“La paternità spirituale alla luce della tradizione ortodossa” di p. Symeon Koutsas (Ed. Sacra Metropoli di Kalavrita e Aigialeia, Aigion 1995) - Pubblicato originariamente in: http://www.myriobiblos.gr/texts/italian/koutsas_padre.html
A. La formazione dell'istituzione
Il senso dell’istituzione
Ogni uomo possiede un padre secondo la carne, quello a cui deve il suo ingresso nella vita. Il cristiano però, oltre al padre naturale, possiede anche un padre spirituale, quello che lo ha generato secondo lo spirito, che lo ha introdotto nella vita in Cristo e lo guida lungo la via della salvezza. La nascita naturale ci fa entrare nella vita, ci incorpora nella comunità umana; la rinascita in Cristo, un altro genere di nascita, ci fa entrare nella comunione della Chiesa e ci dona la possibilità di vivere la vita stessa di Cristo. Nella Chiesa primitiva, nella quale i credenti ricevevano il battesimo per lo più in età adulta, il padre spirituale di ciascun cristiano era il pastore della comunità che l’aveva accolto con il battesimo e l’aveva guidato alla vita in Cristo. Oggi quasi tutti riceviamo il battesimo da bambini e spesso il padre spirituale del cristiano non è il prete che l’ha battezzato, ma quello che a un certo momento della vita lo ha condotto a prendere coscienza della sua fede e lo guida nella vita cristiana.
L’esempio dell’apostolo Paolo ci consente di presentare il mistero della paternità spirituale in tutta la sua bellezza. Paolo è padre spirituale dei cristiani di Corinto e di molte altre città. Rivolgendosi ai cristiani di Corinto scrive: «Non per farvi vergognare scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante l’evangelo» (1Cor 4, 14). Paolo, insomma, per i cristiani di Corinto non era semplicemente il pedagogo e il maestro in Cristo, ma il padre, colui che li aveva rigenerati secondo lo spirito, colui che li aveva introdotti nella famiglia dei redenti. Il suo cuore apostolico si infiammava d’amore per i suoi figli spirituali e il suo stesso amore paterno in Cristo costituiva la forza motrice della sua sollecitudine apostolica. «Avrei voluto darvi non soltanto l’evangelo, ma la mia stessa vita» (1Ts 2, 8). «Piccoli figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi» (Gal 4, 19). Non smetteva di ammonire ciascuno, tra le lacrime, proponendosi per i suoi interlocutori la loro edificazione spirituale e il loro radicamento nella vita in Cristo (cf. At 20, 31; Ef 4, 12-16).
Tale concezione paolina della pratica e del significato della paternità spirituale attraversa l’intera tradizione spirituale ortodossa. Simeone il Nuovo Teologo, uno dei suoi più genuini rappresentanti, al quale faremo sovente riferimento, scrive a un suo figlio spirituale: «Ti ho concepito con l’insegnamento, ti ho partorito con la conversione, ti ho allevato con molta pazienza, con grandi sofferenze e fatiche e con lacrime quotidiane». Due altre immagini, che troviamo sovente nei testi dei nostri santi padri, ci possono aiutare a comprendere meglio il compito del padre spirituale. La prima è quella dell’ascesa su di una montagna impervia, molto alta. Chi si accinge a inerpicarsi su di essa per la prima volta ha bisogno di seguire un sentiero già tracciato; occorre che abbia con se come compagno e guida qualcuno che è già salito su quella montagna e che ne conosce i sentieri. È proprio questo il compito del padre spirituale: essere compagno di viaggio e guida nel nostro cammino spirituale, nella nostra vita in Cristo. La seconda immagine proviene dal campo dell’ascesi fisica del corpo, dalle gare atletiche. Tutti quelli che praticano un’attività sportiva hanno necessità di una guida esperta, di un allenatore che li introduca nei segreti di quell’arte e li guidi con grande sollecitudine per tutta la durata dell’allenamento. Simile è il compito del padre spirituale. Conoscendo egli stesso, per esperienza, la vita in Cristo, chi ha il carisma della paternità spirituale assume il compito di iniziare a questa vita i suoi figli spirituali.
La forma storicamente assunta dalla paternità spirituale lungo i secoli
Con il passare del tempo le istituzioni della Chiesa si svilupparono, e così mise radici e fiorì pure l’istituzione della paternità spirituale. Il luogo nel quale fu più coltivata fu certamente il deserto, la terra del monachesimo. E come tante altre istituzioni, così anche quella della paternità spirituale si estese e alimentò la vita spirituale della Chiesa intera. Tutti conosciamo i termini che si incontrano nella grammatica ascetica: «abba», «anziano» nella tradizione greca, «starets» in quella russa. Ma che cosa spinge qualcuno a diventare padre? in che modo si riconosce a qualcuno la capacità di assolvere tale ministero, e chi la riconosce? Questa domanda è posta da uno dei più insigni teologi della diaspora ortodossa, il vescovo Kallistos Ware, il quale, nella risposta, evidenzia il carattere carismatico della paternità spirituale. Riprendo le tesi fondamentali della sua risposta:
Lo starets o padre spirituale è essenzialmente una figura carismatica e profetica, accreditata a svolgere questo compito dall’azione diretta dello Spirito santo. È ordinato non da mani d’uomo, ma da quelle di Dio. È un’espressione della Chiesa come «evento» o «avvenimento» piuttosto che della Chiesa-istituzione. Non c’è comunque una netta linea di demarcazione nella vita della Chiesa fra il profetico e l’istituzionale; queste due dimensioni sono interagenti e sgorgano l’una dall’altra. Così il ministero dello starets, di natura carismatica, è collegato alla funzione del prete-confessore, chiaramente definita nell’ambito del quadro istituzionale della Chiesa…
Sebbene il sacramento della confessione sia certamente un’occasione appropriata per la direzione spirituale, il ministero dello starets non coincide con quello del confessore. Lo starets dà dei consigli, non solo in occasione della confessione, ma in molte altre circostanze; difatti, mentre il confessore è sempre un presbitero, lo starets può essere un semplice monaco che non ha ricevuto il sacramento dell’ordine, o una monaca, un laico o una laica; la tradizione ortodossa annovera, in effetti, sia padri che madri spirituali. Il ministero del padre spirituale è più profondo, poiché solo pochissimi confessori potrebbero pretendere di parlare con il discernimento e l’autorità di uno starets. Ma se lo starets non è ordinato o nominato dalla gerarchia ufficiale, come perviene a questo ministero? ... Si osserverà che, di norma, l’iniziativa parte non dal maestro, ma dai discepoli. Sarebbe pericolosamente pretenzioso se qualcuno dicesse, nel proprio cuore o ad altri: «Venite e sottomettetevi a me; sono uno starets, ho la grazia dello Spirito». È piuttosto il contrario che accade: senza che lo starets avanzi per primo alcuna pretesa, alcuni gli si avvicinano, per domandargli un consiglio o per chiedere di poter vivere stabilmente sotto la sua vigile attenzione.
Il ministero del padre spirituale
Qual è esattamente il compito del padre spirituale? «La sollecitudine per le anime riscattate dal sangue di Cristo» ci dice Basilio. Il padre spirituale è la guida nella vita in Cristo, e il medico dell’anima che «con molta misericordia, secondo quanto ha imparato dal Signore» cura le passioni e aiuta il proprio figlio spirituale ad acquistare la salute in Cristo: una fede viva e una solida vita spirituale. Dice Basilio:
Se è questa infatti la regola della vita cristiana: l’imitazione di Cristo, nella misura dell’incarnazione secondo la vocazione di ciascuno, allora quelli cui è stata affidata la cura di molti con la loro mediazione devono far progredire i più deboli nel cammino di assimilazione a Cristo, come dice il beato Paolo: «Fatevi miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo» (1Cor 11, 1).
Lungo la Via che conduce alla comunione con Cristo e alla divinizzazione, i padri spirituali sono gli esperti consiglieri e gli infaticabili sostenitori. Ma un pastore, per servire i fratelli in un compito così alto e impegnativo, deve essere realmente uno spirituale, «uno strumento dal quale lo Spirito trae suoni e armonia», come scrive Gregorio il Teologo. Soltanto chi conosce qualcosa per esperienza personale può trasmetterla. E il padre spirituale per guidare altri nella vita cristiana deve viverla egli per primo. Deve diventare «modello dei credenti» (1Tm 4, 12) ed evangelo vivente; come dice Basilio, offra la sua vita come chiaro modello di ogni comandamento del Signore, così da non lasciare ai suoi discepoli alcun pretesto per ritenere che il comandamento del Signore sia impossibile da eseguire o possa essere disprezzato. Parli con l’esempio, più che con la parola; sia di ispirazione con la sua santità di vita; edifichi con il suo amore e con il suo affetto paterno, poiché secondo Giovanni Climaco: «Sarà vero pastore se dimostrerà quella carità per la quale il supremo Pastore è stato crocifisso».
Due caratteri fondamentali: il discernimento e l’amore
Avremmo bisogno di molto tempo se volessimo descrivere la figura del padre spirituale quale emerge dalla nostra lunga tradizione ecclesiale; ci limiteremo perciò a enumerare i principali carismi che caratterizzano il vero anziano. In sostanza faremo riferimento a due tra i più fondamentali carismi. Il primo è quello di saper leggere nel cuore dei discepoli e operare un discernimento; si tratta cioè della facoltà di cogliere intuitivamente i segreti dei cuori, di comprendere le profondità nascoste di cui l’altro non è consapevole. Il padre spirituale si inoltra al di là degli atteggiamenti e dei gesti convenzionali dietro ai quali nascondiamo agli altri e a noi stessi la nostra autentica personalità; e, al di là di tutte queste futili apparenze, egli giunge ad afferrare quell’unica persona, creata a immagine e somiglianza di Dio. Questo potere è più di ordine spirituale che psichico; non e semplicemente una sorta di percezione extrasensoriale o di chiaroveggenza santificata, ma è il frutto della grazia, presuppone una preghiera attenta e un continuo combattimento ascetico.
Il carisma di saper leggere nei cuori si manifesta soprattutto nel discernimento dei pensieri. Secondo san Simeone il discernimento è «la lampada» e «l’occhio» spirituale, con il quale il padre spirituale vede tanto nel profondo del proprio cuore quanto in quello dei suoi figli spirituali. E così può pervenire alla diagnosi corretta e offrire la terapia adeguata. Il discernimento, che presuppone la purezza del cuore, è un carisma, un dono dello Spirito santo. Il padre spirituale che non avesse in se stesso la luce dello Spirito santo, non vedrebbe bene neppure le proprie azioni, né potrebbe essere pienamente sicuro che esse siano gradite a Dio: E neppure può guidare altri o insegnare la volontà di Dio, né è degno di ricevere la confessione dei pensieri altrui.
Il secondo carisma del padre spirituale è l’amore, la capacità di amare gli altri e di accogliere come proprie le loro sofferenze e le loro tentazioni. Senza amore non vi può essere paternità spirituale. L’amore, secondo i nostri maestri spirituali, non è soltanto il primo dovere del padre spirituale, ma il fondamento e l’essenza della paternità spirituale. L’amore per gli altri presuppone la «con-passione»; questo è il primo significato della parola compassione: «Portate i pesi gli uni degli altri, e così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6, 2). Il padre spirituale è colui che, prima di ogni altra cosa, porta i pesi degli altri, dei suoi figli spirituali. Fa proprie le loro sofferenze, le loro colpe, le loro tentazioni, i loro peccati; lotta e si prende cura della loro crescita in Cristo. Abba Barsanufio scrive a un suo figlio spirituale:
Come Dio stesso sa, non c’è attimo, non c’è ora, in cui io non ti abbia nella mente e nella preghiera. E se io ti amo tanto, Dio che ti ha fatto ti ama molto di più. Lo lo prego di guidarti e di governarti secondo la sua volontà.
Nello stessa raccolta di lettere di Barsanufio e Giovanni troviamo una preghiera sconvolgente che rivela il grande amore del padre nello Spirito per i suoi figli spirituali: «Eccomi, io e i miei figli che tu mi hai dato» (Eb 2, 13), «custodiscili nel tuo nome» (Gv 17, 11), proteggili con la tua destra, guidaci al porto della tua volontà (cf. Sap. 5, 16; Sal 106, 30 LXX) e scrivi i loro nomi nel tuo libro… Signore, o conduci insieme a me i miei figli nel tuo regno, oppure cancella anche me dal tuo libro (cf. Es 32, 32).
La necessità di cercare un padre spirituale esperto
L’importanza della paternità spirituale per giungere alla maturazione della nostra vita in Cristo ci mostra al tempo stesso la necessità che tutti abbiamo di trovare un uomo spirituale esperto e sicuro. È un nostro dovere e un nostro diritto. A noi spetta la responsabilità della scelta, una scelta che dobbiamo compiere con estrema attenzione, come ammonisce san Simeone: «In verità sono rari, soprattutto ora, i padri in grado di pascere e curare bene le anime». Insomma, ci vuole attenzione. Non dobbiamo restare soli, per timore di diventare bestie feroci nutrite dal distruttore delle anime, dal lupo, cioè il divisore, oppure di cadere e di non avere chi ci aiuti a rialzarci secondo la parola dell’Ecclesiaste: «Guai a chi è solo perché, se cade, non ha nessuno che lo rialzi» (Qo 4, 10). Ma stiamo anche bene attenti a non seguire, per mancanza di discernimento, un lupo o un medico inesperto, quando è certo che ne riceveremmo un danno spirituale o che non verremmo guariti.
Anche se, come abbiamo detto, la scelta del padre spirituale è un nostro diritto e dipende dal nostro discernimento, trovare una guida spirituale esperta costituisce un grande dono di Dio. Per questo lo stesso Simeone consiglia: «Fratello, implora insistentemente [Dio] perché ti mostri un uomo capace di dirigerti con sapienza; a lui dovrai obbedire come a Dio stesso e dovrai senza esitazione mettere in pratica quanto ti dice, anche se ciò che ti ordina ti potesse sembrare controindicato e apparentemente dannoso». Lo stesso maestro nel settimo discorso ci offre un esempio di preghiera con la quale possiamo supplicare Dio di inviarci un padre spirituale esperto: «Signore, che non vuoi la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cf. Ez 33, 11), che per questo sei disceso sulla terra, per far risorgere quanti giacevano a terra uccisi dal peccato e per renderli degni di vedere te, la luce vera, per quanto è possibile agli uomini: degnati di inviarmi un uomo che ti conosce, perché, servendolo come te stesso e sottomettendomi a lui con tutte le mie forze e compiendo così la tua volontà obbedendo alla sua, io possa essere gradito a te; il solo Dio, e anch’io, peccatore, sia fatto degno del tuo regno».
La relazione tra figlio e padre spirituale
L’edificazione del credente in Cristo a partire dalla relazione con un padre spirituale non è automatica. Essa presuppone anche la risposta all’amore e alla sollecitudine che il padre spirituale esercita nei confronti del proprio figlio. Il primo presupposto fondamentale è l’amore. Il legame che si intesse tra il padre e il figlio spirituale è l’amore vicendevole. All’amore del padre spirituale il credente risponde con il suo amore. «Nulla rende attraente l’insegnamento quanto l’amare e l’essere amato» ammonisce Giovanni Crisostomo. I legami spirituali sono più forti di quelli naturali e l’amore che nasce da Cristo è più forte di quello generato dal legame di sangue. «Che cosa è più desiderabile di un vero padre?», chiede Teodoro Studita, esprimendo con queste parole la sua esperienza personale di un rapporto di paternità spirituale.
L’amore per il nostro padre spirituale è sincero quando si manifesta come fede, cioè fiducia, nella sua persona. Al padre spirituale consegnamo il nostro io tutto intero; lo riconosciamo nostra guida lungo la Via della salvezza. Ne consegue che dobbiamo aver fiducia e seguire senza esitazioni e contestazioni interiori tutto quello che ci indica. I santi padri insistono con grande forza su questo punto. Consiglia Giovanni Climaco: «Affidiamoci in completo abbandono a quelli che si sono assunti l’impegno di guidarci nel Signore». Senza una fiducia sincera nel nostro padre spirituale non potremo progredire nella vita cristiana. Scrive san Simeone nei suoi Capitoli:
«Colui che ha acquistato una vera fiducia nel suo padre secondo Dio, vedendolo crede di vedere Cristo; se è in sua presenza, se lo segue, crede fermamente di essere in presenza di Cristo e di seguire Cristo. Costui non avrà mai desiderio di frequentare altri; nessuno al mondo gli sembrerà preferibile al ricordo di lui e all’amore per lui».
Se è dovere del padre spirituale vegliare sull’anima del proprio figlio, anche quest’ultimo deve obbedire e seguire fedelmente i consigli dell’anziano (cf. Eb 13, 17). Nel nostro padre spirituale è Dio stesso che parla. Con l’obbedienza che gli mostriamo in realtà obbediamo alla volontà di Dio e siamo assicurati dagli errori nei quali certamente cadremmo se seguissimo la nostra volontà. Acquistiamo, inoltre, la libertà interiore e attiriamo la grazia di Dio. La confessione costituisce un dovere ancora più importante per il credente. Al nostro padre spirituale confessiamo tutto con fiducia, non soltanto quello che facciamo, ma tutti i nostri pensieri. Così esorta Basilio:
«Ciascun fratello sottomesso all’obbedienza, se vuole dar prova di progresso apprezzabile, e trovarsi in quella disposizione d’animo propria di una vita che sia secondo i precetti del Signore nostro Gesù Cristo, non deve tener nascosto dentro di sé alcun moto della propria anima; non deve neppure manifestare con leggerezza i segreti del cuore, ma svelarli piuttosto a quelli cui è stata affidata la cura di occuparsi con benevolenza e misericordia dei fratelli deboli. Così quanto in loro merita lode sarà confermato e quanto merita riprovazione sarà opportunamente corretto. E da quest’opera comune, attraverso un continuo progresso, verrà a noi la perfezione. Nulla resti nascosto al nostro padre spirituale. Deponiamo tutto ai suoi piedi con umiltà e filiale confidenza. Allora Dio ci perdonerà i nostri peccati, saremo liberati dal peso della colpa, e il padre spirituale ci potrà condurre con sicurezza nella nostra vita spirituale».
B. La patologia della paternità spirituale nei nostri giorni
Quanto abbiamo brevemente esposto fino ad ora costituisce la fede e l’esperienza della Chiesa a proposito della relazione di paternità spirituale, così come è andata definendosi e sviluppandosi nel passato e soprattutto nella tradizione monastica. Affiora a questo punto una domanda: «La paternità spirituale funziona, o potrebbe funzionare allo stesso modo anche oggi, nel nostro tempo?». La domanda è d’importanza vitale e potrebbe costituire l’oggetto di un’altra conversazione. Per questo consentitemi in ciò che segue di esporre semplicemente alcuni problemi in rapporto al nostro tema, problemi che interessano seriamente molti cristiani e riguardano ciò che potremmo chiamare la patologia della paternità spirituale.
La precoce anzianità di molti preti odierni
Purtroppo non si tratta di un caso raro. Molti dei nostri preti, tra i quali diversi dotati di carismi e di notevoli capacità, ricercano molto presto la fama di guide spirituali. Giovanissimi d’età, con una personalità non ancora definita, privi di esperienza pastorale, a volte senza aver essi stessi studiato, senza essersi sottomessi a un altro padre spirituale esperto, si fanno propaganda da se stessi oppure organizzano abilmente la propaganda nel loro ambiente, come fossero dei nuovi Barsanufio, dei giovani-anziani carismatici. Come dice il Signore, percorrono «il mare e la terra per fare un solo proselito» (Mt 23, 15), per accalappiare dei seguaci. Esercitano una pesante oppressione sulle coscienze nel nome di una doverosa «cieca» obbedienza all’anziano, generando un attaccamento malato alla loro persona. Purtroppo, la responsabilità di questa situazione cade anche sui nostri vescovi, su quei vescovi che ordinano preti in tempi brevissimi e affidano superficialmente la paternità spirituale a preti che non hanno un’adeguata formazione. Sono molto sapienti le osservazioni di padre Paisios, recentemente scomparso, in una delle lettere pubblicate poco dopo la sua morte. Un giovane gli aveva confidato la propria intenzione di entrare nella vita monastica. Ciò che l’anziano gli scrive riguardo alla scelta del padre spirituale può essere d’aiuto anche a noi che viviamo nel mondo:
Cerca per quanto puoi che il tuo padre spirituale sia un uomo spirituale, virtuoso, e soprattutto che sia un uomo pratico più che un maestro. È bene che da mozzo sia diventato capitano senza aver pesato sulle spalle altrui passando tutta la sua vita monastica sui libri; possieda naturalmente un grande amore unito a discernimento, per non affaticare i suoi figli e per non mandarli subito in Paradiso, al modo di Diocleziano… È ancora di grande aiuto al figlio spirituale se il suo padre è più vecchio di lui di almeno diciotto-vent’anni, perché tale differenza di età genera nel figlio un rispetto naturale. L’anziano viva una vita semplificata, senza preoccupazioni e inutili affanni mondani, non cerchi i propri interessi, ma quelli di chi gli si e affidato e, in generale, il bene della nostra madre Chiesa.
Il rischio del culto della personalità
È dovere di un vero ed esperto padre spirituale orientare gli sguardi e i cuori dei suoi figli spirituali verso il Signore, e non verso di sé. Il culto della personalità, sia che venga ricercato dal presbitero sia che venga mostrato dal figlio spirituale – e naturalmente senza essere contrastato dal primo –, costituisce una malattia e rappresenta un serio pericolo spirituale per entrambi. I padri spirituali non devono mostrare il proprio volto, ma quello di nostro Signore. Non facciano dunque da schermo tra Cristo e il loro figlio spirituale impedendo così al suo sguardo di vedere il volto del Signore, ma restino in disparte, con discrezione, e indichino Colui che è il redentore di noi tutti. Scrive Kallistos Ware:
In realtà la relazione non e bilaterale, ma triangolare; oltre allo starets e al suo discepolo, vi è in effetti un terzo partner: Dio. Nostro Signore ci ha ingiunto di non chiamare nessuno «padre», dato che abbiamo un unico Padre, quello nei cieli (cf. Mt 23, 9). Lo starets non e un giudice infallibile o una corte d’appello, bensì un servitore del Dio vivente; non un dittatore, ma una guida e un compagno lungo il cammino. Il solo vero «direttore spirituale», nel senso pieno del termine, e lo Spirito santo.
La misura dell’obbedienza dovuta al padre spirituale
Il fine della paternità spirituale non è quello di creare una continua dipendenza da parte dei figli spirituali nei confronti dei loro padri, ma di aiutarli a raggiungere la libertà spirituale. ll vero padre spirituale non condanna i suoi figli all’ergastolo di una perenne infanzia spirituale, ma lotta continuamente perché raggiungano la maturità, perché, come dice l’apostolo Paolo, pervengano «allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4, 13). La coercizione e il potere spirituale non hanno posto nella relazione tra il padre spirituale e i suoi figli. L’obbedienza dovuta al nostro padre spirituale non è «cieca», ma consapevole e non sopprime la nostra responsabilità personale, che deriva dalla nostra libertà in Cristo.
Il compito del padre spirituale non è quello di distruggere la libertà di un uomo, ma di aiutarlo a vedere la verità su di sé; non si tratta di sopprimere la sua personalità, ma di permettergli di scoprire se stesso, di crescere fino a raggiungere la piena maturità, di divenire ciò che è realmente… Il padre spirituale non impone le proprie personali idee e pratiche religiose, ma aiuta il discepolo a trovare la propria vocazione. Come diceva un benedettino del XVII secolo, Augustin Baker: «La guida non deve insegnare la propria strada, né alcun particolare cammino di preghiera, ma deve comunicare ai suoi discepoli come trovare da sé la loro strada particolare… In altre parole, egli non è che l’usciere di Dio; deve condurre le anime nel cammino di Dio, non nel proprio». Scrive Barsanufio: «Tu sai che non abbiamo mai imposto legami a nessuno, nemmeno a noi stessi. Non forzare la scelta ma semina con speranza (cf. 1Cor 9, 10). Anche il nostro Signore infatti non ha mai forzato nessuno, ma ha portato la buona novella, e chi voleva lo ascoltava».
E ancora, non è bene che confondiamo l’obbedienza monastica con quella dei cristiani al loro padre spirituale. L’obbedienza monastica per la sua grandezza e la sua durata, differisce da quella dei cristiani che vivono fuori del monastero. Il padre spirituale non è autorizzato a dettar legge con la sua parola, e il figlio spirituale non gli deve l’obbedienza che giustamente un anziano esige da un monaco il quale è tenuto a obbedire «fino alla morte» – dovere questo che deriva dai voti che ha fatto al momento della sua professione monastica.
Il pericolo di un eccessivo sentimentalismo
La relazione che lega il padre spirituale con i suoi figli spirituali è simile alla relazione che si trova all’interno di una famiglia. In una normale famiglia padri e figli sono legati da affetto reciproco; lo stesso deve avvenire anche in una famiglia «carismatica» di un padre spirituale, di un anziano. Non ci deve sfuggire, tuttavia, che quella relazione è per eccellenza una santa relazione spirituale che deve essere purificata da ogni esaltazione sentimentale e dev’essere custodita da qualsiasi atteggiamento che possa celare una simpatia o qualche pericoloso e sdolcinato sentimento. L’amore certamente deve essere manifestato con segni esterni e questo vale anche per la relazione spirituale. Ma le relazioni in Cristo devono distinguersi per la loro serietà e la loro gratuità. E per mantenere tali caratteristiche è necessaria una distanza spirituale.
Il vanto a motivo del nostro padre spirituale
Spesso accade anche questo. Molti si vantano del loro anziano. E, volente o nolente, sono portati, a dispetto dei loro effettivi meriti, a non riconoscere la propria nudità spirituale e il proprio pericoloso sdolcinato sentimentalismo. E questo non è sano. Simeone il Nuovo Teologo attira la nostra attenzione su questo punto:
Non inorgoglirti per il fatto che a motivo del tuo maestro sei onorato da chi è più grande di te, né di avere molti che ti ubbidiscono a motivo del suo nome: rallegrati piuttosto se il tuo nome è scritto nel cielo dell’umiltà (cf. Lc 10, 20).
E Giovanni Climaco dice con maggior severità: Vidi una volta un discepolo di nessun valore vantarsi con alcuni delle virtù del maestro. Mentre credeva di farsi credito con l’altrui farina, si attirò il discredito di tutti, che gli domandavano: «Come mai un albero così bello ha dei rami privi di frutti?».
Occorre fare attenzione anche a un altro fenomeno analogo, che proviene dalla confidenza che il nostro padre spirituale può avere davanti a Dio. I nostri padri ci raccomandano di non fare affidamento su questa cosa, né che ci limitiamo a chiedere allo starets di pregare per noi. Dobbiamo lottare anche noi con impegno per la nostra salvezza. Una volta, si racconta nei Detti dei padri del deserto, un fratello fece visita al grande Antonio e lo supplico: «Prega per me». L’anziano gli rispose: «Non posso aver compassione di te, e neppure Dio l’avrà, se tu stesso non ti impegni nel supplicare Dio». In altri termini: né io, né Dio avremo misericordia di te, se tu stesso non ti impegni e non supplichi Dio.
Il cambiamento di padre spirituale
Come già abbiamo detto, la scelta del padre spirituale e affidata al nostro libero discernimento e alle nostre preferenze. I padri teofori, tuttavia, ci avvertono che il cambiamento di padre comporta dei rischi per la nostra crescita spirituale e anche per la nostra salvezza. Scrive san Simeone: Non andartene da una parte e dall’altra in cerca di monaci famosi e non indagare sulla loro vita. Se, grazie a Dio, hai incontrato un padre spirituale, di’ ciò che ti riguarda a lui solo. È insomma sconsigliabile e pericoloso andarsene di qua e di là cambiando ogni momento e senza motivo il padre spirituale. Scrive Giovanni Climaco: «Non andiamo in cerca di un medico famoso e preveggente, ma anzitutto di un uomo umile e capace di curare le nostre malattie». Questo suggerimento di Giovanni Climaco risponde esattamente al modo di pensare di molti cristiani odierni e alla loro superficiale ricerca che li conduce a cambiare sovente il padre spirituale.
Ci richiamiamo ancora alla testimonianza del vescovo Kallistos Ware:
«Molte persone credono di non poter trovare un padre spirituale, perché lo vogliono fatto in un certo modo: cercando un san Serafino di Sarov, essi chiudono gli occhi sulle guide che Dio invia loro nella realtà. Spesso, i loro presunti problemi non sono così complicati e, di fatto, essi conoscono già la risposta nel fondo del loro cuore. Ma questa risposta non piace loro, perché implica uno sforzo paziente e sostenuto; allora cercano una sorta di deus ex machina che, per mezzo di una sola parola miracolosa, renda improvvisamente facile ogni cosa. Ciò di cui questa gente ha bisogno e in primo luogo di essere aiutata a capire la vera natura della direzione spirituale».
Conclusione
La tradizione ecclesiastica ortodossa non è qualcosa che riguarda il passato, e soltanto il passato. È attuale e continuerà ad esserlo. È la fede secolare e l’ininterrotta esperienza della grazia nella Chiesa. Questo vale anche per la paternità spirituale, un’istituzione ecclesiale che in queste pagine abbiamo cercato di illuminare, anche se molto superficialmente, alla luce della tradizione ortodossa. La conclusione che possiamo trarre da questa rapida scorsa nei tesori della tradizione potrebbe essere questa: è necessario che abbiamo un padre spirituale stabile. Contemporaneamente è nostro diritto scegliere quello che riteniamo più adatto, non il più accomodante, ma il più esperto, un vero uomo di Dio, accanto al quale troviamo riposo spirituale e ci sentiamo al sicuro. San Simeone fa un’osservazione che vale anche per oggi: «In verità sono rari, soprattutto ora, quelli che sanno pascere e curare bene le anime». Per questo dobbiamo stare attenti nella nostra scelta e pregare vivamente che Dio ci faccia degni di questo dono. Scrive ancora Simeone: «Supplica Dio con preghiere e con lacrime di inviarti una guida che abbia vinto le passioni e che sia santa». Il Signore ci doni una guida lungo il cammino verso il regno dei cieli.
Nessun commento:
Posta un commento