“Oggi, luminosa e bella, la gloriosa città di Mosca accoglie come aurora la tua miracolosa icona, o Sovrana”. Ad essa noi accorriamo e supplici così t'invochiamo: “O meravigliosa Regina, Madre di Dio, prega Cristo, nostro Dio in te incarnatosi, di conservare questa città e tutte le città e regioni cristiane libere dalle insidie nemiche, e di salvare, come il Misericordioso, le nostre anime” (Invocazione del tropario principale dell'ufficio della festa del 26 agosto).
Tutte le icone antiche, specie quelle più miracolose, cui la devozione del popolo è molto forte, hanno in comune la tradizione che le vuole dipinte dallo stesso San Luca. Tradizione con ogni probabilità vera se si considera San Luca non come il personaggio storico in quanto tale, ma come l’iconografo perfetto, cioè colui che dopo la preghiera ed il “digiuno degli occhi” riceve la Grazia dello Spirito e divenendo il “dito di Dio”, “scrive” su una tavola di legno quella Luce increata diversamente non visibile ai nostri occhi. Per Grazia ed attraverso lo Spirito l’Immagine diviene prototipo e quindi finestra sul Cielo. E’ interessante notare come secondo la fonte cui si attinge, San Luca dipinse complessivamente sette o settanta icone, o addirittura, come qualcuno sostiene, soltanto tre (un’Odigitria, una Elousa e una icona del Segno). E’ molto probabile però che dietro questa tradizione si nasconda soltanto la dottrina evangelica del perdono. Le icone servono ad avvicinarsi a Dio, ma perché questo avvenga, il cuore del fedele che le contempla deve essere puro, diviene quindi necessario raggiungere questa purezza attraverso il perdono divino. Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. (Mt. 18,21-22).
La tradizione vuole che la versione originale di questa icona sia stata dipinta dal santo evangelista su una tavola di proprietà della Sacra Famiglia di Nazareth, quando la Vergine era ancora in vita. Da Gerusalemme sarebbe stata portata a Costantinopoli e posta in venerazione nella chiesa detta dell’Eleousa, fatta costruire da Giovanni II Comneno (1118-1143). Con maggiore probabilità la storia di questa icona inizia invece a Costantinopoli, quando un pio iconografo la scrisse. Qualche anno dopo l’icona fu portata in Russia; Luca, Patriarca di Costantinopoli, la donò a Jurij Dolgorukij, principe di Kiev, passato alla storia come il fondatore di Mosca. L’icona costantinopolitana fu accolta dal principe con il massimo degli onori e venne collocata a Vishgorod, ove, famosa per via dei numerosi miracoli, divenne oggetto di grande venerazione.
Al principe Jurij successe il figlio Andrej, detto Bogoljubskij (innamorato di Dio), per via della sua grande devozione. Il principe Andrej, desiderando estendere i confini del proprio regno verso nord-est, pensò di spostarne la capitale a Rostov. Andrej si mise così in viaggio per raggiungere la sua nuova capitale portando con sé la meravigliosa icona donata al padre. Durante il percorso, giunti a Vladimir, l’asina che portava l’icona puntualmente si fermò e non ne volle più sapere di spostarsi da quel punto. Andrej interpretò il rifiuto di muoversi dell’asina come la volontà della Santissima Vergine di fermarsi in questo luogo. La tutta Santa Vergine Maria aveva indicato in Vladimir la capitale del nuovo regno: correva l’anno 1164. L’icona fu presto collocata nel posto d’onore della chiesa della Dormizione e là dove i carriaggi si erano fermati, Andrej fece edificare la propria residenza ed un monastero dedicato alla Madonna. Da allora quel luogo porta ancora il suo nome: Bogoljubovo.
L’icona rimase a Vladimir per ben 200 anni e da questa città prese il nome. Una cronaca del 1395 narra che durante una scorreria, i Tartari fecero irruzione nella cattedrale della Dormizione, ove fecero bottino delle cornici in oro e argento delle icone. Il famoso Tamerlano (Temir Aksak) in persona era alla testa dell’orda barbarica che minacciava l’intera Russia, contro di lui si mosse il principe di Mosca Vasilij Dmitrievic. Il principe russo con il suo esercito prese posizione sulla riva del fiume Oka; la Russia in quell’epoca era sconvolta da continui disordini interni, quindi Vasilij poteva fare affidamento più su Dio che sugli uomini che potessero giungere in suo aiuto. Fu così che il Metropolita Kiprian, capo della Chiesa russa, gli fece memoria della miracolosa icona di Vladimir e di come la Vergine avesse protetto la città di Vladimir nel 1164, così come nella guerra contro i nemici bulgari, o come l'icona fosse rimasta incolume durante l'incendio del tempio di Vladimir, ed ancora durante l'invasione tartaro mongola, nel 1185. Il principe diede immancabilmente ordine di trasportare la sacra Immagine a Mosca.
Nel giorno della Dormizione della Santissima Madre di Dio, festa cui era dedicata la cattedrale di Vladimir, il Metropolita celebrò un Te Deum di ringraziamento e gli abitanti di Vladimir con le lacrime agli occhi accompagnarono l'immagine miracolosa che stava prendendo la strada di Mosca. Dieci giorni impiegò il convoglio per raggiungere infine i confini di Mosca. Qui alle porte Sretenskie (dell'Incontro) avvenne il solenne incontro degli abitanti di Mosca con l'icona. Per la precisione, le porte vennero chiamate Sretenskie proprio dopo questo memorabile fatto. Anche un monastero venne qui fondato in memoria dell'Incontro dell'icona di Vladimir. In seguito anche la via venne chiamata Sretenka. L'icona venne portata solennemente al Cremlino, nella cattedrale della Dormizione. Giorno e notte venivano ufficiati Te Deum davanti all'immagine della Purissima, chiedendo l'intercessione della Madre di Dio e la grazia del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo (I. JAZYKOVA, "La pensée russe", n. 4108, 11-17 gennaio 1996).
Puntualmente il miracolo avvenne! Tamerlano era già pronto a sferrare l’attacco, quando gli apparve in sogno la Vergine attorniata da forze celesti mentre gli intimava una immediata ritirata dalla Russia. Tamerlano comprese chi stava per sfidare e decise di levare le tende, per ritirarsi dalla Russia senza colpo ferire. A Mosca fu un tripudio di gioia e per molti giorni vennero cantati Te Deum di ringraziamento, mentre chiunque passasse di fronte all’icona si inchinava per ben dieci volte! Non appena si furono ritirati i Tartari, a Mosca giunsero le delegazioni della città di Vladimir che chiedevano la restituzione dell’icona, ma Vasilij, che nella sacra Immagine vedeva un segno particolare della protezione di Maria, non voleva in nessun modo restituirla agli antichi proprietari. Fu ancora una volta il Metropolita Kiprian a trovare la soluzione di quello che stava per diventare un pericoloso conflitto interno: rimise la questione nella mani della Santa Vergine. Venne fissata una notte in cui l’icona sarebbe rimasta chiusa nella Cattedrale, mentre gli abitanti di Vladimir e di Mosca avrebbero vegliato in preghiera attendendo un segno dall’alto. La mattina successiva le delegazioni delle due fazioni si presentarono alle porte della Cattedrale della Dormizione; una volta entrati, con loro grande meraviglia videro sull’Altare due icone assolutamente identiche! Il Metropolita gridò al miracolo e prontamente invitò la delegazione di Vladimir a scegliere per prima l’icona che desiderava fra le due. Questi ultimi, scelsero quella che a loro parere sembrava l’originale, mentre i Moscoviti si convinsero che quella autentica fosse in effetti quella rimasta a loro.
Solo al giorno d’oggi è stata scoperta l’esistenza di due copie dell’icona della Madonna di Vladimir risalenti al XVI secolo, una di esse era opera del grande Andrej Rublev. Nel 1480, a seguito delle ardenti preghiere dal principe Ivan III Vasil'evic (1462-1505), dei suoi soldati e di tutta la cittadinanza, la Vergine concesse la sua protezione mettendo in fuga la terribile Orda d'oro, capeggiata dal Khan Achmat e liberando Mosca. Ancora nel 1521 Mosca fu salvata dall'incursione dei Tartari sotto la guida del Khan di Crimea Machmet-Ghirej. Gli invasori, avendo visto la Madre di Dio con uno spaventoso esercito avanzare contro di loro, ebbero paura e fuggirono immediatamente.
L'icona del Cremlino rimase al suo posto fino al 14 dicembre 1918 sopravvivendo miracolosamente ad incendi e saccheggi e ricevendo gli omaggi e le suppliche dei devoti appartenenti a tutte le classi sociali. Alla presenza di questa icona venivano eletti ed incoronati gli zar. Il nome dei patriarchi della Chiesa ortodossa russa veniva inciso sulla riza che proteggeva l’ampia cornice dell’icona. L’icona sopravvisse, anche grazie alla sua fama, alla dissacratoria rivoluzione bolscevica, le fu tolta la riza interamente coperta di pietre preziose mentre l'icona fu restaurata per essere depositata presso il museo di stato della Galleria d'arte Tretjakov di Mosca, dove è rimasta fino all'aprile 1994; successivamente è stata affidata alla rinata Chiesa russa.
L’amorosissima Madre di Dio, nel periodo in cui i suoi figli ne avevano più bisogno, non li ha mai voluti lasciare. Maria ha continuato ad essere un richiamo alla fede in Dio, alla preghiera fiduciosa nell'aiuto e nella protezione di colei che è la Madre della misericordia. Con grande frequenza i cittadini di Mosca si recavano nella pinacoteca del Tretjakov per pregare con intensa devozione dinanzi alla Madonna di Vladimir, l’amore dei figli aveva trasformato una galleria d’arte in una cattedrale. Numerose testimonianze riferiscono che soprattutto durante il regime ateo, in attesa dell'autobus o passando nelle adiacenze, i devoti guardavano verso la Galleria, facevano segni di croce e muovevano le labbra. Quanto ai turisti che entravano nella Galleria per la visita, le donne si tiravano sul capo il foulard, gli uomini dimenticavano il cappello nel pullman o inventavano piccoli stratagemmi per non tenerlo in testa.
Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore. (Rm 8, 35-39)
L’icona della Madre di Dio di Vladimir appartiene al modulo iconografico detto “Eleousa” (della tenerezza) ove viene sottolineata la particolare dolcezza che esprimono la Madre ed il Bambino nel loro abbraccio culminante nel delicato contatto delle guance, profondo segno di unità e di vicinanza. Maria, nella fede, esprime la capacità di abbandonarsi in quell’abbraccio, di lasciarsi custodire, dando così voce alle parole del Salmo 17,8: "Custodiscimi come pupilla dei tuoi occhi, proteggimi all’ombra delle tue ali".
Di dimensioni contenute (58 per 78 cm), estese a 70 per 100 cm da una larga cornice che la attornia, l’icona si presenta senza la “riza” di metalli preziosi con cui era stata ricoperta e venerata per diversi secoli. L’insolito ampio bordo, che delimita il perimetro esterno dell’Immagine, aveva oltre alla funzione di contenere i nomi dei vari patriarchi che si sono susseguiti alla guida della Chiesa russa, anche quella di delimitare la realtà esterna (visibile con i nostri occhi) dalla realtà interna contenente l’Immagine (Eidos) che diversamente non apparterrebbe alla nostra realtà visibile. L’ampio bordo rappresenta quindi il lungo cammino verso la profonda comprensione del mistero teologico della relazione tra la sofferenza della Madre e la passione del Figlio, uniti nell’unico disegno del Padre nell’opera della redenzione. La sofferenza della passione è dunque intimamente legata alla verità dell’Incarnazione. A sostegno di questa tesi, si consideri che l’icona è dipinta anche sul retro e reca la scritta liturgica “IC XC - NIKA” (Gesù Cristo vince) assieme all’immagine degli strumenti della passione: i chiodi, la corona di spine, la lancia, la canna con la spugna ed una grande croce che si eleva su di un altare. La presenza di tutti questi elementi fanno supporre un uso processionale dell’icona durante l’ufficio della Passione. Il motivo della tenerezza ha quindi un ruolo particolare nella liturgia della passione.
L’abito della Madre di Dio è color porpora, reminiscenza dell’abito che indossavano le imperatrici bizantine, contrassegnandone così la regalità. Le tre stelle sull’abito all’altezza del capo e delle spalle, indicano la triplice verginità di Maria, prima, durante e dopo il parto; e simboleggiano anche la luce di Dio che illuminando la Vergine, fa nascere per noi il Salvatore.
Gesù ha un collo smisuratamente gonfio simboleggiante lo stato di pienezza dello Spirito. Il Cristo viene raffigurato con la corporatura di un dodicenne (evidente rimando all’episodio del ritrovamento fra i dottori nel tempio: Lc 2,41-50) e con il volto da bambino, sottolineando che “E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.”(Lc 2,52). E’ meraviglioso constatare come nell’icona venga richiamata simultaneamente tutta la vicenda storica di Gesù: dall’Incarnazione alla croce-Risurrezione, quest’ultima così magistralmente espressa dai Volti sacri “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.” (Lc 2,19) ed ancora "Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2,34-35).
Questo sforzo di presentazione di eventi avvenuti cronologicamente in momenti diversi, lontani, ma in modo totale ed istantaneo e pur sempre coerente alla dinamica dell’immagine, consiste nel più alto sforzo dell’uomo, illuminato dallo Spirito, di comprendere la realtà eterna, ove il tempo ormai non esiste più ed in cui tutto è un “presente continuo”.
Il forte contrasto nelle espressioni dei volti di Maria e di Gesù colpisce subito chi contempla questo capolavoro: triste quello della Madre di Dio, pieno di gioia quello di Cristo. Singolari anche le pose: statica e ben ferma la postura di Gesù, dinamica ed in movimento quella della Madre di Dio. La prima, punto fermo di riferimento nell’universo, la seconda simboleggiante l’intero cammino della Chiesa di cui Maria è la Madre.
La fine del periodo iconoclasta, così come la nascita di una nuova scuola iconografica russa, permettono l’introduzione di nuovi elementi sul piano dell’illuminazione. I volti, come la tunica di Gesù, emanano una intensa luce, spesso abbacinante. Il colore della pelle scura contrasta con i colpi di luce molto intensi, come quello sul naso della Vergine, o come le fortissime lumeggiature sulla tunica del Bambino, ciò per rendere l’idea dell’abbaglio che i nostri occhi avrebbero davanti ad una sorgente luminosa troppo intensa: se, ad esempio, noi guardiamo direttamente il sole abbiamo una esperienza analoga: vediamo il sole nero e tutto attorno scorgiamo un alone luminosissimo. “Gli eletti vedranno la faccia del Signore e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli” Ap 22,4-5.
Questo nuovo stile porta con sé il sapiente uso delle ombre, che conferiscono all’immagine un certo naturalismo. Il volto di Maria, sulla guancia in cui si uniscono i due volti, è “scritto” parzialmente nell’ombra, volendo così tradurre in immagine la promessa dell’angelo: teneramente il Figlio accoglie sotto la sua ombra la Madre, proteggendola con amore infinito. E’ Il Bambino Gesù che si dispone dolcemente a custodire l’umanità della Vergine ed attraverso di Lei l’intero genere umano. "Con la bocca di bimbi e di lattanti hai posto una difesa contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli" (Salmo 8,3).
L’icona propone quindi un definitivo rovesciamento di prospettiva: non è una madre che abbraccia il suo bambino e lo consola, ma piuttosto, un bambino che sostiene e consola una madre. Così come il Cristo sostiene e conforta la Chiesa in cammino. Nella lingua russa, infatti, questo modello iconografico assume il nome di “Umilìenie” cioè “colei per cui ci si intenerisce”, a differenza del corrispondete greco “Eleousa”: “colei che si intenerisce”. La Madre esprime la potestà di intenerire il Figlio: intercede presso di lui in favore dell’umanità. Evoca tenerezza compassionevole. Il riconoscimento del grande dono della grazia esclude il possesso: Maria accoglie il dono senza considerarsi padrona del Figlio Gesù.
Si osservi come Maria non guarda Gesù, ma da Lui è guardata. Maria rivolge il suo sguardo incredibilmente dolce e triste verso il credente che contempla l’icona ed attraverso di lui a tutta l’umanità. La tutta Pura si rattrista a causa dell’allontanamento degli uomini da Dio, causa unica dei loro fallimenti e delle sofferenze di cui il mondo è pieno. Si instaura così un intimo rapporto a tre, fra il fedele che contempla, Maria e Gesù. Nasce un profondo dialogo spirituale in cui, prima a livello inconscio poi sempre più consapevole, il fedele “percorre l’ampio bordo dell’icona” fino a giungere alla profonda verità del Dolore e della Gioia della Redenzione. Triste e intimamente ferita, Maria si china verso Gesù per cercare consolazione e incontra il bambino che la illumina con la gioia e la investe con il messaggio del Vangelo “Il Padre ha perdonato e anch’io perdono” (cfr Rm 8,31-39). Lo sguardo del Bambino è tutto incentrato su quello della Madre ed esprime la compassione per coloro che soffrono; non a caso dai Padri, Dio è detto Philanthropos, amante degli uomini. Cristo soffre in tutti coloro che soffrono e con la sua Tenerezza allevia il loro dolore.
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