché da non altro
viene la vita; ma ciò non è possibile senza volere le medesime cose che vuole il
Cristo. È necessario dunque, per quanto è possibile all'uomo, esercitare la
propria volontà nella volontà di Cristo e disporsi ad avere gli stessi desideri
e a godere con lui delle stesse gioie." La condizione perché la volontà umana si
conformi a quella di Cristo è fare memoria dei suoi misteri. Memoria per
Kavasilas significa inizialmente considerare con il pensiero i momenti salienti
e più significativi della vita di Cristo perché sorga in noi il desiderio di
imitarlo.
"Principio di ogni azione è il desiderio e principio del
desiderio è il pensiero... Non credete che questi pensieri (la meditazione cioè
della vita di Cristo) siano più utili e dolci di qualunque altro? Mirando ad
essi, se essi dominano nell'anima, prima di tutto è impossibile che si apra la
vita in noi a qualunque pensiero cattivo e poi comprendendo i benefici, non
potremo non crescere nell'amore per il benefattore. Così, amandolo intensamente,
saremo anche esecutori dei suoi comandi e in comunione con la sua volontà". La
memoria non ha però soltanto una connotazione intellettualistica, non è solo
pensare alla vita di Cristo per poi osservare i precetti con maggior desiderio.
Kavasilas considera il pensiero come primo passo per giungere
alla partecipazione della sua vita mediante la virtù. "Siamo eredi di Dio,
coeredi di Cristo, e regneremo col Cristo se avremo partecipato ai suoi
patimenti [?].
Quale godimento può gareggiare con quella visione?... Qui
coloro che hanno provato il loro amore generoso per il Cristo con l'esercizio
della virtù, i patimenti, le fatiche e la cura dei loro simili. Là quelli che
hanno imitato il Cristo anche nella sua immolazione e si sono consegnati alle
spade, al fuoco, alla morte. Sui corpi luminosi mostrano ancora le cicatrici,
portano in trionfo i segni delle piaghe come titoli di gloria."
La meditazione della vita di Cristo supera quindi la dimensione
puramente intellettuale per diventare imitazione pratica. Si assimila cioè il
criterio con cui il Cristo si è posto di fronte ad eventi, situazioni e persone.
Si interiorizza il giudizio e l'atteggiamento di Cristo di fronte al Padre, al
mondo e all'uomo non per ripetere in modo meccanico atteggiamenti che sono
irripetibili per l'inevitabile variare delle circostanze, ma perché la volontà
dell'uomo agisca in seguito al medesimo giudizio pratico. In tal modo la volontà
umana entra in sintonia, si conforma alla volontà umana di Cristo che è totale
abbandono alla volontà di Dio. Tale atteggiamento e operatività porta ad
osservare i precetti di Cristo non per dovere, non per raggiungere la
perfezione, ma solo per affezione alla persona di Cristo viva e presente nella
realtà contingente della situazione che a ciascuno tocca di vivere. Chi ne
medita i misteri rimane in comunione di volontà con Cristo realizzando in senso
pieno la memoria.
La progressiva e continua libera disponibilità all'obbedienza e
alla dipendenza da Cristo come persona che è e destino della vita produce il
vivo germoglio della vita in Cristo che sono le virtù. Esse non sono merito
dell'uomo, ma trasformazione del modo di vivere dell'uomo prodotto dalla
misericordia di Dio che opera in modo gratuito e trasfigura il cuore,
l'intelligenza e la volontà. Frutto dei buoni pensieri, nel senso innanzi
chiarito sono per Kavasilas le beatitudini, veri e propri frutti della vita in
Cristo. L'uomo trasformato dallo spirito, innestato nella umanità deificata di
Cristo, totalmente abbandonato alla volontà del Padre, vive la povertà di
spirito.
"Di che dunque potremo inorgoglirci? Per aver agito rettamente?
Ma non è gran cosa; per quel che di grande è in noi? Ma non è nostro; per aver
custodito il deposito ricevuto? Anzi l'abbiamo tradito; di portare tuttavia il
sigillo di Cristo? Ma proprio questo è segno che non lo portiamo: infatti per i
superbi non c'è alcuna comunione con Lui, che è mite e umile di cuore." Inoltre
è naturale che dalla meditazione nascano il pianto e le lacrime, continua
Kavasilas, se si pensa alla novità inaudita compiuta da Cristo per la nostra
salvezza e all'indolenza e al sonno che ci trattiene. Continuando il commento
alle beatitudini il nostro autore considera la mitezza soprattutto nei confronti
di coloro che ci affliggono. La fame e la sete di giustizia è desiderio che
venga il suo regno e la misericordia è l'atteggiamento di gratuità di fronte
alle situazioni, e la disponibilità ad avere come unico scopo del nostro agire
non il nostro progetto ma la volontà del Padre. Affinché questi germogli
sboccino nella maturità della vita cristiana è necessario che la memoria di
Cristo e la coscienza della dipendenza siano incessanti. "Come il fuoco non può
agire per nulla sugli oggetti che tocca se il contatto non è continuo, così un
pensiero intermittente non può disporre il cuore a nessuna passione, occorre un
certo tempo, lungo e continuo."
La preghiera di Gesù
Come la memoria personale di Cristo è assimilazione della
grande memoria che la Chiesa realizza nella Tradizione e particolarmente nel
culto, così la preghiera personale è l'interiorizzazione del criterio della
preghiera ecclesiale che ha sempre una dimensione comunitaria. Memoria e
coscienza di dipendenza, i due aspetti dell'unico atteggiamento orante, sono
inconcepibili e irrealizzabili nella pura individualità, senza cioè l'assunzione
personale della coscienza ecclesiale. Ciò è ancora più vero nell'ascesi, come
già è stato sottolineato, dove cambiamento nel modo di essere e preghiera sono
intimamente connessi e costituiscono il centro focale della vita cristiana.
Kavasilas riferisce, certamente per esperienza personale, che la memoria di
Cristo è ravvivata dalla invocazione continua del suo nome. È singolare che alla
preghiera di Gesù Kavasilas dedichi poche righe in un momento in cui era
divampata la controversia dell'esicasmo da lui chiaramente condiviso ma mai
apertamente difeso. Per questo tipo di preghiera, come per ogni preghiera
personale, a suo giudizio, non c'è bisogno di "alcun apparato", né di luoghi
speciali né della formulazione a voce alta. Benché Kavasilas sottolinei
prevalentemente la domanda di misericordia, giova ricordare che questa preghiera
consta di due parti: "Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di
me".
Il nostro, come accennato, dà particolare importanza alla
domanda di misericordia. Essa è l'eco personale della incessante richiesta di
misericordia che la Chiesa esprime nelle formule di culto. È inoltre, come già
chiarito, l'indicazione pedagogica essenziale con cui la Chiesa educa il popolo
alla preghiera che realizza in questa forma la sua massima espressione. Scrive
infatti Kavasilas "chi se non i colpevoli dovrebbe implorare dal Signore amico
degli uomini la misericordia, il perdono, la remissione del debito e simili
doni, e non tornare a mani vuote dopo aver pregato? In una parola, se si ammette
che gli uomini devono innalzare a Dio una voce implorante misericordia, questa è
la voce dei peccatori, di chi cioè ha commesso azioni bisognose di
misericordia". Nella prima parte della preghiera, per la verità mai citata dal
nostro forse perché ben nota, si afferma e si riconosce che Cristo è Signore.
Ciò significa affermare che Cristo è stato glorificato dal Padre nello Spirito
perché nel suo volto (pròsopon) si è manifestata in modo glorioso la
realtà della sua persona (ipòstasis) come immagine vivente del Padre. Si
può dire che la preghiera di Gesù sia la sintesi di ogni preghiera cristiana
perché porta con sé nella sia formulazione i due poli della glorificazione e
della domanda di misericordia. Per questo tale preghiera, divenuta così cara
alla spiritualità bizantina, sintetizza nella sua pregnante brevità tutta la
profondità della preghiera liturgica della Chiesa.
In conclusione di questa analisi, come cioè Kavasilas ha
vissuto il senso della preghiera, possiamo affermare che essa è il respiro della
vita cristiana nata nel sacramento germogliata nei pensieri, maturata nella
meditazione come afferma ancora una volta lo stesso. "Se saremo così uniti al
Cristo nel sacramento, nella preghiera, nella meditazione, nei pensieri,
eserciteremo l'anima a ogni virtù, conserveremo - come ordina Paolo - il
deposito che ci è stato affidato, e custodiremo la grazia infusa in noi dai
misteri".
Nessun commento:
Posta un commento