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domenica 7 agosto 2016

Nicola Kavasilas: La preghiera nell’esperienza ecclesiale

Di Pietro Galignani

Da Simposio Cristiano, ed. dell'Istituto di Studi Teologici Ortodossi "S. Gregorio Palamas", Milano 1989, pp. 63-82.

L'impero bizantino subì nel sec. XIV profonde tensioni che incisero profondamente la sua storia. Nicola Kavasilas, che ha pensato in questo periodo, visse tra la ripresa dell'umanesimo greco e la riaffermazione dell'esperienza mistica, tra i progetti per ridare coesione e vitalità allo stato e le manovre destabilizzanti delle potenze mediterranee, tra l'avanzata dell'esercito turco e i tentativi di unione ecclesiale.

Durante la sua giovinezza si schierò con Giovanni Cantacuzeno contro la reggenza per Giovanni Paleologo. Nel 1349 Giovanni, Demetrio Cidone e Nicola progettarono di ritirarsi in un monastero ma il progetto non ebbe esecuzione. Nel 1354 l'imperatore Giovanni Vi abdicò e si ritirò in un monastero e forse ebbe la compagnia dell'amico Nicola.

La produzione teologica

Le opere fondamentali di Nicola Kavasilas si integrano a vicenda perché nascono da una medesima ispirazione. Il significato della "Divina Liturgia" acquista una profondità e una ampiezza prospettica solo se riferito alla "Vita in Cristo". Quest'ultima poi ha nel commento alla "Divina Liturgia" il suo sviluppo e la sua completezza. È stato giustamente osservato che la "Vita in Cristo" non è una mistagogia, non è un trattato di sacramentaria perché "oggetto del discorso è l'esistere e l'operare del Cristo in noi, e la nostra partecipazione alla vita divina".

L'opera teologica di Nicola Kavasilas è dunque la comunicazione di una profonda esperienza ecclesiale che permette al teologo di riconoscere Cristo vivo, presente e operante nella storia concreta e quotidiana dell'uomo. Tale esperienza porta all'estrema maturazione il senso religioso che coincide con la consistenza fondamentale dell'uomo e a un atteggiamento di obbedienza di fronte al mistero che diviene manifesto e sperimentabile. Non è un caso che le notizie sulla vita di Nicola lascino supporre che egli, dopo gli anni dedicati all'attività politica, abbia trovato la via del chiostro. Solo appartenendo a una comunità concreta nella quale la quotidianità è vissuta con spessore storico si può riconoscere e far memoria della presenza viva di Cristo tra gli uomini.

Senza l'appartenenza concreta e cordiale a una compagnia che sia strada e dimora il cristianesimo non è percepito come una vita, bensì ridotto a dottrina, a moralismo, ad attivismo secondo progetti personali. Senza questa appartenenza, che può anche diventare nell'ascesi solitaria la dimensione interiore della propria vita cristiana, non si è capaci di memoria e non si può vivere realmente la tradizione della Chiesa che è la grande memoria.

Solo a questa condizione la vita cristiana diventa una esperienza viva del mistero di Dio che si rivela in una presenza che accoglie, perdona, consola e trasforma. Tutta l'attività teologica di Nicola Kavasilas è l'esposizione di una assimilazione esistenziale della vita cristiana che è essenzialmente vita nel Cristo e che trova nella Divina Liturgia il suo culmine oggettivo e il momento di massima autocoscienza della Chiesa. La tradizione della Chiesa ha qui il suo punto focale perché la scrittura è assimilata in un atto vitale che compendia tutta l'esperienza storica dell'incontro salvifico di Dio con l'uomo.

La divina liturgia

L'eucaristia è dunque il momento culminante della "Vita in Cristo" perché memoria oggettiva della sua presenza nella storia. La partecipazione ai santi misteri trasforma progressivamente l'uomo realizzando la reale figliolanza che è trasformazione della volontà e trasfigurazione della persona che diventa per grazia ciò che Dio è per natura.

"Nella celebrazione dei santi misteri l'atto essenziale è la trasformazione dei doni offerti che diventano il corpo e il sangue divino; lo scopo è la santificazione dei fedeli che attraverso questi misteri ricevono le remissione dei peccati, l'eredità del regno dei cieli e tutto ciò che questo comporta."

In un altro passo parallelo Kavasilas sottolinea che il sacrificio realizzato nella trasformazione dei santi doni significa, è memoria reale, il mistero dell'opera redentrice di Cristo. Tale opera è resa presente attraverso i riti e le formule che precedono e seguono il sacrificio.

"Il sacrificio memorizza (katangelli) la morte di Cristo, la sua resurrezione e la sua ascensione nel momento in cui esso trasforma i doni preziosi nel corpo stesso del Signore, corpo che è resuscitato ed è salito al cielo".

Ciò che precede l'atto del sacrificio manifesta ciò che è avvenuto prima della morte: la sua venuta, la vita pubblica, la sua perfetta manifestazione. Ciò che segue l'atto del sacrificio manifesta "la promessa del Padre", per usare l'espressione stessa (di Cristo), cioè la discesa dello Spirito sugli apostoli, la conversione delle nazioni a Dio operata da questi e la loro comunione.

Kavasilas afferma dunque che la celebrazione dei divini misteri (mistagogia) ha una profonda unità e una armonica struttura realizzata dal gesto rituale e dalla parola liturgica che si dispone in modo significativo e ordinato attorno al centro stesso dell'azione mistagogica. Il gesto rituale e la parola liturgica hanno perciò una funzione preparatoria al compimento del grande mistero e anche rendono possibile il raggiungimento dello scopo precipuo dell'azione misterica.

"Le preghiere, le salmodie, le letture della Sacra Scrittura, in una parola tutti i gesti e tutte le formule sacre che si trovano prima e dopo la consacrazione dei doni preparano questo atto, contribuiscono alla sua realizzazione e al raggiungimento del suo scopo. Se è vero che Dio ci dà gratuitamente tutte le cose sante e che noi non contribuiamo affatto a nessuna di esse, ma esse sono una gratuità assoluta (atechnos isi charites), tuttavia egli esige necessariamente da noi che diventiamo capaci (epitidious) di riceverlo e conservarlo".

Kavasilas ritiene che nella Divina Liturgia sia stata applicata la pedagogia della parabola del seminatore. "Egli non è uscito di casa per arare il terreno ma solo per seminare mostrando così che l'attività e il lavoro di preparazione deve essere preventivamente compiuto da noi."

Non c'è contrasto tra la libera e gratuita iniziativa di Dio che solo con la sua potenza opera in noi l'inserzione nell'umanità deificata di Cristo e la libera corrispondenza umana. Il compito dell'uomo è quello di lasciarsi riplasmare dall'amore del Padre, dalla obbedienza del Figlio e dalla grazia dello Spirito che con la loro energia trasfigurano e deificano l'uomo. Il contributo dell'uomo non consiste in opere meritorie di spiccato sapore moralistico ma nel lasciarsi coinvolgere in obbedienza nell'iniziativa del mistero di Dio che si manifesta nella concretezza della vita.

Dice a questo proposito il nostro autore "Ormai conosciamo dai discorsi precedenti che cosa, nella vita in Cristo, va attribuito e conviene a lui solo". Tuttavia, se la formazione di questa vita dipende in principio unicamente dalla mano del Salvatore, una volta che essa abbia preso consistenza, custodirla e mantenersi vivi è effetto anche del nostro impegno: qui è necessaria la parte dell'uomo e il nostro contributo per non sciupare la grazia dopo averla ricevuta, ma serbarla intatta e partircene da questo mondo col nostro tesoro in mano".

La preghiera liturgica

Il significato della preghiera cristiana prende dunque tutto il suo significato all'interno della tradizione della Chiesa. In modo sintetico si può dire che la tradizione è la vita stessa della Chiesa le cui radici affondano profondamente nel mistero trinitario che si manifesta in Cristo che permane contemporaneo a tutta la storia affinché ciascuno possa incontrarlo e vivere in lui. Perciò la Tradizione, come ha acutamente sottolineato Dumitru-Staniloae, è un insegnamento creduto e confessato. Esso è il fondamento del culto che è preghiera di domanda, di lode e di ringraziamento. In essa la Chiesa facendo memoria della divina economia chiede con grande perseveranza la "grande misericordia" e ciò avviene in modo particolarmente efficace nella celebrazione dei santi misteri i quali sono la fonte e la sorgente della vita cristiana conforme all'esempio di Cristo.

Kavasilas riconosce che la preghiera liturgica è parte integrante della Tradizione e assieme alla salmodia e alla lettura della Sacra Scrittura ha una duplice funzione. Da un lato è memoria della presenza reale del mistero di Dio tra gli uomini e dall'altro è coscienza della dipendenza dal mistero che produce una obbedienza fiduciosa. Quest'ultima ha la capacità di aprire il cuore del credente all'azione trasformante e trasfigurante di Dio e custodisce la vita che egli genera e sviluppa nell'uomo.
Per Kavasilas la preghiera cristiana si distingue da ogni altra formulazione perché unisce in sé due aspetti che la qualificano nella sua peculiare specificità. Essa è innanzi tutto per l'uomo coscienza di una dipendenza radicale e totale dal mistero divino. Tale coscienza è acquisita da una attenta considerazione della propria consistenza che tenga conto di tutti i fattori strutturali della condizione umana. Contemporaneamente essa è memoria del mistero che ha rivelato in Cristo la sua fisionomia trinitaria e sempre nel Cristo è contemporaneo a tutta la storia. Ne consegue che nella preghiera ogni cristiano fa esperienza esistenziale della salvezza.

La distinzione o peggio la disarticolazione di questi due elementi riduce profondamente la vita cristiana. Il primo da solo, se sa sostenersi nella sua verità contro la tentazione della riduzione e della dimenticanza, si riduce al naturale senso religioso che inevitabilmente tende al suo compimento positivo. Il secondo separato dal primo riduce soggettivamente la vita cristiana a intellettualismo o a moralismo. In entrambi i casi la vita in Cristo viene ineluttabilmente recisa e diventa impossibile l'interiore conformazione della volontà umana a quella divina che porta alla deificazione dell'uomo come afferma san Massimo il Confessore.

La preghiera liturgica proprio per la sua strutturale consistenza testé analizzata apre l'uomo alla azione santificante e trasformante della grazia divina. Innanzitutto "le preghiere ci orientano verso Dio e ci procurano il perdono dei peccati; ugualmente le salmodie rendono Dio propizio e attirano su di noi il movimento della misericordia divina che ne è la conseguenza".

La preghiera come coscienza della dipendenza ci fa vivere l'esperienza dell'assoluta appartenenza a Dio in Cristo che diventa fondamento ultimo di ogni giudizio e di ogni azione fin nelle più minute pieghe della quotidianità. In secondo luogo attraverso le formule liturgiche e all'insieme dei riti "è tutta l'economia dell'opera del Salvatore che è significata... così gli spettatori di questi riti hanno la possibilità di avere davanti agli occhi tutte queste divine realtà. La consacrazione dei doni, che è lo stesso sacrificio, , annuncia la morte del Salvatore, la sua resurrezione e la sua ascensione, poiché trasforma i doni preziosi proprio nel corpo del Signore che è stato soggetto di tutti questi misteri, che è stato crocifisso, è resuscitato, è salito al cielo. Quanto ai riti che precedono l'atto del sacrificio, simbolizzano gli eventi anteriori alla morte di Cristo, la venuta sulla terra, la prima apparizione poi la perfetta manifestazione. I riti che seguono l'atto del sacrificio ricordano la promessa del Padre, secondo la parola stessa del Salvatore, cioè la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, la conversione delle nazioni da loro operata e la loro comunione."

La memoria della salvezza e la sua attualizzazione attraverso le formule ispirate contenute nella Sacra Scrittura "esortano alla virtù e santificano quelli che le leggono e cantano". Kavasilas dunque opera una distinzione tra le preghiere, le salmodie e le pericopi bibliche anche se tutte concorrono al medesimo scopo. Riservando il termine preghiera in modo specifico alle formule liturgiche, rileva che queste sono distinguibili secondo quattro tipi: la glorificazione, il rendimento di grazie, la confessione e la domanda.

La sequenza proposta non ha per l'autore solo una funzione enumerativa, bensì corrisponde anche a una gradazione di dignità. "Il primo di tutti questi elementi è la doxologia soprattutto perché questo è l'atteggiamento dei servitori riconoscenti, quando si avvicinano al loro Signore, essi non mettono avanti immediatamente i loro problemi personali, bensì ciò che concerne unicamente il Signore. Ora tale è precisamente la doxologia. Colui che confessa, volendo essere liberato dai suoi mali, accusa se stesso."

È inoltre chiaro che colui che ringrazia, contento dei beni che ha, ringrazia colui che gli ha elargito questi doni. Ma colui che glorifica lascia da parte se stesso e tutti i suoi interessi e glorifica il Signore per lui stesso come pure la sua potenza e la sua gloria. Inoltre la natura stessa e la convenienza dell'atto da compiere richiede qui il primo posto per la doxologia. Infatti, non appena ci avviciniamo a Dio comprendiamo immediatamente la trascendenza della sua gloria come pure la sua potenza e la sua maestà, ne conseguono sentimenti di ammirazione, di stupore e altri analoghi: la doxologia ne segue necessariamente.

Approfondendo il rapporto impariamo la sua bontà e il suo amore per gli uomini. L'atto che ne deriva è la riconoscenza. In seguito consideriamo l'eccellenza della sua bontà e la ricchezza del suo amore, riteniamo la nostra infedeltà come segno primo e sufficiente di questa eccellenza e ricchezza. Egli infatti nonostante la nostra condizione, non cessa di colmarci dei suoi benefici. Il segno che, prima di ogni altro, ci insegna quanto Dio ami gli uomini è quello che è più vicino a noi e dentro di noi, è sotto i nostri occhi. Ricordarci delle nostre miserie davanti a Dio si chiama confessione.

Il quarto elemento è la domanda. È infatti conseguente aver fiducia che otterremo ciò che le nostre preghiere sollecitano dopo aver imparato a conoscere la bontà di Dio e il suo amore per noi. Colui che è già stato buono verso coloro che sono malvagi quale atteggiamento assumerà verso quelli che sono cambiati, quelli che sono stati giustificati per aver spontaneamente riconosciuto i loro peccati, secondo la parola del profeta: - Confessa per primo i tuoi peccati affinché tu venga giustificato? - ".

La doxologia

L'indicazione delle varie forme di preghiera che Kavasilas presenta ha una forte componente esistenziale e ripropone in tale modo la pedagogia dell'incontro con Cristo che si approfondisce e matura nell'ascesi personale. L'esperienza dell'incontro con Cristo è l'esperienza dell'incontro con la comunità cristiana che la persona, che liberamente vi aderisce, percepisce come una presenza originaria che non ha le proprie radici in un progetto o in una utopia. La consistenza di tale comunità sta nella coscienza della propria identità e nell'affezione ad essa. Tale identità è la persona stessa di Cristo.

L'esperienza di essere afferrati da Cristo porta a una nuova concezione della persona, il cui significato, la cui consistenza è una unità con Cristo, con un Altro. Attraverso questo, una unità con tutti coloro che nello Spirito riconoscono come radice, consistenza e significato della propria vita il Cristo e con tutti coloro che il Padre gli dà in mano. L'identità cristiana si manifesta in una esperienza nuova nell'affezione a Cristo e al mistero della Chiesa che trova nella comunità cristiana la concretezza più vicina. La comunità locale, se è vera presenza, è totalmente immersa nella Tradizione della Chiesa che porta con sé e vive la divina economia o storia della salvezza come esperienza costitutiva della sua realtà. Nella vita della Chiesa e in particolare nelle ufficiature liturgiche il cristiano fa l'esperienza della gloria di Dio che si manifesta e manifesta - la deità di Dio - come orizzonte del donde e del verso dove del mondo. Per il cristiano, totalmente immerso nella vita della Chiesa, la storia della salvezza realmente resa presente nella liturgia e in particolare modo nella Divina Liturgia diventa esperienza personale che definisce il significato nuovo della sua persona. Quanto più profondamente una creatura, nella Chiesa, si incontra con la gloria di Dio, tanto più desidera esaltare questa gloria che si eleva al di sopra di sé e di tutto il creato. Quanto più una creatura può entrare nello spazio aperto di Dio, tanto più comprende la consistenza originaria di Dio, la sua forza, la sua potenza e la grazia come grazia. Cosicché per il cristiano non c'è possibilità di sottrarsi al paradosso, che inizia con la comunicazione del totalmente Altro e termina nel rendimento di grazie della creatura raggiunta da Dio.

Se nell'Antico Testamento la gloria di Dio si è mostrata nella dialettica del fuoco e del fumo, del lampo e della nuvola, della luce e della tenebra, nel Nuovo Testamento è Cristo stesso la gloria di Dio, manifestata dallo spirito e confermata dal Padre. La persona di Cristo e tutta la sua vita sono epifanie della gloria di Dio compreso il momento della sua Kenosis misteriosamente e potentemente collegato con la sua glorificazione. U. Von Balthahsar ha profondamente intuito che "la liturgia cresce immediatamente dall'intimo della rivelazione biblica, in quanto alla manifestazione della gloria di Dio risponde sempre già e necessariamente la glorificazione (dossologia di Dio).

È addirittura impossibile, nella Bibbia, distinguere in modo adeguato i due campi, parola e risposta. E questo non solo per la - lode delle labbra -, salmi e inni, ma anche per tutto il mondo della liturgia sacrificale, che viene derivata dal codice sacerdotale espressamente per rivelazione divina e che figura quindi come parola di Dio realizzata dall'uomo.
Ancora più inseparabile diventa il dono di Dio e la restituz
ione dell'uomo a Dio nella liturgia della Nuova Alleanza, nella eucaristia, intorno alla quale le chiese istituiscono una liturgia protratta di salmi e di inni e nella quale si consumano i sacrifici dell'Antico Patto. Gloria nel senso biblico si compie nella reciprocità di autodedizione di Dio e accettazione glorificante dell'uomo credente".
Tale concezione della doxologia è in profonda sintonia col pensiero e l'esperienza di Kavasilas che vede particolarmente nella Divina Liturgia, come già accennato, la rappresentazione della vita di Cristo. "La mistagogia tutta intera è come una rappresentazione unica di un sol corpo che è la vita del Salvatore, mette infatti sotto i nostri occhi le diverse parti di questa vita, dall'inizio alla fine, secondo il loro ordine e la loro armonia".

Ma la memoria che qui viene realizzata non si limita a metterci di fronte a Cristo che è gloria di Dio, bensì ci fa vivere nel Cristo offrendoci l'esperienza della grazia, della gratuità che è sempre intimamente connessa con la manifestazione della gloria. La distinzione dunque tra doxologie e ringraziamento è molto sottile a tal punto che l'una trapassa naturalmente nell'altra senza soluzione di continuità.

Infatti l'esperienza viva di Cristo nella concretezza della comunità cristiana che è dimora perché il luogo i n cui la vita in Cristo è possibile ed è strada perché la nostra vita diventi sempre di più glorificazione di Dio, è esperienza della gratuità dell'amore e del cambiamento del cuore.

La domanda

Se il primo polo della preghiera è la doxologia e ringraziamento intesi come è stato chiarito, come memoria di una presenza viva che gratuitamente si rivela e cambia, il secondo polo che rimane da analizzare seguendo l'esperienza e l'indicazione di Kavasilas, è il polo della confessione e della domanda. Anche questi due aspetti della preghiera sono profondamente intrecciati a tal punto da richiamarsi continuamente a vicenda. Ancora una volta le ufficiature liturgiche sono paradigmatiche a questo proposito e Kavasilas ci è guida in questa comprensione.

Lunga tutta la storia della salvezza, la divina economia, ogni manifestazione epifanica nella quale rifulge la gloria di Dio coincide con la chiamata dell'uomo al compito della sua vita. Non è necessaria alcuna esemplificazione in proposito data la chiara riscontrabilità dell'assunto.

Di fronte alla gloria di Dio l'uomo, incontrato e sollecitato, ha chiara coscienza della debolezza, della fragilità di chi è stato scelto da Dio per un compito grande. La prima reazione di colui che Dio si prende come strumento è un senso di impotenza, di incapacità strutturale. Perfino Mosè ebbe lo stesso atteggiamento quando Dio lo chiamò dal roveto ardente.

Di fronte a Dio che gli si presenta, l'uomo scopre la nullità della sua consistenza, la dipendenza assoluta e radicale, la sua libertà è chiamata a dire sì a un disegno che non comprende, a un criterio che gli è profondamente lontano. Tuttavia sperimenta una presenza forte, potente, che sorregge, consola e dà senso pieno alla vita, perché tale presenza è piena di gratuità e di grazia. Come il profeta, si sente povero, senza volto eppure pieno di coscienza e di certezza. O accetta che Dio definisca totalmente la sua umanità, riempia la sua intelligenza, dia la motivazione ultima alla sua volontà, gli tolga il cuore di pietra per sostituirlo con un cuore di carne oppure la sua risposta alla chiamata e al compito è superficiale. Con tale termine si indica quell'atteggiamento per cui si aderisce secondo una propria prudenza cioè secondo la propria misura. Si accetta la presenza di Dio che parla, si vive la memoria secondo un atteggiamento guardingo che cerca di applicare una propria precauzione umana. Con questo atteggiamento si rifiuta il rischio dell'abbandono vero, dell'accettazione reale, del riconoscimento autentico. Di fronte a Dio prevale allora il proprio ritegno, il proprio egoismo nutrito dall'attrattiva mondana, dalla stima del mondo, dalla compiacenza sottile, segreta, intellettuale o affettiva a una vita che si realizza al di fuori della trama di alleanza tra Dio e gli uomini. Il peccato è il tentativo di fuga, il tentativo di liberarsi dal fatto che Dio è tutto e che la liberazione dell'uomo è Lui. Dio però si propone continuamente alla nostra vita con l'amorosa gratuità della sua presenza, sempre incontrabile in coloro che nella comunità cristiana vivono l'obbedienza e il cambiamento del cuore. L'annuncio vissuto, che la comunità cristiana compie, che Cristo è la liberazione dell'uomo è contemporaneamente la possibilità di sperimentare il fatto che Dio ci ama gratuitamente e la possibilità di sperimentare il fatto che Dio ci ama gratuitamente e la gloria di Dio che l'uomo può sperimentare oggi in una vita concreta in una storia concreta.

L'esperienza della presenza liberante di Cristo glorioso nelle trame della storia e nei rapporti umani è l'esperienza di essere amati di un amore gratuito, pieno di tenerezza, di compassione, di misericordia. L'essere stati amati dal gesto che ci ha creati è perché eravamo destinati a essere amati, e in questa destinazione Dio è più forte della nostra debolezza e della riduttiva prudenza con cui trattiamo il suo annuncio. Nella dialettica tra l'esperienza della donazione totale di Cristo all'uomo e della disubbidienza alla sua chiamata e alla disattenzione al compito che ci affida nasce la confessione, la domanda di perdono.

Kavasilas seguendo le indicazioni paradigmatiche e pedagogiche della Divina Liturgia sottolinea con forza e con continuità il rapporto glorificazione e domanda perdono. L'uomo si scopre peccatore di fronte alla gloria di Dio e riconosce nella sua vita la dialettica della memoria e della dimenticanza-. Questa rende precaria l'obbedienza e debilita la volontà.

Riferendosi all'inizio della Divina Liturgia quando il diacono dirige la preghiera litanica, Kavasilas prende in considerazione le preghiere che il celebrante innalza a Dio, stando all'interno del santuario. In esse il sacerdote prega per gli assistenti, per la santa casa di Dio, implorando sul popolo una abbondante effusione di misericordia e di pietà. "Egli aggiunge il motivo per cui egli innalza queste suppliche in riferimento alle quali Dio donerà ciò che è giusto da parte sua. Non è che quelli che stanno per ricevere (la divina misericordia) se siano degni, neppure noi abbiamo diritto a riceverla, "ma poiché è a te che appartiene la gloria, ogni onore e adorazione"".

È a causa della tua gloria che ti rivolgo queste richieste, dice egli. L'essere trattati con simile amore, benché ne siamo indegni, è a vantaggio della tua gloria. Questo modo di essere glorificato ti conviene secondo la parola del beato Davide: "Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome rendi gloria". L'esperienza dell'amore della divina Triade che lo ha espresso in modo inimmaginabile nella persona del Cristo, fa confessare la propria indegnità, la propria fragilità, la propria disobbedienza, il proprio peccato. Inoltre si chiede che il Signore sia prodigo verso il suo popolo di grande e copiosa misericordia.

Il commento alla preghiera recitata silenziosamente durante la prima piccola litania chiarisce ulteriormente il significato della misericordia divina, che viene invocata in forza della gloria divina, mettendone in evidenza l'effetto domandato per l'uomo. Dopo aver pregato dunque per tutta la Chiesa il sacerdote aggiunge: "Santifica tutti coloro che amano il decoro della tua casa, tu glorificali con la tua divina potenza e non voler abbandonare noi che in Te riponiamo la nostra speranza". "La gloria, dice," così commenta Kavasilas "abita presso i re come il potere di rendere gloriosi tutti quelli che vuole, Tu che sei il re eterno, a Te appartiene la potenza e l'impero".

La Chiesa insiste nel chiedere e far chiedere ai fedeli la divina misericordia perché Dio attraverso essa trasformi l'intelligenza, la volontà e il cuore dell'uomo a propria somiglianza; trasfiguri e deifichi la natura umana dando all'uomo quella gloria che mai si potrebbe conquistare e rendendo reale l'adozione filiale. Tutto ciò è possibile perché Cristo nella suprema obbedienza al Padre ha realizzato per l'uomo la grande misericordia che ciascuno incontra e vive partecipando ai divini misteri dentro una memoria reale che nello stesso tempo è riconoscimento di radicale dipendenza.

Kavasilas sottolinea con forza il fatto che la Chiesa a ogni domanda litanica fa rispondere il popolo con la formula "Signore pietà" (Kyrie eleison) e se lo spiega "Innanzitutto siffatta richiesta, come è stato detto, implica l'azione di grazia e la confessione. Inoltre implorare da Dio la sua misericordia è domandare il suo regno, il regno che Cristo ha promesso di donare a quelli che lo cercano, aggiungendovi in sovrappiù tutti gli altri beni di cui abbiamo bisogno. Ecco perché i fedeli si contentano di questa domanda che ha una portata universale".

Qui ci troviamo di fronte a uno dei passi fondamentali per comprendere il significato della preghiera che la Chiesa propone come paradigmatico. Troviamo innanzitutto lo stretto legame tra le diverse forme di preghiera, precedentemente distinte, cosicché glorificazione, ringraziamento, confessione, domanda di misericordia trovano la loro essenziale unità nel desiderio che si avveri il destino di ciascuno secondo il libero disegno di Dio, realizzato attraverso un gratuito atto di amore. Tale atto ha il suo culmine nella "kenosis - eleos", che è la massima espressione della gloria di Dio.

"La kenosis è la povertà del figlio, le sue opere e le sue sofferenze nella carne; questi eventi (sono chiamati) misericordia e verità. Misericordia poiché, quando noi ci troviamo nello stato più miserabile, eravamo suoi nemici e in rivolta contro di Lui, non ci ha guardato con indifferenza a causa della sua immensa bontà e amore; non si è nemmeno contentato di compatire la nostra disgrazia, ma ha condiviso egli stesso i nostri mali, la nostra angoscia, la nostra morte".

La preghiera cristiana nasce da un incontro totale della vita, l'orizzonte esaustivo del significato. L'uomo che con attenzione e sincerità riconosce la sua situazione risponde con la richiesta che avvenga anche per lui la grande misericordia, il suo destino si avveri attraverso un cammino in una comunione, in una compagnia che sia tensione al destino che è vivere la comunione con Dio in Cristo. La domanda della misericordia pur con tutte le sfumature che può avere, è il punto sintetico della preghiera e delle sue forme. Esiste però una condizione preliminare perché il nostro chiedere sia un desiderio del cuore, una confidenza totale e incondizionata, una disponibilità obbediente. Questa condizione ci è indicata dalla prima esortazione che il diacono rivolge ai fedeli: preghiamo "in pace" il Signore.

La pace è la grazia dell'incarnazione che si manifesta nella Natività. Essa è sentire che la nostra vita è sostenuta con forza, è la sicurezza che Dio è già venuto in mezzo a noi e opera in noi. Quanto più è radicata tale coscienza tanto più tutto è stabile nella nostra vita. Nell'affascinante gratuità, nella bellezza ricca di quell'avvenimento in cui si è percepito e scoperto il significato di ogni cosa sta la vera tranquillità del nostro operare. La pace avviene in noi quando il nostro vivere è coscienza fedele dell'evento di Cristo e la coscienza di questa presenza è coscienza di sé.

La pace vive come speranza perché è certezza nell'attesa della gloriosa manifestazione del Signore. Il Kavasilas sottolinea con forza il senso cristiano della pace; infatti afferma che nel pronunciare la parola pace, la Chiesa include la confessione e il rendimento di grazie. "Infatti colui che è scontento di ciò che gli capita nella vita, non può avere in se stesso la pace; (la possiede) bensì colui che è riconoscente e che in tutte le cose rende grazie a Dio, secondo la legge formulata dal beato (apostolo) Paolo. Neppure colui che non ha "la coscienza pura", ma è impossibile avere la coscienza pura senza confessione. Inoltre la supplica che si rivolge pone in un atteggiamento di riconoscenza e di confessione. Che cosa si chiede infatti? Di essere fatti oggetto di pietà (eleithine). Questa è la supplica dei condannati che, senza né alcuna scusa né alcuna giustificazione da far valere, lanciano al loro giudice questo grido supremo, sperando di ottenere ciò che chiedono non dalla giustizia ma dall'amore (philanthropias). Questo è l'atteggiamento delle persone che testimoniano al giudice la sua immensa bontà e a se stessi la loro perversità; il primo atteggiamento è una confessione, il secondo riconoscenza".

La pace è dunque un dono di Dio che viene dall'alto. Non si tratta soltanto, soggiunge Kavasilas, della pace tra gli uomini, ma soprattutto della pace con noi stessi. L'anima agitata e insicura non può avere un rapporto positivo con Dio perché non vi si abbandona con fiducia ma tenta di risolve i propri problemi con le proprie forze che sconvolgono l'uomo e dividono il suo cuore in una moltitudine di preoccupazioni. Ancor peggio chi nutre nel suo cuore odio, recriminazione, invidia non costruisce ma distrugge la comunione ecclesiale, si sente interiormente diviso, incapace di vera obbedienza e sequela e non fonda la propria speranza nell'indefettibile fedeltà di Dio.

Ascesi e preghiera personale

Fino ad ora abbiamo analizzato la Divina Liturgia, che è il vertice dell'autocoscienza della Chiesa, perché luogo della grande memoria oggettiva, sia norma, secondo Kavasilas, e regola educativa alla preghiera. Le ufficiature liturgiche in generale ricordano (cioè rendono presente e incontrabile nella storicità dell'esistenza umana) il mistero di Dio che si manifesta in modo glorioso cosicché l'esperienza storica della divina economia diventi esperienza personale di ogni credente. L'uomo però non ha accesso diretto e immediato con il Dio che si manifesta; il rapporto tra uomo e Dio non è un rapporto privato soggetto alla riduzione soggettivistica, ma passa attraverso una comunione, una compagnia concreta, che attraverso le situazioni concrete della sua labile e fragile esistenza storica vive concretamente la memoria di Cristo e apre il credente alla totalità della grande memoria della Chiesa. Alcuni elementi di questo contesto in cui germoglia e fiorisce la preghiera cristiana sono impliciti nel discorso di Kavasilas, però, come è stato documentato, sono chiaramente presenti le conseguenze che a quegli elementi inevitabilmente rimandano. Non è un caso che l'ascesi e la mistica fioriscono prevalentemente nell'ambiente monastico (sia cenobitico, sia idioritmico che anacoretico) e che Kavasilas abbia sicuramente aspirato alla vita monastica anche se non è sicuramente provato che abbia dimorato in qualche monastero. Comunque la comunità monastica è una comunione cristiana; una compagnia tesa al destino, capace di esercitare una memoria oggettiva, aprire il credente alla grande tradizione della Chiesa, fargli sperimentare l'oggettività ineludibile della presenza di Cristo nella storia, dilatare il suo cuore fino a farlo coincidere con la coscienza ecclesiale. È per questo motivo, lo si è accennato all'inizio, che Kavasilas non ci ha dato una trattazione soggettiva, ideologica o moralistica del cristianesimo, ma ci ha comunicato una esperienza cristiana sicuramente radicata nella autocoscienza della Chiesa vissuta nella tradizione.

È inevitabile allora che l'ascesi cristiana sia l'eco personale della Tradizione vissuta dalla Chiesa e che la preghiera sia il respiro di questa vita. Riflettendo dentro la tradizione Vladimir Loskij riconosce che "al di fuori della verità custodita dalla Chiesa nel suo insieme, l'esperienza personale sarebbe priva di ogni certezza, di ogni oggettività; sarebbe una mescolanza di vero e di falso, di realtà e di illusione; misticismo nel senso deteriore del termine. D'altra parte, l'insegnamento della Chiesa non avrebbe nessun ascendente sulle anime se non esprimesse in qualche nodo una esperienza intima della verità data in misura diversa a ciascuno dei fedeli ."

L'ascesi cristiana è l'atteggiamento del camminare religioso, la sua volontà, passione e urgenza. È il rapporto vissuto con Dio, è la vita in Cristo, custodita e approfondita nell'ambito dell'obbedienza al compito della vita che consiste nel lasciar rifulgere, secondo la peculiarità precipua di ogni persona, la gloria che Dio ci comunica con la sua grande misericordia. Essa, in una parola, è il lavoro della vita in una sequela dell'oggettività del mistero di Dio presente concretamente nella storia. Progressivamente essa rende capaci di enunciare l'avvento della grande misericordia e dona una creatività nuova sorgente di rapporti nuovi di convivenza, attenti alla verità ultima della persona, disponibili a condividere il bisogno e il dolore.

Kavasilas insiste continuamente nel presentare l'ascesi come la tensione, il desiderio di mantenere attiva la vita che Cristo ha infuso e fatto maturare per mezzo dei divini misteri. Se è da una parte indubitabile che la nascita di questa vita dipenda soltanto dall'iniziativa di Cristo, è effetto del nostro impegno lasciarci riplasmare il cuore dalla grazia, rimuovendo gli ostacoli che la nostra libertà può frapporre..

La sequela e l'obbedienza è per Kavasilas il modo fondamentale per vivere in Cristo, per assimilarci e partecipare alla sua umanità deificata perché chi comunica al Cristo nei misteri deve essere unito a lui anche nella volontà. "Infatti è necessario avere comunione di volontà con colui al cui sangue comunichiamo."

Non è possibile per un verso essere uniti, per l'altro divisi; qui amare, là combattere; essere figli ma riprovevoli; membra ma membra morte, alle quali, essendo divisi dalla vite vera, non giova a nulla l'esser state prima congiunte e l'esser nate, come il tralcio la cui fine è di esser gettato fuori a seccare per essere dato al fuoco. Perciò, chi ha deciso di vivere in Cristo deve stare attaccato a quel cuore e a quel capo, poiché da non altro viene la vita; ma ciò non è possibile senza volere le medesime cose che vuole il Cristo. È necessario dunque, per quanto è possibile all'uomo, esercitare la propria volontà nella volontà di Cristo e disporsi ad avere gli stessi desideri e a godere con lui delle stesse gioie." La condizione perché la volontà umana si conformi a quella di Cristo è fare memoria dei suoi misteri. Memoria per Kavasilas significa inizialmente considerare con il pensiero i momenti salienti e più significativi della vita di Cristo perché sorga in noi il desiderio di imitarlo.

"Principio di ogni azione è il desiderio e principio del desiderio è il pensiero... Non credete che questi pensieri (la meditazione cioè della vita di Cristo) siano più utili e dolci di qualunque altro? Mirando ad essi, se essi dominano nell'anima, prima di tutto è impossibile che si apra la vita in noi a qualunque pensiero cattivo e poi comprendendo i benefici, non potremo non crescere nell'amore per il benefattore. Così, amandolo intensamente, saremo anche esecutori dei suoi comandi e in comunione con la sua volontà". La memoria non ha però soltanto una connotazione intellettualistica, non è solo pensare alla vita di Cristo per poi osservare i precetti con maggior desiderio.

Kavasilas considera il pensiero come primo passo per giungere alla partecipazione della sua vita mediante la virtù. "Siamo eredi di Dio, coeredi di Cristo, e regneremo col Cristo se avremo partecipato ai suoi patimenti [?].

Quale godimento può gareggiare con quella visione?... Qui coloro che hanno provato il loro amore generoso per il Cristo con l'esercizio della virtù, i patimenti, le fatiche e la cura dei loro simili. Là quelli che hanno imitato il Cristo anche nella sua immolazione e si sono consegnati alle spade, al fuoco, alla morte. Sui corpi luminosi mostrano ancora le cicatrici, portano in trionfo i segni delle piaghe come titoli di gloria."

La meditazione della vita di Cristo supera quindi la dimensione puramente intellettuale per diventare imitazione pratica. Si assimila cioè il criterio con cui il Cristo si è posto di fronte ad eventi, situazioni e persone. Si interiorizza il giudizio e l'atteggiamento di Cristo di fronte al Padre, al mondo e all'uomo non per ripetere in modo meccanico atteggiamenti che sono irripetibili per l'inevitabile variare delle circostanze, ma perché la volontà dell'uomo agisca in seguito al medesimo giudizio pratico. In tal modo la volontà umana entra in sintonia, si conforma alla volontà umana di Cristo che è totale abbandono alla volontà di Dio. Tale atteggiamento e operatività porta ad osservare i precetti di Cristo non per dovere, non per raggiungere la perfezione, ma solo per affezione alla persona di Cristo viva e presente nella realtà contingente della situazione che a ciascuno tocca di vivere. Chi ne medita i misteri rimane in comunione di volontà con Cristo realizzando in senso pieno la memoria.

La progressiva e continua libera disponibilità all'obbedienza e alla dipendenza da Cristo come persona che è e destino della vita produce il vivo germoglio della vita in Cristo che sono le virtù. Esse non sono merito dell'uomo, ma trasformazione del modo di vivere dell'uomo prodotto dalla misericordia di Dio che opera in modo gratuito e trasfigura il cuore, l'intelligenza e la volontà. Frutto dei buoni pensieri, nel senso innanzi chiarito sono per Kavasilas le beatitudini, veri e propri frutti della vita in Cristo. L'uomo trasformato dallo spirito, innestato nella umanità deificata di Cristo, totalmente abbandonato alla volontà del Padre, vive la povertà di spirito.

"Di che dunque potremo inorgoglirci? Per aver agito rettamente? Ma non è gran cosa; per quel che di grande è in noi? Ma non è nostro; per aver custodito il deposito ricevuto? Anzi l'abbiamo tradito; di portare tuttavia il sigillo di Cristo? Ma proprio questo è segno che non lo portiamo: infatti per i superbi non c'è alcuna comunione con Lui, che è mite e umile di cuore." Inoltre è naturale che dalla meditazione nascano il pianto e le lacrime, continua Kavasilas, se si pensa alla novità inaudita compiuta da Cristo per la nostra salvezza e all'indolenza e al sonno che ci trattiene. Continuando il commento alle beatitudini il nostro autore considera la mitezza soprattutto nei confronti di coloro che ci affliggono. La fame e la sete di giustizia è desiderio che venga il suo regno e la misericordia è l'atteggiamento di gratuità di fronte alle situazioni, e la disponibilità ad avere come unico scopo del nostro agire non il nostro progetto ma la volontà del Padre. Affinché questi germogli sboccino nella maturità della vita cristiana è necessario che la memoria di Cristo e la coscienza della dipendenza siano incessanti. "Come il fuoco non può agire per nulla sugli oggetti che tocca se il contatto non è continuo, così un pensiero intermittente non può disporre il cuore a nessuna passione, occorre un certo tempo, lungo e continuo."

La preghiera di Gesù

Come la memoria personale di Cristo è assimilazione della grande memoria che la Chiesa realizza nella Tradizione e particolarmente nel culto, così la preghiera personale è l'interiorizzazione del criterio della preghiera ecclesiale che ha sempre una dimensione comunitaria. Memoria e coscienza di dipendenza, i due aspetti dell'unico atteggiamento orante, sono inconcepibili e irrealizzabili nella pura individualità, senza cioè l'assunzione personale della coscienza ecclesiale. Ciò è ancora più vero nell'ascesi, come già è stato sottolineato, dove cambiamento nel modo di essere e preghiera sono intimamente connessi e costituiscono il centro focale della vita cristiana. Kavasilas riferisce, certamente per esperienza personale, che la memoria di Cristo è ravvivata dalla invocazione continua del suo nome. È singolare che alla preghiera di Gesù Kavasilas dedichi poche righe in un momento in cui era divampata la controversia dell'esicasmo da lui chiaramente condiviso ma mai apertamente difeso. Per questo tipo di preghiera, come per ogni preghiera personale, a suo giudizio, non c'è bisogno di "alcun apparato", né di luoghi speciali né della formulazione a voce alta. Benché Kavasilas sottolinei prevalentemente la domanda di misericordia, giova ricordare che questa preghiera consta di due parti: "Signore, Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me".

Il nostro, come accennato, dà particolare importanza alla domanda di misericordia. Essa è l'eco personale della incessante richiesta di misericordia che la Chiesa esprime nelle formule di culto. È inoltre, come già chiarito, l'indicazione pedagogica essenziale con cui la Chiesa educa il popolo alla preghiera che realizza in questa forma la sua massima espressione. Scrive infatti Kavasilas "chi se non i colpevoli dovrebbe implorare dal Signore amico degli uomini la misericordia, il perdono, la remissione del debito e simili doni, e non tornare a mani vuote dopo aver pregato? In una parola, se si ammette che gli uomini devono innalzare a Dio una voce implorante misericordia, questa è la voce dei peccatori, di chi cioè ha commesso azioni bisognose di misericordia". Nella prima parte della preghiera, per la verità mai citata dal nostro forse perché ben nota, si afferma e si riconosce che Cristo è Signore. Ciò significa affermare che Cristo è stato glorificato dal Padre nello Spirito perché nel suo volto (pròsopon) si è manifestata in modo glorioso la realtà della sua persona (ipòstasis) come immagine vivente del Padre. Si può dire che la preghiera di Gesù sia la sintesi di ogni preghiera cristiana perché porta con sé nella sia formulazione i due poli della glorificazione e della domanda di misericordia. Per questo tale preghiera, divenuta così cara alla spiritualità bizantina, sintetizza nella sua pregnante brevità tutta la profondità della preghiera liturgica della Chiesa.

In conclusione di questa analisi, come cioè Kavasilas ha vissuto il senso della preghiera, possiamo affermare che essa è il respiro della vita cristiana nata nel sacramento germogliata nei pensieri, maturata nella meditazione come afferma ancora una volta lo stesso. "Se saremo così uniti al Cristo nel sacramento, nella preghiera, nella meditazione, nei pensieri, eserciteremo l'anima a ogni virtù, conserveremo - come ordina Paolo - il deposito che ci è stato affidato, e custodiremo la grazia infusa in noi dai misteri".

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