di p. A. Schmemann. Da “La Grande Quaresima".
1. “Tristezza luminosa”
Per molti, se non addirittura per la maggioranza dei Cristiani
Ortodossi, la Quaresima consiste in un limitato numero di regole e prescrizioni
formali, in modo predominante negative: astensione da determinati cibi, dalle
danze e forse dagli spettacoli cinematografici. Tale è il grado della nostra
alienazione dallo spirito reale della Chiesa, che è quasi impossibile per noi
comprendere che c’è “qualcosa di diverso” nella Quaresima, senza cui tutte
queste prescrizioni perdono gran parte del loro significato. Questo “qualcosa di
diverso” può benissimo essere descritto come “un’atmosfera”, un “clima” in cui
uno entra, in primo luogo uno stato della mente, dell’anima e dello spirito che
per sette settimane permea tutta la nostra vita. Insistiamo ancora una volta che
il fine della Quaresima non consiste nell'imporci alcuni obblighi formali, ma,
per così dire, “nell'ammorbidire” il nostro cuore affinché esso possa aprirsi
alle realtà dello spirito e fare l’esperienza della “sete e della fame”, in noi
nascoste, della comunione con Dio.
Questa “atmosfera” quaresimale, questo “stato della mente”
unico nel suo genere si realizza principalmente per mezzo dell’Ufficio Divino,
grazie ai vari cambiamenti introdotti nella vita liturgica di questo periodo.
Considerati a parte, questi cambiamenti possono apparire come “rubriche”
incomprensibili, come prescrizioni formali da seguire strettamente. Ma, intesi
nel loro insieme, essi rivelano e comunicano lo spirito della Quaresima, ci
fanno vedere, sentire e provare la “luminosa tristezza”, in cui consiste il vero
messaggio e il vero dono della Quaresima. Si potrebbe dire senza esagerazione
che i Padri e gli scrittori sacri, i quali hanno composto gli inni del
“Triodion” Quaresimale e che poco a poco hanno costituito le strutture generali
dell’ufficiatura quaresimale ed hanno adornato la Liturgia dei Presantificati
con quella bellezza che le è propria, ebbero una particolare conoscenza
dell’anima umana. Essi veramente conobbero l’arte della penitenza ed ogni anno
durante la Quaresima la rendono accessibile a chiunque abbia orecchi per sentire
ed occhi per vedere.
L’impressione generale è, come ho detto, quella di una
“tristezza luminosa”. Anche una persona che abbia una limitata conoscenza
dell’ufficio divino e che entri in una chiesa durante una cerimonia quaresimale,
potrebbe comprendere immediatamente, non ne dubito, quello che significa questa
espressione alquanto contraddittoria. Da una parte, una quieta tristezza permea
l’ufficio divino: gli abiti liturgici sono neri, l’ufficiatura è più lunga del
solito e più monotona, non c’è quasi movimento. Letture e canti si alternano e
tuttavia sembra che nulla “accada”. Ad intervalli regolari il celebrante esce
dal santuario e legge sempre la stessa breve preghiera e tutti i presenti
sottolineano ogni domanda di questa preghiera con prostrazioni. Così, a lungo,
stiamo in questa monotonia, in questa quieta tristezza.
Ma ci rendiamo conto che proprio questa lunghezza e monotonia
sono necessarie se vogliamo fare l’esperienza di questa “azione” segreta ed a
prima vista impercettibile che l’ufficio esercita in noi. Poco a poco cominciamo
a comprendere o, meglio, a sentire che questa tristezza è in realtà “luminosa” e
che una misteriosa trasformazione si realizza in noi. È come se raggiungessimo
un luogo in cui i rumori e la confusione della vita, della strada, di tutto ciò
che di solito riempie i nostri giorni ed anche le notti, non possono arrivare,
un luogo dove essi non hanno alcun potere. Tutto ciò che a noi sembra assai
importante al punto di riempire la nostra mente, lo stato di ansietà che
virtualmente è divenuto la nostra seconda natura, scompare qua e là e noi
cominciamo a sentirci liberi, leggeri e felici. Non c’è più la felicità rumorosa
e superficiale che viene e va venti volte al giorno ed è così fragile e
fuggitiva. È una felicità profonda che non deriva da una causa singola e
particolare, ma dalla nostra anima che, secondo le parole di Dostojevskij, ha
toccato “un altro mondo”. E ciò che ha toccato è fatto di luce, pace e gioia, di
una fiducia inesprimibile. Allora comprendiamo perché l’ufficiatura deve essere
lunga ed apparentemente monotona. Comprendiamo che è semplicemente impossibile
passare dalla condizione normale della nostra mente, che è costituita quasi
interamente di rumori, corse precipitose e preoccupazioni, in questa nuova senza
prima “acquietarci”, senza ristabilire in noi un minimo di stabilità interiore.
È questa la ragione per cui quanti concepiscono le ufficiature della Chiesa in
termini di “obblighi” e sempre chiedono quanto sia il minimo richiesto (“Quanto
spesso dobbiamo andare in Chiesa?”, “Quante volte dobbiamo pregare?”), non
possono mai comprendere la vera natura dell’ufficiatura, che ha per scopo di
trasportarci in un altro mondo, quello della presenza di Dio, ma di trasportarci
lentamente a causa della nostra natura decaduta, che ha perduto la facoltà di
accedervi naturalmente.
Così, quando noi facciamo l’esperienza di questa meravigliosa
liberazione e diveniamo “leggeri e sereni”, la monotonia e la tristezza
dell’ufficio divino acquistano un nuovo significato, sono trasfigurate. Una
bellezza interiore le illumina come il primo raggio del sole che, mentre ancora
la valle è oscura, comincia ad illuminare la cima della montagna. Questa luce e
questa segreta gioia vengono dai lunghi “Alliluja”, dall’intera “tonalità”
dell’ufficiatura quaresimale. Ciò che in un primo momento appare monotono, ora
si rivela come pace, ciò che risuonava come tristezza si manifesta come i primi
momenti dell’anima che ricupera la profondità perduta. Questo è ciò che il primo
versetto degli “Alliluja” quaresimali proclama ogni mattina: “La mia anima ha
desiderato te nella notte, o Dio, prima dell’aurora, poiché i tuoi giudizi sono
una luce sulla terra”.
“Triste splendore” = la tristezza del mio esilio, del
deserto che io ho fatto della mia vita. Lo splendore della presenza di Dio ed il
perdono, la gioia per il recuperato desiderio di Dio, la pace per la casa
recuperata. Questo è il clima dell’ufficiatura quaresimale: questo è il primo
suo impatto sulla mia anima.
2. La preghiera quaresimale di san Efrem Siro
Di tutti gli inni e preghiere quaresimali una breve preghiera
può essere definita tipica della Quaresima. La Tradizione l’attribuisce ad uno
dei grandi maestri della vita spirituale, sant’Efrem Siro. Eccone il testo:
Signore e padrone della mia vita, tieni lontano da me lo
spirito della pigrizia, della fiacchezza, la brama di dominio ed i discorsi
futili. Ma concedi a me, tuo servo, lo spirito della temperanza,
dell’umiltà, della sopportazione, dell’amore. Sì, Signore e Re, fammi
vedere i miei errori e che non giudichi il mio fratello, poiché sei benedetto
nei secoli dei secoli. Amìn.
Questa preghiera è letta due volte alla fine di ogni
ufficiatura quaresimale dal lunedì sino al venerdì (non il sabato né la
domenica, poiché, come vedremo, l’ufficiatura di questi due giorni non segue il
modello quaresimale). Alla prima lettura una prostrazione segue ad ogni domanda.
Poi tutti ci chiniamo dodici volte dicendo: “O Dio, purifica me
peccatore”. Infine l’intera preghiera è ripetuta con una prostrazione
finale. Perché questa breve e semplice preghiera occupa un posto così importante
nell'intera ufficiatura quaresimale? La ragione è dovuta al fatto che essa
enumera in un'unica maniera tutti gli elementi negativi e positivi
della penitenza e costituisce, per così dire, una lista di controllo di tutto il
nostro sforzo quaresimale. Esso ha per fine in primo luogo la nostra liberazione
da alcuni fondamentali difetti spirituali che costituiscono la nostra vita e
rendono praticamente impossibile per noi il ritornare a Dio.
Il difetto fondamentale è la pigrizia. È quella strana
pigrizia e passività del nostro io che sempre ci spinge in giù anziché all’insù,
che costantemente ci convince che nessun mutamento è possibile e di conseguenza
desiderabile. In realtà è una forma di cinismo che ha profonde radici, per cui
ad ogni sollecitazione spirituale rispondiamo: “Che cosa?”. Esso rende la nostra
vita spirituale un tremendo deserto ed è la radice di ogni peccato, poiché
avvelena l’energia spirituale alla sua prima sorgente. Il risultato della
pigrizia è la fiacchezza. Si tratta di uno stato di abbattimento che
tutti i padri spirituali considerano il più grave pericolo per l’anima.
L’abbattimento consiste nel non vedere alcunché di buono o di positivo: è la
riduzione di tutto alla negazione ed al pessimismo. È veramente un potere
demoniaco che è in noi, poiché il diavolo è fondamentalmente un mentitore. Egli
mente all’uomo sia riguardo a Dio che al mondo; egli riempie la vita di tenebre
e di negazioni. L’abbattimento è il suicidio dell’anima poiché, quando si è in
suo possesso, si è del tutto incapaci di vedere la luce e di desiderarla.
La brama di dominio! Può sembrare strano, ma sono
proprio la pigrizia e l’abbattimento che riempiono la nostra vita della brama di
dominio. Viziando interamente il nostro atteggiamento nei confronti della vita e
rendendola priva di significato e vuota, la pigrizia e l’abbattimento ci
costringono a cercare un compenso in un atteggiamento radicalmente negativo nei
riguardi delle altre persone. Se la mia vita non è orientata verso Dio né ha per
fine i valori eterni, essa diventerà inevitabilmente egoistica e centrata su se
stessa e ciò significa che tutti gli altri esseri si trasformeranno in mezzi
della mia soddisfazione personale. Se Dio non è il Signore ed il Padrone della
mia vita, ne consegue che sono io il signore ed il padrone, il centro
assoluto del mio proprio mondo e comincio a valutare ogni cosa in termini
dei miei bisogni, delle mie idee, dei miei desideri, dei
miei giudizi. La brama di dominio è così una fondamentale depravazione
nei miei rapporti con gli altri esseri, la ricerca di subordinarli a me. Essa
non si esprime necessariamente nel reale impulso di comandare e di dominare
sugli “altri”. Essa può pure esprimersi nell'indifferenza, nel disprezzo, nella
mancanza di interesse, di considerazione e di rispetto. In realtà è la pigrizia
e l’abbattimento che sono diretti verso gli altri. Essi completano il suicidio
spirituale con l’assassinio spirituale.
Infine, i futili desideri. Di tutti gli esseri creati
l’uomo solo è stato dotato del dono della parola. Tutti i Padri vedono in esso
il vero “sigillo” dell’immagine divina nell'uomo, poiché Dio spesso s’è rivelato
come Parola (Giovanni 1,1). Ma, pur essendo il dono supremo, esso è il simbolo
del più grave pericolo. Pur essendo la vera espressione dell’uomo, il mezzo con
cui perfeziona se stesso, per questa stessa ragione è lo strumento della sua
caduta e della sua autodistruzione, del tradimento e del peccato. La parola
salva ed uccide; la parola ispira ed avvelena. Essa è lo strumento della Verità
e della Menzogna demoniaca. In quanto ha un definitivo potere positivo, essa ha
per questa ragione un tremendo potere negativo. Essa realmente opera
positivamente o negativamente. Se devia dalla sua divina origine e finalità, la
parola diventa futile. Essa impone la pigrizia, la disperazione e la brama del
potere e trasforma la vita in inferno. Diventa così l’autentico dominio del
peccato.
Questi quattro sono gli “oggetti” negativi della penitenza.
Sono gli ostacoli che debbono essere allontanati. Ma Dio solo può allontanarli.
Da ciò deriva la prima parte della preghiera quaresimale, questo grido dal fondo
della disperazione umana. A questo punto la preghiera passa ai fini positivi
della penitenza, che pure sono quattro.
La castità! Se uno non riduce questo termine, come
spesso ed erroneamente accade, solo alle caratteristiche sessuali, esso è inteso
come la controparte positiva della pigrizia. La traduzione esatta e completa del
termine greco “sofrosyne” e del russo “tzelomudrije” dovrebbe essere “piena
disposizione”. La pigrizia è, in primo luogo, dissipazione, interruzione della
nostra visione ed energia, incapacità di vedere il tutto. Ad essa si oppone
precisamente la “pienezza”. Se noi di solito intendiamo per castità la virtù
opposta alla depravazione sessuale, ciò avviene perché il carattere frantumato
della nostra esistenza non si manifesta meglio in alcun caso che nel piacere
sessuale, la alienazione del corpo dalla vita e dal controllo dello
spirito. Il Cristo ristabilisce la pienezza in noi restaurando in noi
l’autentico criterio dei valori riconducendoci a Dio.
Il primo e meraviglioso frutto di questa pienezza è
l’umiltà. Ne abbiamo già parlato. Essa consiste, al di sopra di ogni
altra cosa, nella verità in noi, nell'eliminazione di ogni menzogna in cui di
solito viviamo. L’umiltà sola è capace di generare la verità, di vedere ed
accettare le cose come esse sono, di vedere la maestà di Dio, la sua divinità ed
il suo amore in ogni cosa. Per questa ragione diciamo che Dio concede la grazia
a chi è umile e resiste al superbo.
La castità e l’umiltà sono naturalmente seguite dalla
sopportazione. L’uomo “naturale” o “caduto” è impaziente e, poiché è
cieco nei propri confronti, è pronto a giudicare ed a condannare gli altri.
Siccome ha una conoscenza incompleta e distorta di ogni cosa, egli misura tutto
con i suoi gusti e con le sue idee. E poiché è indifferente a tutto tranne che a
se stesso, desidera aver successo subito, qui ed ora. La sopportazione,
tuttavia, è veramente una virtù divina. Dio è paziente, non perché egli è
“indulgente”, ma perché vede nell'intimo di tutto ciò che esiste, poiché la
realtà interiore delle cose, che la nostra cecità non vede, è aperta a lui.
Quanto più ci avviciniamo a lui, diventiamo più pazienti e maggiormente
riflettiamo l’infinito rispetto per tutti gli esseri il che è una qualità
peculiare di Dio. Finalmente, la corona ed il frutto di tutte le virtù, d’ogni
crescita e sforzo è l’amore, quell'amore che, come s’è già detto, può
essere dato solo da Dio, il dono che è l’obiettivo di ogni preparazione e
pratica spirituale.
Tutto questo è sintetizzato nella domanda conclusiva della
preghiera quaresimale, in cui chiediamo di farci vedere i nostri errori e di non
giudicare il nostro fratello. Infatti sostanzialmente c’è un solo pericolo: la
superbia. Essa è la fonte del male ed ogni male è superbia. Tuttavia non è
sufficiente per me vedere i miei errori, poiché anche questa apparente virtù può
trasformarsi in superbia. Gli scritti di carattere spirituale abbondano di
moniti contro le forme sottili di pseudo-pietà, le quali, in realtà, sotto
l’aspetto di umiltà e di auto-accusa, possono portare ad una autentica superbia
demoniaca. Ma quando vediamo “i nostri propri errori” e “non giudichiamo i
nostri fratelli”, quando, in altre parole, castità, umiltà, sopportazione ed
amore costituiscono in noi un’unità, allora e solo allora sarà distrutto in noi
il peggior nemico, la superbia.
Al termine di ogni domanda di questa preghiera ci prostriamo.
Le prostrazioni non si limitano alla preghiera di san Efrem, ma costituiscono
una caratteristica distintiva di tutta l’ufficiatura quaresimale. In questo
caso, tuttavia, il loro significato è evidente. Nel lungo e difficile corso di
recupero spirituale, la Chiesa non separa l’anima dal corpo. L’uomo intero è
decaduto da Dio, per cui tutto l’uomo deve essere reintegrato in Dio, tutto
l’uomo deve ritornare a lui. La catastrofe del peccato consiste precisamente
nella vittoria della carne, dell’animale, dell’irrazionale, del piacere su ciò
che è spirituale e divino. Ma il corpo è glorioso, esso è santo, tanto che Dio
stesso “s’è fatto carne”. La salvezza e la penitenza quindi non sono disprezzate
per il corpo o trascurate per esso, ma sono la reintegrazione del corpo nella
sua funzione reale in quanto espressione e vita dello spirito, in quanto tempio
dell’anima che non ha prezzo. L’ascesi cristiana è una lotta non contro, ma per
il corpo. Per questo motivo tutto l’uomo – anima e corpo – si pente. Il corpo
partecipa alla preghiera dell’anima proprio come l’anima prega attraverso e nel
corpo. Le prostrazioni, il segno “psicosomatico” della penitenza e dell’umiltà,
dell’adorazione e dell’obbedienza, sono in tal modo il rito quaresimale per
eccellenza.
3. Le Sacre Scritture
La preghiera della Chiesa è sempre biblica, cioè è
espressa nella lingua, nelle immagini e nei simboli delle Sacre Scritture. Se la
Bibbia contiene la Rivelazione divina all'uomo, è anche la risposta dell’uomo
alla Rivelazione e così il modello ed il contenuto della preghiera, della lode e
dell’adorazione. Ad esempio, migliaia di anni sono trascorsi dacché furono
composti i Salmi, tuttavia quando si sente la necessità di esprimere il
pentimento, il turbamento dell’intero essere all'invito della misericordia
divina, proviamo l’unica espressione adeguata nel Salmo penitenziale che
comincia con le parole “Abbi pietà di me, o Dio!”. Qualsiasi situazione
immaginabile dell’uomo di fronte a Dio, al mondo ed agli altri uomini, della
incontenibile gioia per la presenza di Dio sino alla disperazione abissale
dell’esilio, del peccato e dell’alienazione ha trovato la sua espressione
perfetta in quest’unico Libro, che, per questa ragione, ha sempre costituito il
nutrimento giornaliero della Chiesa, il mezzo della sua Ufficiatura ed
auto-edificazione.
Durante la Grande Quaresima la dimensione biblica
dell’ufficiatura ha un’enfasi accresciuta. Si può dire che i 40 giorni della
Quaresima sono, in certo qual modo, il ritorno della Chiesa alla situazione
spirituale dell’Antico Testamento, il tempo prima del Cristo, il tempo
della penitenza e dell’attesa, il tempo della “storia della salvezza”, che
procede verso il suo completamento nel Cristo. Questo ritorno è necessario
perché, sebbene noi apparteniamo al tempo dopo Cristo e lo conosciamo e
siamo stati “battezzati in Lui”, continuamente ci allontaniamo dalla nuova vita
ricevuta da lui e ciò significa ricadere “nell'antico” tempo. La Chiesa, da un
lato, è già “a casa”, poiché essa è già “la grazia di Gesù Cristo, nell'amore di
Dio Padre e nella comunione del Santo Spirito”. Tuttavia, d’altra parte, essa
pure è “sulla sua via” in quanto è in un pellegrinaggio, lungo e difficile,
verso il completamento di tutte le cose in Dio, il ritorno del Cristo e la fine
dei tempi.
La Grande Quaresima è la stagione in cui questo secondo aspetto
della Chiesa, della sua vita, in quanto attesa e viaggio, è in via di
realizzazione. Ed è per questa ragione che l’Antico Testamento acquista il suo
pieno significato, non solo in quanto è il Libro delle profezie che hanno avuto
il loro compimento, ma anche dell’uomo e dell’intera creazione “nel loro
viaggio” verso il Regno di Dio. Due principi fondamentali regolano l’uso
dell’Antico Testamento nell'ufficiatura Quaresimale: la “duplice lettura” del
Salterio e la lettura continua, cioè la lettura virtualmente totale di
tre libri: Genesi, Isaia e Proverbi. I Salmi hanno sempre occupato un posto
centrale e perciò unico nell'ufficiatura cristiana. La Chiesa vede in essi non
solo la migliore espressione, la più adeguata e perfetta della preghiera, della
penitenza, dell’adorazione e della lode, ma una vera immagine verbale del Cristo
e della Chiesa, una Rivelazione nella Rivelazione. Per i Padri – afferma un
esegeta dei loro scritti – “solo il Cristo e la sua Chiesa pregano, piangono e
parlano in questo Libro”. Dal suo inizio i Salmi costituiscono perciò il vero
fondamento della preghiera della Chiesa, il suo “linguaggio naturale”. Essi sono
usati nell'ufficiatura dapprima come “Salmi fissi”, cioè come il materiale
permanete di tutta l’ufficiatura giornaliera: il “Salmo della sera” (Ps 104) ai
Vespri; i sei Salmi (Ps 3; 38; 63; 88; 103; 143), le Lodi (Ps 148; 149; 150) al
Mattutino; e gruppi di tre Salmi alle Ore. Dai Salmi sono stati scelti i
“Prokìmena”, i versetti per gli Alliluia, ecc… per tutte le feste e
commemorazioni dell’anno liturgico. Ed, infine, l’intero Salterio, diviso in 20
parti o “Kathìsmata”, è cantato nella sua totalità ai vespri ed al Mattutino. È
questo il terzo uso del Salterio, che è raddoppiato durante la Quaresima. Esso è
cantato non una volta, ma due volte ogni settimana di Quaresima e parti di esso
sono incluse nelle Ore terza e sesta.
La “Lettura continua” della “Genesi”, di “Isaia” e dei
“Proverbi” ebbe origine nell'epoca in cui la Quaresima era ancora il principale
periodo prebattesimale della Chiesa e l’ufficiatura quaresimale aveva un
carattere prevalentemente catechetico, cioè dedicato all'istruzione dei
catecumeni. Ciascuno dei tre libri corrisponde ad uno dei tre aspetti
fondamentali dell’Antico Testamento: la storia dell’opera di Dio nella
Creazione, la profezia ed insegnamenti etici o morali. La “Genesi”, per così
dire, costituisce la “struttura” della fede della Chiesa. Essa contiene la
narrazione della Creazione, della caduta ed infine la promessa e l’inizio della
salvezza grazie al patto tra Dio ed il suo popolo eletto. Essa riunisce le tre
dimensioni fondamentali del Credo della Chiesa in Dio, in quanto Creatore,
Giudice e Salvatore. La “Genesi” rivela le radici della concezione cristiana
dell’uomo in quanto creato “ad immagine e somiglianza di Dio”, in quanto
allontanatosi da Dio e rimasto sempre oggetto dell’amore divino, della sua cura
e infine della sua salvezza. Questo libro racchiude il concetto della storia
come “storia della salvezza” che conduce al Cristo ed in Lui si completa. Essa
annuncia il mistero della Chiesa attraverso le immagini e la realtà del popolo
di Dio, il Patto, l’Arca, ecc… Isaia è il più grande dei profeti e la lettura
del suo libro durante la Quaresima ha per fine di rivelare ancora una volta il
grande mistero della salvezza per mezzo delle sofferenze e del sacrificio del
Cristo.
Infine il libro dei “Proverbi” è l’epitome degli
insegnamenti etici dell’Antico Testamento, della legge morale e della sapienza
senza la cui accettazione l’uomo non può comprendere l’allontanamento da Dio;
per cui egli non è in grado di intendere la Buona Notizia del perdono per mezzo
dell’amore e della grazia.
Le letture da questi tre libri sono giornaliere durante la
Quaresima, dal lunedì al venerdì: la “Genesi” ed i “Proverbi” ai Vespri, Isaia
all'Ora Sesta. E sebbene la Quaresima da tempo non sia più la stagione
catechistica della Chiesa, lo scopo iniziale di queste letture mantiene il suo
pieno significato. La nostra fede cristiana ha bisogno di ritornare ogni anno
alle sue radici bibliche, poiché in esse non può esserci un limite alla nostra
crescita spirituale ed alla comprensione della Rivelazione divina. La Bibbia non
è una raccolta di “tesi” dogmatiche da accettare e ricordare una volta per
sempre, ma la viva voce di Dio che continuamente parla a noi, rendendoci sempre
più profondi nell'inesauribile ricchezza della sua Sapienza e del suo Amore. Non
c’è maggior tragedia nella Chiesa della quasi totale ignoranza della Sacra
Scrittura da parte dei suoi membri e, ciò che è peggio, della nostra
indifferenza virtualmente totale nei suoi riguardi. Ciò che per i Santi ed i
Padri era una gioia senza limiti, interesse, crescita intellettuale e
spirituale, è per molti Ortodossi oggi un testo antiquato senza alcun
significato per la loro vita. È da sperare, perciò, che, nella misura in cui si
riacquista lo spirito ed il significato della Quaresima, ciò significherà la
riscoperta della Scritture come vero cibo spirituale e comunione con Dio.
4. Il “Triodion”
La Grande Quaresima ha il suo libro liturgico, il “Triodion
Quaresimale”. Esso contiene inni e letture bibliche per ogni giorno del periodo
Quaresimale a cominciare con la domenica del Pubblicano e del Fariseo sino ai
Vespri del Grande e Santo Sabato. Gli inni del “Triodion” furono composti in
gran parte dopo la virtuale scomparsa del catecumenato (cioè della Battesimo
degli adulti e della preparazione necessaria dei candidati ad esso). Il loro
accento perciò è posto non sul Battesimo, ma sulla penitenza. Purtroppo oggi
pochissime persone conoscono e comprendono la particolare bellezza e profondità
dell’innografia quaresimale. L’ignoranza del “Triodion” è la causa principale
della lenta trasformazione che poco a poco si impadronisce della mentalità
cristiana e riduce la Quaresima ad un “obbligo” giuridico e ad un complesso di
norme concernenti la dieta. La reale ispirazione e l’invito della Quaresima sono
oggi quasi del tutto perduti e non rimane altra via per ritrovarli che una
lettura attenta degli inni del “Triodion”.
È significativo, ad esempio, quanto spesso questi inni
ammoniscono contro un’osservanza “formale” e perciò ipocrita del digiuno; fin
dal mercoledì della settimana dei latticini leggiamo: “Invano ti rallegri, o
anima, perché non mangi! Infatti ti astieni dal cibo, ma non sei purificata
dalle passioni. Se non hai alcun desiderio di migliorare, sarai disprezzata come
una menzogna agli occhi di Dio e sarai simile ai malvagi demoni che non mangiano
mai! Se insisti nel peccato, digiunerai inutilmente. Perciò lotta costantemente
in modo da stare dinanzi al Salvatore crocifisso, o, piuttosto, per essere
crocifissa con Colui che fu crocifisso per causa tua”.
E di nuovo al mercoledì della IV settimana udiamo: “Coloro
che hanno sete di benedizioni spirituali, compiano in segreto le loro buone
azioni, non annunziandole fuori al mercato, ma preghino incessantemente nel
profondo del cuore; infatti Colui che vede tutto ciò che è compiuto
segretamente, ci ricompenserà per la nostra astinenza. Digiuniamo senza avere la
faccia triste, ma preghiamo incessantemente nell'intimità dei nostri cuori:
Padre nostro, che sei in cielo, non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal
male”.
Nel corso di tutta la Quaresima, il contrasto tra l’umiltà del
Pubblicano e l’orgoglio e l’autoglorificazione del Fariseo, sono messi in
risalto in inni in cui è denunciata l’ipocrisia. Ma allora qual è il vero
digiuno? Il “Triodion” risponde: “E’ in primo luogo una purificazione interiore:
Digiuniamo, fedeli, dalle insidie che ci corrompono, dalle passioni dannose,
così che possiamo ottenere la vita dalla croce divina e ritornare con il buon
ladrone nella nostra casa iniziale… ”.
È, dunque, un ritorno all’amore, una lotta contro una “vita
rotta”, contro l’odio, l’ingiustizia, l’invidia: “Fratelli, mentre digiuniamo
fisicamente, digiuniamo anche spiritualmente. Sciogliamo ogni nodo
dell’iniquità, piangiamo sopra ogni vincolo ingiusto, distribuiamo il pane agli
affamati e diamo il benvenuto a coloro che non hanno un tetto sul loro capo,
così che possiamo ricevere abbondante misericordia dal Cristo nostro Dio.
Vieni, o fedele, compiamo alla luce le opere di Dio;
camminiamo onestamente come alla luce del giorno, liberiamoci dalle ingiuste
accuse contro i nostri vicini, in modo che non poniamo una pietra di inciampo
sulla loro via. Mettiamo da parte i piaceri della carne, così da accrescere la
grazia nelle nostre anime. Diamo il pane a quanti ne hanno bisogno.
Avviciniamoci pentiti al Cristo e diciamo: - O nostro Dio, abbi pietà di
noi...”.
Quando prestiamo attenzione a queste parole, siamo ben lontani
dalla concezione meschina e farisaica della Quaresima che oggi prevale e che la
considera esclusivamente in termini negativi, come una specie di “disturbo” che,
se noi l’accettiamo volontariamente e “soffriamo per causa sua”, ci procurerà
automaticamente “meriti” ed un “buon rapporto” con Dio. Quanta gente ha accolto
l’idea che la Quaresima è un periodo di tempo in cui, se qualcosa può essere
buono in se stesso, “è proibito”, come se Dio si compiacesse a torturarci. Per
gli autori degli inni quaresimali la Quaresima è esattamente l’opposto: essa è
un ritorno alla vita “normale”, a quel “digiuno” che Adamo ed Eva violarono,
introducendo in tal modo la sofferenza e la morte nel mondo. La Quaresima,
perciò, è salutata come una primavera spirituale, come un tempo di gioia e di
luce: “La primavera quaresimale è giunta, la luce della penitenza… Accogliamo
l’annuncio della Quaresima con gioia, non vorremo essere privati del Paradiso…
Il tempo della Quaresima è un periodo di gioia! Con purezza raggiante e con
amore puro, pieni di splendenti preghiere e di ogni opera buona, cantiamo con
gioia…”.
Solo quelli che “si rallegrano nel Signore” e per i quali il
Cristo ed il suo Regno sono il principale desiderio e gioia della loro
esistenza, possono accettare in letizia la lotta contro il male ed il peccato ed
essere partecipi della vittoria finale. Questa è la ragione per cui di tutte le
categorie di Santi, solo i martiri sono invocati e lodati in inni particolari
ogni giorno in Quaresima. Infatti i martiri sono precisamente coloro che hanno
preferito il Cristo ad ogni cosa in questo mondo, ivi compresa la loro vita;
essi gioirono talmente nel Cristo da poter dire, come sant'Ignazio di Antiochia,
“Ora comincio a vivere…”. Essi sono la testimonianza del Regno di Dio, poiché
solo coloro che l’hanno visto e gustato sono capaci di una simile dedizione.
Essi sono i nostri compagni, essi ci ispirano durante la Quaresima, la quale è
la nostra lotta per la vittoria di ciò che è divino, celeste ed eterno in noi.
“Respirando una speranza e contemplando una visione, voi, martiri che
soffriste trovaste che la morte è la via della vita… Rivestiti delle armi della
fede, armati del segno della Croce, voi foste i degni soldati di Dio!
Coraggiosamente resisteste alle torture, rompendo gli inganni del demonio, foste
vittoriosi, degni di corone. Pregate il Cristo che salvi le nostre anime”.
Nel corso di 40 giorni è la Croce del Cristo e la sua
Resurrezione e la Luce risplendente della Pasqua che costituiscono il “supremo
termine” di riferimento di tutta l’innografia quaresimale, un costante monito
che, per quanto sia stretta e difficile la via, essa alla fine ci conduce alla
tavola del Cristo nel suo Regno. Come già ho detto, l’attesa ed il pregustare la
gioia pasquale permeano l’intera Quaresima e sono il reale motivo dello sforzo
quaresimale. “Desiderando partecipare alla Pasqua divina… perseguiamo la
vittoria sul demonio per mezzo del digiuno… Noi parteciperemo alla Pasqua divina
del Cristo!”.
“Triodion” – Libro sconosciuto e trascurato! Se noi soltanto
conoscessimo che in esso possiamo recuperare, rendere ancor più nostro lo
spirito non solo della Quaresima, ma della stessa Ortodossia, della sua visione
pasquale della vita, della morte e dell’eternità!
Nessun commento:
Posta un commento