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Lo scopo finale della musica non deve essere altro che la gloria di Dio e il sollievo dell'anima (Johann Sebastian Bach)

venerdì 8 giugno 2012

Un eroe dello spirito: Abuna Matta El-Meskin

Abuna Matta El Meskin (Padre Matteo il Povero, 20/9/1919 - 8/6/2006), monaco Copto Ortodosso, è stata la figura chiave della rinascita del monachesimo egiziano che cominciò nel 1969, quando fu incaricato di rifondare il monastero di San Macario a Wadi El-Natrun in Egitto. Al momento della sua morte la comunità si era accresciuta passando da 6 a 130 monaci, mentre contemporaneamente nuovi monasteri erano stati fondati ed altri già esistenti si erano rinvigoriti numericamente.

Il Monastero di San Macario a Scete (Wadi el-Natrun): Storia del Monastero

Il Monastero di san Macario è situato in Wadi el-Natrun, l’antica Scetes, a 92 km dal Cairo, sul lato occidentale della via del deserto verso Alessandria. Fu fondato nel 360 D.C. da San Macario l’egiziano, che era il padre spirituale di oltre 4.000 monaci di diverse nazionalità – Egiziani, Greci, Etiopi, Armeni, Nubiani, Palestinesi, Italiani, Galli e Spagnoli. Tra loro c’erano uomini di lettere e filosofi, membri dell’aristocrazia del tempo, insieme a semplici contadini analfabeti. A partire dal quarto secolo fino ad oggi il monastero è stato sempre abitato da monaci, senza interruzione.

Nel 1969 per il monastero é iniziato un periodo di rinnovamento, sia spirituale che architettonico, con l’arrivo di dodici monaci e del loro direttore spirituale, P. Matta el-Meskin (Matteo il Povero). Questi monaci avevano vissuto i dieci anni precedenti vivendo insieme completamente isolati dal mondo, nelle grotte di una zona desertica nota come Wadi el Rayan, a circa 50 km a sud del Fayum. Avevano vissuto una vita monastica in senso stretto, nello spirito dei padri del deserto, con la stessa semplicità e la stessa completa privazione di tutti i beni e comodità del mondo, con lo stesso profondo senso dell’amore divino, e con la stessa totale fiducia nella divina provvidenza in mezzo all’ambiente naturale piú austero e ai pericoli del deserto. Per questi dodici monaci fu un periodo in cui furono legati in una sorta di prova del fuoco dell’amore divino, che li univa in Cristo nello spirito del Vangelo.

Fu l’ultimo Patriarca Cirillo VI che nel 1969 ordinò a questo gruppo di monaci di lasciare Wadi el-Rayan e andare al Monastero di San Macario per rinnovarlo. Il Patriarca li ricevette, li benedisse, assicurò loro le sue preghiere e chiese a Dio di garantire loro la Sua spirituale paterna grazia, perché il deserto potesse rifiorire e diventare la casa per migliaia di eremiti. Soltanto sei monaci anziani vivevano al momento nel monastero e gli edifici storici al suo interno erano sul punto di crollare. I nuovi monaci furono accolti calorosamente dall’abate del monastero, il Vescovo Michael, Metropolita di Assiut, che grazie alla sua saggezza e alla sua umiltà fu capace di creare l’atmosfera favorevole al rinnovamento sperato.

Al momento, sotto il Patriarca Shenouda III, personalmente impegnato attivamente nel rinnovare i due monasteri di S. Bishoi e Baramos, e dopo 14 anni di costante attivitá sia nella ricostruzione materiale che nel rinnovamento spirituale, la comunità monastica conta oggi circa 100 monaci. La maggior parte di essi sono laureati in diverse discipline come agricoltura, medicina, veterinaria, pedagogia, farmacia e ingegneria, ed hanno fatto esperienza di lavoro prima di intraprendere la vita religiosa. I monaci vivono in una forte unità spirituale, secondo lo spirito del Vangelo, praticando l’amore fraterno e la continua preghiera del cuore. Hanno tutti lo stesso direttore spirituale, che veglia sull’unità di spirito nel monastero. Il rinnovamento si nota anche nella preghiera diligente degli uffici divini quotidiani e nelle altre funzioni liturgiche, dal momento che l’aspirazione dei monaci è quella di rivivere nella Chiesa lo spirito del Cristianesimo dei primi secoli, sia con le regole di vita che con lo studio coscienzioso.

Tratto dal sito del Monastero di San Macario: http://www.stmacariusmonastery.org/iabout.htm

La preghiera continua e la preghiera di Gesù

La vita nel suo senso più profondo, si riassume in due atti costanti di un’estrema semplicità: il primo è l’amore la cui sorgente è Dio, il secondo è l’adorazione, che è il proprium della creazione: “Dio è amore” (1Gv 4,16); “Io non sono che preghiera” (Sal 109,4). Questi due atti sono ininterrottamente costanti; così, Dio non cessa di amare la creazione e la creazione non cessa d’adorare Dio: “Vi dico, che se questi taceranno, grideranno le pietre” (Lc 19,40).

Tutti gli atti e le molteplici occupazioni della vita passeranno e scompariranno dopo averci valso condanna o ricompensa e resteranno soltanto questi due straordinari atti: l’amore di Dio per noi e la nostra adorazione di Dio. Non passeranno mai e rimarranno eternamente, perché Dio è felice d’amarci: “Ho posto le mie delizie tra i figli dell’uomo” (Pr 8,31) e noi troviamo tutta la nostra felicità nell’adorazione di Dio.

Quest’adorazione è un’intuizione divina depositata da Dio al cuore della natura dell’uomo, affinché egli abbia la gioia d’adorare la sorgente della vera felicità. L’abbiamo toccato con mano, sperimentato e verificato tante e tante volte; abbiamo acquisito la certezza che la preghiera e l’adorazione sono fonti di felicità permanente.

C’è dunque un mezzo per condurre una vita d’adorazione e di preghiera ininterrotta, per mettere Dio al centro del nostro pensiero, per fare in modo che tutti i nostri atti e i nostri comportamenti gravitino intorno a lui, per vivere alla sua presenza dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina?

In realtà, quest’opera non è una cosa da poco; esige da parte nostra grande determinazione, perseveranza e molta attenzione. Non dimentichiamo però che, così facendo, realizziamo il vertice della volontà e del piano divini e che, di conseguenza, vi troveremo immancabilmente l’aiuto, l’amore e la guida di Dio.

Riassumiamo come segue la sostanza di quest’esercizio.

1. Gli obbiettivi della preghiera continua:

- Vivere sempre alla presenza di Dio.

- Associare Dio a tutte le nostre attività, a tutti i nostri pensieri e conoscere la sua volontà.

- Accedere a una vita di gioia, avvicinandoci alla fonte stessa della felicità: Dio, e gioire del suo amore.

- Acquisire un’alta conoscenza di Dio nel suo stesso essere.

- Praticare un felice distacco dalle cose di questo mondo, senza rimpiangere nulla.

2. Qualche indicazione sulla preghiera continua:

- Ravvivare il sentimento di essere alla presenza di Dio che vede tutto ciò che facciamo e sente tutto ciò che diciamo.

- Tentare di parlargli di tanto in tanto, con brevi frasi che traducano il nostro stato del momento.

- Associare Dio ai nostri lavori domandandogli di essere presente alle nostre attività, rendendone a lui conto dopo averle concluse, ringraziandolo in caso di riuscita, dicendogli il nostro rammarico in caso di fallimento, cercandone le ragioni: ci siamo forse allontanati da lui o abbiamo omesso di chiedere il suo aiuto?

- Cercare di percepire la voce di Dio attraverso i nostri lavori. Molto spesso egli ci parla interiormente ma non essendo attenti a lui, perdiamo l’essenziale dei suoi orientamenti.

- Nei momenti critici, quando riceviamo notizie allarmanti o quando siamo assillati, chiediamogli subito consiglio; nella prova egli è l’amico più sicuro.

- Non appena il cuore comincia a irritarsi e i sentimenti ad agitarsi, volgiamoci a lui per calmare la nefasta agitazione prima che invada il nostro cuore; invidia, collera, giudizio, vendetta, tutto ciò ci farà perdere la grazia di vivere alla sua presenza, perché Dio non può coabitare con il male.

- Tentare per quanto possibile di non dimenticarlo, tornando subito a lui, non appena i nostri pensieri sono colti in flagrante reato di vagabondaggio.

- Non intraprendere un lavoro o dare una risposta prima di aver ricevuto una sollecitazione da Dio. Questa diventa sempre meglio discernibile a misura della fedeltà del nostro cammino alla sua presenza e della nostra determinazione a vivere con lui.

3. Principi base per una vita di preghiera continua:

- Credi in Dio? Allora che Dio sia la base di tutti i tuoi comportamenti; con lui accogli tutto ciò che incontri nella vita, felicità o tristezza. Che la tua fede non cambi ogni giorno a seconda delle circostanze. Non lasciare che sia il successo ad aumentare la tua fede, né il fallimento, la perdita e la malattia a indebolirla o ad annientarla.

- Hai accettato di vivere con Dio? Allora, una volta per tutte, metti in lui tutta la tua fiducia e non cercare di indietreggiare o di battere in ritirata. Sii fedele a lui fino alla morte.

- Affidagli tutti i tuoi affari materiali e spirituali; egli è veramente in grado di reggerli tutti. Sappi che la vita con Dio sopporta tutto: malattia, fame, umiliazione… e non essere sorpreso se ti accadono queste cose; sii paziente e le vedrai trasformarsi e schierarsi dalla tua parte per il tuo maggior bene.

- Concentra il tuo amore su Dio e non permettere agli ostacoli di ridurlo; al contrario, accogli ogni sofferenza senza amarezza ma con dolcezza, a motivo di questo amore, perché il vero amore trasforma la sofferenza in felicità.

- Beati coloro che sono stati ritenuti degni di soffrire per il suo Nome. Ancora più beati coloro che desiderano sacrificarsi per amore del suo Nome.

Breve storia della preghiera continua

La preghiera continua è una disciplina spirituale particolare che impegna le facoltà interiori dell’anima e tocca centri precisi del cervello con lo scopo d’acquisire la calma interiore necessaria a pervenire a uno stato di veglia spirituale costante e di percezione permanente della presenza divina, accompagnata da un completo dominio dei pensieri e delle passioni. Costituisce l’opera spirituale più importante e più elevata che, condotta con successo, può farci raggiungere le vette della vita spirituale.

Questa forma di preghiera è già menzionata negli insegnamenti dei primi padri del deserto d’Egitto: Macario il Grande parla della recitazione costante del “dolce Nome di Gesù” e abba Isacco, discepolo di Antonio, fa un lungo elogio della ripetizione continua del versetto di un salmo. Entrambi hanno vissuto verso la fine del IV secolo e gli insegnamenti del secondo sono stati raccolti da Cassiano durante i suoi viaggi in Egitto.

Attraverso le parole di abba Isacco apprendiamo che questo metodo di preghiera, costitutivo di una delle tradizioni ascetiche più importanti tra quelle che i padri avevano ricevuto dai loro predecessori, “è un segreto che ci è stato rivelato da quei pochi padri appartenenti al buon tempo antico, ma che vivono tutt’ora; noi lo riveliamo a nostra volta a quel piccolo numero di anime che dimostrano una vera sete di conoscerlo”.

Quanto agli effetti di questa pratica sulle facoltà dell’anima e della mente, essi erano noti ai padri fin dall’inizio,come si deduce dalle parole di Isacco: “[Questa preghiera] esprime tutti i sentimenti di cui è capace la natura umana; conviene perfettamente a tutti gli stati e a ogni sorta di tentazione… Che l’anima (mens) ritenga incessantemente questa formula, cosicché, a forza di ripeterla, acquisti la capacità di rifiutare e allontanare da sé tutte le ricchezze rappresentate dai nostri molteplici pensieri”.

Fin da allora, cioè dal IV secolo, la preghiera continua si è diffusa in Egitto e in tutto l’oriente cristiano fino a occupare un posto preponderante nella dottrina ascetica di tutte le chiese orientali. La ritroviamo, tra gli altri, negli insegnamenti di Nilo il Sinaita (+ 430), poi in quelli di Giovanni Climaco all’inizio del VII secolo (570-640), e di Esichio di Batos (Sinai, VII o VIII secolo). L’importanza accordata all’hesychìa (tranquillità) si amplifica progressivamente fino a raggiungere uno dei suoi vertici negli insegnamenti di Isacco ll Siro, vescovo di Ninive, verso la fine del VII secolo.

Gli elementi frammentari di questi insegnamenti furono raccolti in una dottrina sistematica solo con l’arrivo di Simeone il Nuovo Teologo (1022) e poi di Gregorio il Sinaita, che li organizzarono in una dottrina mistica di tipo specificamente bizantino. Gregorio il Sinaita, seguito dal discepolo Callisto che diverrà patriarca di Costantinopoli, la introdusse al Monte Athos alla fine del XIII secolo e fece della preghiera continua una pratica mistica fondamentale nella tradizione bizantina, dopo aver raccolto la quasi totalità delle parole dei padri riferite a questo argomento, ordinandole, spiegandole e commentandole.

Con il soggiorno di Nil Sorskij al Monte Athos, nella seconda metà del XV secolo, si aprì una porta molto ampia per l’impiantazione in Russia della preghiera continua. Tutta l’eredità orientale antica, con le sue ricchezze, si trovò trasferita ai padri russi che rivaleggeranno in ardore per applicarla con amore, fedeltà e devozione. Ormai, questa pratica occuperà un posto molto importante nella vita delle generazioni successive, come ci si può rendere conto leggendo i Racconti di un pellegrino russo.

Ma, lasciando il deserto d’Egitto, suo luogo d’origine, la preghiera continua perse buona parte della sua semplicità originaria; chi la praticava nei primi secoli, viveva spontaneamente in profondità i suoi effetti spirituali senza esaminarne il come; ne raccoglieva i frutti senza che ciò suscitasse in lui ambizioni spirituali.

Questa forma di preghiera è dunque passata da un’umile pratica ascetica a una sistematizzazione mistica elaborata, provvista di discipline proprie, proprie condizioni, gradi e risultati. L’orante può prendere coscienza di tutto ciò ancor prima di cominciare a praticarla. Il che, naturalmente, non ha mancato di attribuire al metodo una buona parte di complessità, accresciuta da una dannosa mancanza di naturalezza. Nondimeno, la preghiera continua ha sempre i suoi adepti e i suoi praticanti esperti e, su coloro che l’amano, non cessa di versare in abbondanza i suoi effetti benefici, le sue grazie e le sue benedizioni. L’autore stesso confessa i benefici di questa preghiera per quanto lo riguarda personalmente.

Matta El Meskin

Tratto da Matta El Meskin, L’esperienza di Dio nella preghiera, Ed. Qiqajon

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