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venerdì 7 ottobre 2016

L’obbedienza nei confronti del Vescovo eparchiale secondo la tradizione spirituale e canonica della Chiesa Ortodossa

Dell’Archimandrita Stefan Popa

Da Ortodossia.it

“Chi ascolta voi, ascolta me; chi respinge voi, respinge me; chi mi respinge, respinge Colui che mi ha mandato” (Luca X, 16).

“Benché fosse Figlio imparò l'obbedienza dalle cose che soffrì; ed essendo stato reso perfetto, divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono, autore di salvezza eterna” (Ebrei V, 8-9).

“Ubbidite ai vostri Conduttori e sottomettetevi a loro, perché essi vegliano per le vostre anime, come chi ha da renderne conto; affinché facciano questo con allegrezza e non sospirando, perché ciò non vi sarebbe d'alcun utile” (Ebrei XIII, 17).

“I presbiteri ed i diaconi non devono fare niente senza il permesso del loro Vescovo, poiché a lui [al Vescovo] è stato affidato il popolo del Signore e a lui [al Vescovo] sarà chiesto di renderne conto per le loro anime” (Canone 39 Apostolico).

L'obbedienza canonica è definita come la sottomissione di fronte ai Comandamenti del Signore e delle Autorità Ecclesiastiche. Tramite l'obbedienza canonica qualunque membro della Chiesa rimane in comunione con il suo Vescovo e con Gesù Cristo, partecipando alla vita divina della Chiesa tramite i sacramenti. L'obbedienza canonica è un elemento fondamentale per raggiungere la nostra salvezza. Le Sacre Scritture dell'Antico e del Nuovo Testamento, partendo dal Libro della Genesi e sino all'Apocalisse, riportano numerosissimi brani che illustrano l'obbedienza o la disobbedienza degli uomini nei confronti di Dio e le loro conseguenze: “Poiché siccome per la disobbedienza di un solo uomo i molti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza d'Un solo i molti saranno costituiti giusti” (Romani V, 19). Tra migliaia di esempi d'obbedienza nei confronti di Dio riportati dalle Sacre Scritture, la sempre Vergine Maria e Madre di Dio è un esempio di riferimento; accettando l'incarnazione del Verbo Divino nel Suo grembo e la missione affidata dal Dio Padre, rispose all'Arcangelo Gabriele dicendo: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Luca I, 38).

Il modello divino di obbedienza è il nostro Salvatore Gesù Cristo, che nella preghiera stessa del “Padre nostro” ci comanda la totale sottomissione alla volontà di Dio “venga il Tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo anche in terra” (Matteo VI, 10). L'intera opera redentrice del nostro Salvatore – dall'Incarnazione sino alla Crocifissione - è la totale espressione d'obbedienza nei confronti del Padre. Ciò che l'uomo del paradiso non ha fatto, cioè l'atto d'obbedienza nei confronti del Dio Creatore (Genesi II, 16-17) ha compiuto il Figlio di Dio e nostro Salvatore. Il Sacrificio di Cristo è l'espressione suprema dell'obbedienza al Padre sino alla morte e nello stesso tempo rappresenta l'atto di glorificazione del Dio Padre, glorificazione che l'uomo non aveva portato a compimento ed era rimasto debitore nei confronti di Dio “Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare” (Giovanni XVII, 4).

L'obbedienza e la morte di Gesù Cristo non hanno soltanto una semplice equipollenza giuridica; infatti, guardando l'aspetto ontologico della Redenzione, Dio Padre apprezzando la morte di Cristo come atto di glorificazione e di espiazione per il peccato di disobbedienza dei nostri progenitori Adamo ed Eva, l'ha ricompensato eternamente con la Resurrezione e con la Grazia che Gesù Cristo concede agli uomini “Il quale, Dio ... annichilì se stesso, prendendo forma di servo e divenendo simili agli uomini ... abbassò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, ed alla morte della Croce. Ed è perciò che Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il Nome che è al disopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra, ed ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Filippesi II, 6-11).

L'obbedienza ha come fondamenta l'Amore Divino “poiché Iddio ha tanto amato il mondo che ha dato il Suo Unigenito Figlio affinché chiunque crede in Lui non perisca ma abbia vita eterna” (Giovanni III, 16). L'obbedienza è la nostra risposta d'amore a Dio ed è un dono dello Spirito Santo dato a coloro che stanno nella Grazia di Dio. Dunque l'obbedienza porta con se salvezza, grazia e vita eterna.

Secondo lo stato religioso di ciascun cristiano (laico, monaco o chierico) possiamo distinguere varie categorie d'obbedienza canonica: 1. l'obbedienza dovuta dai laici ai chierici; 2. l'obbedienza dovuta dai chierici di fronte alle gerarchie superiori, come conseguenza del fatto che vescovo ha la pienezza del sacerdozio sacramentale; 3. l'obbedienza nello stato monacale.

L'obbedienza dovuta dai laici ai chierici ha come fine il buon andamento della vita spirituale propria e della comunità in cui vive ed equivale al rapporto d'obbedienza dei figli verso i loro genitori spirituali secondo le Parole del Salvatore il quale ci ha chiamati tutti all'obbedienza dei figli verso lo stesso Padre.

La tradizione spirituale ortodossa considera l'obbedienza una grande virtù. L'obbedienza canonica è stata sempre messa in rilievo dai Padri Apostolici: “ Conviene che voi non abusiate dell’età del vescovo, ma per la potenza di Dio Padre gli tributiate ogni riverenza. In realtà ho saputo che i vostri santi presbiteri non hanno abusato della giovinezza evidente di lui, ma saggi in Dio sono sottomessi a lui, non a lui, ma al Padre di Gesù Cristo che è il vescovo di tutti.” (Lettera ai cristiani di Magnesia, III, 1).

Non obbedire al proprio vescovo significa uscire dalla Chiesa (Ignazio d'Antiochia, Lettera agli Smirnesi. IX, 1) “E' bello riconoscere Dio e il vescovo. Chi onora il vescovo viene onorato da Dio. Chi compie qualche cosa di nascosto dal vescovo serve il diavolo”. Senza il Vescovo e senza obbedienza nei Suoi confronti non esiste Chiesa “Come Gesù Cristo segue il Padre, seguite tutti il vescovo e i presbiteri come gli apostoli; venerate i diaconi come la legge di Dio. Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa. Sia ritenuta valida l'eucaristia che si fa dal vescovo o da chi è da lui delegato. 2. Dove compare il vescovo, là sia la comunità, come là dove c'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica. Senza il vescovo non è lecito né battezzare né fare l'agape; quello che egli approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro“ (Ignazio d'Antiochia, Lettera agli Smirnesi, VIII, 1).

L'obbedienza da parte dei chierici al proprio vescovo eparchiale mantiene l'unità della Chiesa: “Qualunque chierico deve avere presente di fronte alla sua mente ed ai suoi occhi l'idea di rispettare l'Autorità Ecclesiastica oppure la Gerarchia Superiore. Ogni chierico che deviasse da questa santa via, lavorerebbe direttamente per la distruzione della Chiesa, lavorerebbe direttamente contro se stesso” (Erbiceanu, Despre Ierarhie, 1028).

L'obbedienza canonica è prevista da numerosi canoni: viene considerato come disobbedienza l'atto del chierico che lascia l'eparchia senza il permesso del suo vescovo (Canone 15 degli Apostoli), oppure l'atto del chierico che senza il permesso del suo vescovo eparchiale prende possesso di un servizio ecclesiastico in un'altra eparchia (Canone 17 del Concilio Trullano, 691); i monaci devono obbedire al Vescovo Eparchiale (Canone 4° del IV Concilio Ecumenico di Calcedonia, 451); costituisce un atto di disobbedienza celebrare la Liturgia in una cappella privata senza il permesso del vescovo eparchiale (Canone 31 degli Apostoli e 31 del Concilio Trullano); rappresenta lo stesso un atto di disobbedienza insultare il proprio vescovo. Il Canone 39 degli Apostoli è la sintesi di tutto ciò che abbiamo detto prima: “I presbiteri ed i diaconi non devono fare niente senza il permesso del loro Vescovo, poiché a lui [al Vescovo] è stato affidato il popolo del Signore e a lui [al Vescovo] sarà chiesto di rispondere per le loro anime”, e ciò vuol dire che il vescovo deve essere almeno informato dai suoi chierici su tutti gli aspetti della loro vita ed attività ed avere la benedizione del vescovo e la sua approvazione per ogni azione che compiono.

L'obbligo dell'obbedienza canonica nasce dal momento in cui il candidato viene ordinato dal suo vescovo eparchiale: “perché una volta data la grazia [del sacerdozio] questa non si può amministrare secondo il buon piacimento di colui che l'ha ricevuta, ma in conformità con certe regole consacrate dalla nostra tradizione ecclesiastica” (Stanculescu, Ascultarea canonica, 478).

Come immediata espressione della dipendenza ed obbedienza canonica dovuta al Vescovo abbiamo nella tradizione ortodossa l'obbligo di pregare per i nostri superiori e di ricordare il proprio vescovo eparchiale nella Liturgia: “La commemorazione dei propri Vescovi nella Santa Liturgia era una prova evidente della comunione canonica dei preti con i loro superiori gerarchi. Il vescovo eparchiale era menzionato nel “Dipticon” di ciascuna Chiesa. Questa prassi della Chiesa primitiva era l'espressione di quella “communicatio in sacris” dell'intera comunità dei fedeli e del loro sacerdote con il vescovo del luogo” (Dura, Dipticele).

Rifiutarsi di commemorare il proprio vescovo rappresenta un atto di grave disobbedienza; “Con il fine di conservare l'unità ecclesiastica della Chiesa, i Santi Padri hanno deciso la dimissione dallo stato clericale del sacerdote che non commemora il suo vescovo nei servizi sacri” (Dura, Dipticele).

L'opera di evangelizzazione, di santificazione e di guida che la Chiesa svolge per la redenzione del popolo di Dio è affidata al Vescovo come Capo della Chiesa Locale ed ai sacerdoti. Affinché questa opera si svolga con una totale efficienza e nei migliori dei modi bisogna che tra Vescovo e sacerdoti sia una permanente comunicazione, armonia e coordinamento e per raggiungere questo stato l'obbedienza canonica costituisce l'elemento basilare.

Bibliografia

1. La Sacra Bibbia ossia l'Antico e il Nuovo Testamento, Libreria delle Sacre Scritture, Roma, 1990
2. Documenta Catholica Omnia, De Ecclesiae Patribus Doctoribusque, Ecclesiae Patres Graeci, Sanctus Ignatius Antiochensis, Epistolae.
3. San Giovanni Climaco, Scala, IV° Gradino, Obbedienza, nella Filocalia, Volume IX, Editura Institutului Biblic si de Misiune al Bisericii Ortodoxe Romane, Bucuresti, 1980
4. Despre preotie - I trattati sul Sacerdozio di San Giovanni Crisostomo, San Gregorio Nazianzeno e San Efremo Siro, Editura Institutului Bibilc si de Misiune al Bisericii Ortodoxe Romane, Bucuresti, 1987
5. Dumitru Radu, Mantuirea obiectiva sau Rascumpararea (La Salvezza Oggettiva o la Redenzione), nel volume Indrumari Misionare, Editura Institutului Biblic si de Misiune al Bisericii Ortodoxe Romane, Bucuresti 1986, pagine 342-360
6. Nicolae Milas, Canoanele Bisericii Ortodoxe, (traduzione fatta da Uros Kovincici e da Nikolae Popovici) volumul I, 1, Arad, 1930
7. I. F. STANCULESCU, “Ascultarea Canonica”, articolo in lingua rumena pubblicato dalla Rivista “Studii Teologice”, XIV (1962), p 471-488.
8. Constantin ERBICEANU, “Despre Ierarhie ori guvernamintu in Biserica Ortodoxa”, articolo in lingua rumena pubblicato dalla,a rivista “Biserica Ortodoxa Romana” anul XXVIII (1905), p. 1020-1028.
9. Nicolae DURA, “Dipticele – studiu istorico-canonic e liturgic”, articol aparut in revista “Studii Teologice” anul XXIX (1977), pagine 636-659.

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