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venerdì 27 gennaio 2017

14 / 27 gennaio: San Sava, illuminatore e primo arcivescovo dei Serbi († 1235)

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Di Daniel Rogic, Santi della Chiesa ortodossa serba, vol. 1 (gennaio-aprile), Servitium-Interlogos 1997

Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta (Mt 6,33).

Il grande zupan (capo patriarcale) serbo Stefano Nemanja aveva due figli, Vukan e Stefano. Ma egli e sua moglie Anna ne desideravano un altro, se questa era la volontà di Dio. A lui dunque salirono le loro suppliche ed egli, ascoltatane la preghiera, li benedisse con l'ultimo figlio, nato nell'anno del Signore 1175. Al battesimo il neonato ricevette il nome di Rastko, derivato dal verbo slavone rasti, che significa "crescere".

E crebbe, in effetti, divinamente. Molti avvenimenti speciali riguardarono Rastko: era un amabile bambino dai lineamenti pronunciati e dalla pelle liscia e possedeva, già da piccolo, una vigilanza inconsueta e un comportamento devoto. I genitori e tutta la corte reale (anzi, la nazione serba nel suo insieme) erano lontani dal pensare che la sua nascita e il suo battesimo in seno all'Ortodossia avrebbero, in modo provvidenziale, segnato l'inizio di un cammino storico e spirituale tale da far fiorire la loro fede, la loro stirpe e tutto il loro orientamento culturale cristiano. Questo ragazzetto, poi chiamato Sava da monaco, divenne - e lo è ancora - il più amato dei santi serbi ortodossi; tutti i serbi lo considerano ovunque e in ogni tempo l'espressione massima e l'esempio di ciò che significa essere pienamente uomo: essere, cioè, un discepolo fervente e impegnato di Gesù Cristo.

Rastko ricevette la migliore educazione di allora. Tranquillo e introspettivo, ebbe successo nelle varie discipline, preferendo al piacere dei giochi fanciulleschi la lettura e l'investigazione sul significato e sulla natura delle cose. Essendo di sangue reale, a 15 anni ebbe da governare, come suo particolare dominio, il territorio dello Zahumlje (detto in seguito la "Hercegovina di san Sava"). Ne aveva 17 quando i genitori gli combinarono il matrimonio; ma la sua innata propensione per la tranquilla vita solitaria lo portava a ritenere che ciò non sarebbe mai accaduto. Secondo Domenziano e Teodosio, i biografi di san Sava, Rastko Nemanja aveva 18 anni quando un monaco ortodosso russo di San Panteleimon (Monte Athos) venne in visita alla corte reale del grande zupan Stefano Nemanja per chiedere elemosine a beneficio del proprio monastero. Incontratolo, il principe Rastko si ritirò con lui in una stanza privata e lo interrogò sulla vita della Santa Montagna. E mentre il monaco parlava della pace di Dio testimoniata dai monaci, della speranza di eternità e del tesoro inestimabile di salvezza scoperto nella vita monastica, a Rastko sembrava di ricevere un nuovo battesimo.

Lo Spirito Santo gli colmò il cuore di agitazione e commozione, rendendolo sensibile a un profondo desiderio che Dio aveva in lui instillato: Una sola cosa ho chiesto al Signore, questa cercherò: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la dolcezza del Signore e visitare il suo tempio (Sal 26,4). Proprio in quell'istante Rastko capì che, per realizzare questa aspirazione, doveva raggiungere il Monte Athos. Dio ve lo chiamava. Rastko, ancor giovane, comprese che tale esperienza di rinascita sarebbe stata la partenza per un viaggio più coinvolgente e profondo, che comportava diramazioni eterne - un moto spirituale, cioè, che sarebbe sfociato nella santificazione di tutta una stirpe: la gente serba -. Per Rastko né il matrimonio né le conoscenze mondane né il potere né i possessi erano paragonabili a quanto egli aveva provato conversando con quel monaco anonimo e semplice della Santa Montagna.

“Ma come posso ora affrontare i miei genitori? - si chiese il principe -. Come potrò compiere tale viaggio al Monte Athos?”. Riflettendo, trovò, con la grazia dello Spirito Santo, una soluzione. Organizzò una lontana battuta di caccia e, al momento opportuno, abbandonò il paese natale assieme al monaco athonita. Venuto a conoscenza di ciò, il padre di Rastko, lo zupan Stefano Nemanja, raccolse in fretta gli elementi migliori della guardia reale, che spedì alla città marittima di Salonicco, dove essi - questa era la sua speranza - avrebbero raggiunto Rastko. Alle guardie Stefano consegnò una lettera per il governatore militare della città, nella quale minacciava Salonicco di gravi rappresaglie se il figlio non gli fosse stato rinviato sano e salvo. Ma gli sforzi risultarono inutili, perché Rastko, attraversata velocemente Salonicco, era giunto in barca al San Panteleimon sull'Athos.

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Quando i soldati arrivarono nel monastero, era appena iniziata la veglia notturna. Non volendo disturbare il servizio divino, entrarono nel katholikon (chiesa principale) e sedettero sugli stalli lungo la parete interna. Scorto Rastko, decisero di attendere con pazienza la fine dell'ufficiatura per ordinargli di ritornare dal padre. Non prevedevano che la veglia notturna sarebbe durata più di sei ore! Col passare del tempo, a causa della spossatezza fisica e mentale dovuta al duro viaggio dalla Serbia all'Athos, ciascuno di loro cadde in un sonno profondo sul proprio scanno.

Approfittando della situazione, Rastko e un anziano ieromonaco (monaco sacerdote) uscirono lestamente dalla chiesa e salirono in cima alla torre campanaria nel cortile del monastero. Per il resto della notte e durante il primo mattino il beato anziano istruì Rastko sulla vita monastica; subito prima della conclusione della divina liturgia (che segue ad ogni servizio di veglia), lo accolse fra i monaci, gli diede la tonsura e il nome di Sava, da quello del grande asceta e santo di Gerusalemme, san Sava il Santificato († 532; memoria il 5 dicembre). Destatesi al mattino dal sonno, le guardie si diedero velocemente a cercare il principe. Dall'alto, nel vano della finestra del campanile, Sava si fece vedere e disse loro che aveva ricevuto la tonsura monastica e che esse non avrebbero dovuto recar danno a nessuno dei monaci; gettò poi i capelli tagliati e gli abiti borghesi, esclamando: “Vi prego, portateli ai miei genitori in ricordo della mia giovinezza”. Questo accadde nel 1193, quando Sava era appena diciottenne.

Sava non fu il primo serbo a farsi monaco sull'Athos: altri ce n'erano stati prima del suo arrivo; ma non vi si trovavano monasteri che appartenessero loro, per cui i monaci serbi vivevano in quelli greci, russi, bulgari, georgiani, oppure, eventualmente, in caverne secondo la vita solitaria degli eremiti. A pochi mesi dalla tonsura, Sava fu invitato al monastero greco di Vatopedi per la celebrazione della festa patronale, l'Annunciazione della Theotokos (25 marzo). Là egli iniziò a entrare realmente nella vita spirituale profonda del monachesimo. Lasciando il monastero di san Panteleimon, il principe Rastko non esisteva più; solo Sava il monaco era adesso vivo in Cristo, per la potenza dello Spirito Santo.

Sava diede prova, ben presto, di essere un soldato e un asceta inflessibile di Cristo. Controllava costantemente corpo, pensieri e passioni: tutto se stesso. A volte, l'igumeno di Vatopedi doveva trattenerlo da pratiche ascetiche eccessive, per timore che la salute ne avesse danno. Col tempo, i genitori e i fratelli finirono per accettarne la nuova vita e gli fornirono un abbondante sostegno finanziario, che egli disinteressatamente ripartiva tra i diversi monasteri dell'Athos. In particolare a Sava era caro quello di Vatopedi, che provvide sia di un nuovo tetto per la chiesa principale dell'Annunciazione, sia di tre cappelline. In quel periodo Vatopedi era una sorta di università bizantina, essendo munificamente sostenuto anche dagli imperatori di Costantinopoli; possedeva una grande biblioteca fornitissima di tutte le opere antiche dei Padri della Chiesa nei vari ambiti teologici della vita cristiana: Scrittura, liturgia, ascetica, dottrina, sacramenti, agiografie, icone e architettura, diritto canonico. Sava vi imparò alla perfezione il greco antico (dopo aver già appreso quello del suo tempo dalla madre Anna - detta più tardi, da monaca, Anastasia [v. 21 giugno] -, che era greca di nascita, figlia del grande imperatore bizantino Romano IV Diogene [1068-1081]). Grazie allo studio degli scritti dei Padri della Chiesa, alla pratica di una stretta ascesi e alla piena partecipazione alla vita liturgico-sacramentale del monastero, cominciò lentamente a manifestarsi in Sava l'immagine di Dio: progressivamente si compiva la sua trasfigurazione in uomo spirituale, che desidera soltanto essere col Signore Gesù Cristo nel seno di Dio Padre, vivo grazie allo Spirito Santo misericordioso e vivificante.

Nel 1196, a 21 anni, Sava ebbe il più grande regalo della sua esistenza. Suo padre Stefano Nemanja decise di abdicare al trono di Serbia - trono che passò al secondogenito Stefano - ed entrare nel monastero di Studenica, sul monte Radocelo, a Raska, col nome di Simeone. La notizia entusiasmò Sava: rappresentava una benedizione spirituale per le sue molte preghiere, gli sforzi ascetici e le lettere inviate al padre con cui lo esortava alla vita monastica. Nello stesso giorno - festa dell'Annunciazione (25 marzo 1196) - sua madre Anna ricevette la tonsura col nome di Anastasia e si ritirò nel monastero della Santa Vergine di Kursumlija, presso Toplica.

Su domanda di Sava, il monaco Simeone-Stefano Nemanja - a qualche mese dalla tonsura - lasciò la Serbia e si recò a Vatopedi dove, per la prima volta dopo tre anni, rivide il figlio prediletto, che era già un monaco dotato di esperienza e rispettato. L'incontro fu straordinario. Scrive il biografo Teodosio: "Erano ambedue senza parole. Se qualcuno non lo avesse sorretto, il padre sarebbe caduto a terra. Recuperata la compostezza, versò molte lacrime sul capo santo e a lungo agognato dell'amato figlio, abbracciandolo, baciandolo e stringendoselo al petto". Diventava realtà il sogno di Sava. La "conversione" di Simeone e la sua totale adesione alla vita monastica segnarono un nuovo inizio non solo per i due santi, ma anche - dato forse più importante - per tutta la stirpe serba. Con quest'atto Simeone, l'uomo più forte e influente dello stato serbo, ne rafforzò i legami col tesoro di spiritualità rappresentato dall'Athos e aprì la strada ad ogni futura dinastia per accettare e riconoscere l'Ortodossia come la via e il criterio ultimo per la piena cristianizzazione dei serbi. Come l'antico imperatore Costantino il Grande († 337), Simeone rese possibile all'Ortodossia di porsi quale fondamento di tutta la cultura, la storia e la civiltà serbe.

L'elemento più stupefacente dell'eredità dei monaci Sava e Simeone - figlio e padre - fu lo sforzo congiunto di fornire alla nazione serba un centro spirituale, in cui la preghiera e la vita cristiana impegnata costituissero la fiamma eterna e la lampada vigile nella guida del popolo serbo al Regno di Dio. Questa fiaccola eterna e questa divina luce fu Hilandar, in passato piccolo insediamento monastico, poi caduto in rovina per molti anni e passato in proprietà di Vatopedi. Grazie alla vita virtuosa di Sava, alla sua funzione di rappresentante della comunità vatopedica presso la corte di Costantinopoli e grazie pure al generoso sostegno materiale fornito al monastero da Simeone, per decreto imperiale le rovine di Hilandar vennero concesse ai serbi in proprietà indipendente e autogestita da erigersi a monastero. Ciò avvenne ufficialmente con due atti di fondazione: la crisobolla dell'imperatore Alessio III Angelo del giugno 1198 e l'atto dello zupan Stefano Nemanja - Simeone da monaco -, cofondatore di Hilandar, della fine del medesimo anno. L'idea di un monastero serbo sull'Athos divenne così realtà quando il padre obbedì al figlio, quando ambedue queste colonne spirituali della nazione serba si consacrarono pienamente al Signore e Salvatore Gesù Cristo e alla santa Ortodossia.

Nel maggio 1199 furono portati a termine e consacrati la chiesa principale, dedicata alla festa della Presentazione della Theotokos al tempio (21 novembre) e diversi altri edifici indispensabili all'attività del monastero. Il typikon di Hilandar (complesso delle regole per la comune vita di preghiera) si fondava su quello greco del monastero della Theotokos Everghetis di Costantinopoli, il convento imperiale caro a san Sava, che personalmente lo tradusse in slavone per l'uso di Hilandar. Qui all'inizio c'erano solo quindici monaci, ma in breve il numero arrivò a novanta. Non c'era dubbio che la comunità di Hilandar avrebbe avuto successo finché i grandi Sava e Simeone ne avessero garantita la conduzione - avessero, cioè, con la loro totale dedizione al Signore attirato molti aspiranti alla vita monastica radicale in Cristo, guidata dallo Spirito Santo -. Sava vide allora un'altra benedizione e un altro miracolo avverarsi davanti ai suoi occhi: l'arrivo di molti giovani serbi desiderosi, come egli lo era stato e lo era, di vivere totalmente in Cristo.

Ad un asceta comune ciò sarebbe parso sufficiente per ritenersi perfetto o considerarsi grande agli occhi di Dio. Ma Sava non si ritenne mai tale. Egli cercava sempre di “tenersi lontano da tutto questo” e di servire il Signore nella solitudine interiore, per essere perfetto come è perfetto il Padre celeste (Mt 5,48). Perciò, allo scopo di attuare il desiderio suscitatogli nell'anima dalla grazia creatrice e potente di Dio, si recò nella capitale della penisola dell'Athos, Karyes, per ottenervi un'area su cui erigere una cella per la vita di solitudine nel Signore. Qui, a soli 24 anni (ma con la sapienza di Salomone), dal settembre al dicembre 1199 Sava costruì la cella e un oratorio dedicato al suo omonimo, san Sava il Santificato di Gerusalemme. Per fissare la regola liturgica della preghiera per sé e per quanti sarebbero lì vissuti dopo di lui, redasse il famoso Karejski Typikon (Typikarnica).

Si tratta di uno dei più importanti documenti della storia della letteratura spirituale serba. In 115 righe Sava fissa le norme dell'orazione, del digiuno e del culto liturgico che ogni kelliota (monaco vivente in una cella) deve seguire a Karyes. Il Karejski Typikon si rifaceva alle regole di preghiera dei primi asceti impegnati a lottare nel Signore nei deserti di Egitto, Sinai, Palestina e Siria. Esso esprimeva una comprensione e una fede fondamentali riguardo agli esseri umani: la fede che tutti gli uomini sono stati creati per conoscere e amare il loro Creatore - la Santissima Trinità - ed essere da lui conosciuti personalmente e intimamente, in una continua e potente relazione di amore, di pace e di gioia. Ciò si rivela pienamente possibile a chi si consegna con serietà alla "Via, Verità e Vita", il Signore Gesù Cristo che è nel seno di Dio Padre, e a chi è animato dallo Spirito Santo. Ecco dunque il chiaro messaggio testimoniato dalla vita di san Sava: l'esistenza cristiana consiste primariamente nel cercare e trovare Dio, nel cercare e scoprire la sua volontà, nell'avere fame e sete della sua giustizia - Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta (Mt 6,33) -. Il soggiorno nella cella di Karyes fece di Sava un pilastro dell'Ortodossia, perché fu là che egli pregò incessantemente (1 Ts 5,17) e scrisse molti inni, trattati e preghiere a gloria della Santissima Trinità.

Pochi mesi dopo il completamento della dimora monastica di Sava, il monaco Simeone, padre di lui, si ammalò gravemente. Il 13 febbraio 1200, si addormentò nel Signore all'età di 86 anni (e pure nel Signore si addormentò, appena quattro mesi dopo, nel monastero della Santissima Vergine di Kursumlija, presso Toplica, a 75 anni, il 21 giugno 1200, la principessa Anna-sant'Anastasia, madre di Sava). Nella biografia del genitore, stesa nella cella di Karyes, Sava descrive il profondissimo dolore provato per la perdita del padre, per la morte santa e divina del beato Simeone. Sava chiese al Signore di rivelargli il giudizio subito dal padre morto. Simeone gli apparve una notte in sogno col volto luminoso e gli consegnò un messaggio di somma importanza. Gli disse che la Serbia aveva bisogno di lui e che c'era molto lavoro da compiervi. Benché Sava non avesse più desiderato di ritornare nella sua terra dopo essere divenuto monaco all'Athos, il messaggio di Simeone gli fece capire che era tempo che il figlio obbedisse a suo padre.

Dalla partenza di Simeone nel 1196, la situazione in Serbia era nettamente peggiorata: la guida religiosa era insufficiente, i fratelli Stefano e Vukan erano coinvolti in una terribile lotta fratricida per il dominio del regno. In risposta alla supplica di Simeone - la cui apparizione diede a Sava un'ulteriore prova della sua santità - e alle numerose richieste di rientrare da parte del più giovane dei due fratelli, il nuovo sovrano Stefano (1196-1228), Sava decise di tornare nel luogo natale per la pace, il conforto e la guida del popolo serbo. Rimise dunque piede in patria nel 1204, dopo undici anni di permanenza all'Athos; ne aveva 29 di età. Fu un lutto per i monaci, ma essi sapevano che tale partenza era volontà del Signore. Sava non se ne andò senza onori: fu elevato all'ufficio di archimandrita a Salonicco da quattro vescovi delle vicine diocesi.

Rientrando in patria nel 1204, Sava - come lo aveva informato Simeone in sogno - la trovò nel caos. Lo stato serbo era diviso in due. In seguito a negoziati segreti con l'Ungheria e col papa Innocenzo III, Vukan, il maggiore dei tre fratelli, indispettito che il secondogenito Stefano avesse ereditato il trono, arrivò ad ammassare truppe e a conquistare Zeta; e stava per lanciare una campagna contro Raska, la parte di regno rimasta a re Stefano. Questa guerra civile non era che un microcosmo di un più vasto conflitto voluto dall'ovest: quello delle ostilità aperte dalle grandi Crociate della Chiesa latina. Nel 1204 i soldati della quarta Crociata conquistarono Costantinopoli e molta parte del territorio bizantino, incluso il Monte Athos, che, nel 1205, fu sottoposto alla giurisdizione di un vescovo cattolico romano. Si ritiene che tale fatto abbia influito più di ogni altro sulla decisione di Sava di ritornare in Serbia, con un compito tagliato per lui.

Egli portò con sé la medicina atta a guarire l'intera situazione: le reliquie di suo padre, il grande zupan e santo Stefano Nemanja-Simeone il Myrovlite, cofondatore di Hilandar. Arrivato a Studenica, il monastero voluto da san Simeone, Sava invitò i suoi due fratelli ad un servizio speciale in memoria del padre. Aperta la bara, il corpo di san Simeone fu trovato fragrante di profumo e trasudante myron, caldo e raggiante, vivo all'aspetto, come se stesse facendo un sonno ristoratore. Tale atto di venerazione nei riguardi del padre fu il primo passo per sanare la rottura tra Vukan e re Stefano. Subito dopo, la guerra civile cessò e si venne alla pace, riportando il regno di Serbia alla situazione conosciuta al tempo di Stefano Nemanja-san Simeone il Myrovlite. Discutendo coi fratelli riuniti, Sava preparò anche piani di un programma missionario immediato, sistematico e di ampio respiro per salvare l'anima ortodossa del popolo serbo. Il monastero di Studenica - con le reliquie di san Simeone che ne facevano un santuario nazionale - fu scelto come il centro dal quale doveva irradiarsi questa azione. San Sava ne scrisse il Typi-kon, che ne rafforzò la vita conventuale.

Appena eletto igumeno di Studenica, l'archimandrita Sava effettuò numerose missioni nei territori serbi, predicando e insegnando la Parola di Dio; rinnovò e fondò monasteri, eresse molte chiese, aprì scuole di iconografia e in generale stabilì e confermò la popolazione nella fede ortodossa. Non si interessò soltanto al bene spirituale del regno, ma anche alla condizione materiale del popolo e consigliò costantemente i fratelli, soprattutto re Stefano, su come migliorarne l'alimentazione e il vestiario, e su come governarlo. Si ritiene che - attraverso i monasteri di quel tempo in Serbia - Sava sia riuscito a mettere ordine nell'economia dello stato, portando al più alto livello la produzione di vino, miele, pesce, verdure e bestiame non soltanto per il sostentamento dei monaci, ma anche per il beneficio di migliaia di serbi: pellegrini, visitatori e, in particolare, malati e vecchi. San Sava realizzò davvero il grande comandamento di Cristo: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, tutta l'anima e tutte le forze; e il tuo prossimo come te stesso. Tali impegni missionari furono per lui, come sempre, esercizi ascetici che lo portavano ad immergersi più profondamente nella grazia, nella carità e nella bellezza eterne dello Spirito Santo. Queste azioni rivelavano l'intenso amore per il suo popolo. Sava stava diventando in poco tempo un grande leader ecclesiastico serbo; negli anni seguenti la sua saggia guida ne avrebbe fatto una figura ecclesiastica internazionale assai rispettata.

Come si è detto, anche la situazione generale era estremamente confusa. La crescita del potere pontificio in oriente non poteva essere più a lungo ignorata. Bisanzio combatteva una battaglia persa. Al pari della Serbia, l'impero bizantino era spaccato in due, con un centro politico a Costantinopoli e l'altro a Salonicco; due fazioni rivali, i Niceni e gli Epiroti, erano in lotta per la guida politica dell'impero. Il patriarcato di Costantinopoli, supremo organo di controllo ecclesiastico amministrativo sulla Serbia, si era frantumato in tre parti, con sedi a Nicea, Trebisonda e Ohrid. In seguito a tale caos, su consiglio della moglie, la regina Anna , re Stefano decise l'alleanza della Serbia con il papato allo scopo di contenere gli attacchi del re Andrea III d'Ungheria e dei latinofili di Costantinopoli. Tale scelta mandò in collera il fratello Sava che, data la sua fedeltà all'Ortodossia e allo stato bizantino, decise di far ritorno all'Athos. Così, nel 1217, a 42 anni, dopo tredici di attività missionaria in patria, egli rientrava nella sua vera casa spirituale, il monastero di Hilandar, per essere solo col suo Signore Gesù Cristo. Proprio come faceva spesso il Salvatore, anche Sava "si allontanò dal gregge per poco", per riposare nel seno del Padre e ritirarsi dal mondo e dalle sue lotte e aspirazioni effimere. Fu davvero per poco, perché il Signore aveva ancora molti progetti in cui impegnare il beato Sava.

Sava passò un po' meno di due anni a Hilandar dopo aver lasciato la Serbia (1217-1219), la cui situazione, nel frattempo, peggiorò sia sotto il profilo interno che sotto quello internazionale. L'olio taumaturgico che trasudava dalle sante reliquie di suo padre Simeone cessò di fluire. Il popolo si sentiva offeso da re Stefano che aveva allontanato Sava; mai, inoltre, avrebbe accettato l'appoggio del papa né abiurato all'Ortodossia. Stefano scrisse quindi a Sava, implorandone il ritorno; ruppe i legami con l'occidente e tentò di riconciliarsi con l'imperatore bizantino di Nicea Teodoro Laskaris (1204-1222). Sava - che trascorreva giorni e notti in preghiere e veglie, teneva l'anima lontana da ogni passione e invocava incessantemente il Signore di aiutare i serbi - fu entusiasta di ricevere la lettera contrita di Stefano. Apprese le notizie del fratello, si recò immediatamente nella sua cella e pregò in lacrime il padre: “Ti imploro, o santo, di non guardare alle nostre trasgressioni. Perché, qualunque cosa noi siamo, siamo sempre tuoi figli. Fa' riscorrere il myron dal tuo corpo nella tomba, come prima, per dar gioia e conforto al tuo popolo ora in lutto”. La preghiera, inviata da Sava a re Stefano per epistola, fu letta a voce alta nel monastero di Studenica davanti alla tomba di Simeone e poi resa di dominio pubblico nel paese. Essa rivelò inoltre i piani ricevuti da Sava in sogno dall'Onnipotente: ottenere da Nicea l'indipendenza della Chiesa serba ortodossa. Alla lettura dello scritto a Studenica, subito il myron miracoloso ricominciò a fluire dalle reliquie del santo zupan Simeone. Quindi, per volontà del Signore, Sava ritornò in patria per la seconda volta da Hilandar per salvare il suo popolo e recare buone novelle di salvezza, fede e unità.

Prima, però, del rientro, Sava si recò a Nicea, sede del patriarca ecumenico Manuele Sarantenos (1215-1222), la più alta autorità ecclesiastica che poteva concedere l'indipendenza a una Chiesa locale. Sava, che si era fatto accompagnare da numerosi monaci di Hilandar, discusse la visione avuta in sogno col patriarca e l'imperatore Teodoro. Dapprima il patriarca si mostrò riluttante ad accogliere la richiesta di Sava. Perché - si chiedeva - non l'aveva inoltrata per mezzo dell'arcivescovo di Ohrid, l'autorità giuridica alla quale era direttamente sottoposta la Chiesa serba? Ma, dopo attento esame delle difficoltà politiche ed ecclesiastiche nei Balcani - non solo in Serbia, ma altresì tra Nicea ed Epi-ro -, la petizione di Sava apparve pienamente giustificata al patriarca e all'imperatore. Assicurando autonomia alla Chiesa di Serbia, si sarebbero contrastati Roma e i tentativi occidentali di dominare i Balcani. Inoltre, il potere dell'arcivescovo di Ohrid stava ampliandosi eccessivamente: con l'indipendenza dei serbi, esso si sarebbe ridotto. La Chiesa serba ortodossa, ora indipendente, sarebbe rimasta sotto la giurisdizione diretta del patriarcato ecumenico (come ben noto, non si giunse a un patriarcato serbo se non più di cento anni dopo, quando la Chiesa serba, il 9 aprile 1346, domenica delle Palme, divenne autocefala). La situazione era così favorevole per tutti. Su richiesta del patriarca Manuele, Sava venne proposto alla carica di arcivescovo. Dapprima egli rifiutò con forza, perché si sentiva del tutto indegno di tale posizione e chiamata. Propose parecchi monaci di Hilandar presenti come potenziali candidati. Alla fine accettò e fu consacrato a Nicea il 6 dicembre 1219 (festa di san Nicola), divenendo il primo arcivescovo della neonata Chiesa ortodossa autonoma di Serbia: aveva 44 anni. Ecco le esatte parole del testo greco del decreto del patriarca Manuele relativo alla sua nomina ad arcivescovo, nomina che assicurava l'autonomia alla Chiesa serba:

Io, Manuele, patriarca ecumenico e arcivescovo della città di Costantinopoli, Nuova Roma, nel nome del Signore Gesù Cristo, ho consacrato Sava arcivescovo di tutte le terre serbe; nel nome di Dio gli ho conferito l'autorità di ordinare vescovi, sacerdoti e diaconi del suo paese; di legare e sciogliere i peccati degli uomini; di ammaestrare tutti e battezzarli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Perciò, voi ortodossi tutti, obbedite a lui come avete obbedito a me”.

Una volta consacrato, Sava ritornò all'Athos per salutare Hilandar e ricevere la benedizione e le preghiere di tutte le comunità monastiche della Santa Montagna. Fu il momento più emozionante della sua vita. Egli doveva dare addio all'Athos (in particolare a Hilandar), sua vera patria spirituale, da dove pensava che non si sarebbe più allontanato. Benché lo accogliessero e trattassero con la più alta distinzione e il più grande rispetto per il suo rango ecclesiastico, i monaci erano tristi per la perdita dell'amato fratello e amico, il semplice monaco Sava. Se c'è qualcosa di evidente e sicuro della sua personalità e del suo carattere, è proprio questo: qualunque posizione, lode o successo ottenesse, Sava mai dimenticava il suo centro e le sue radici spirituali, che erano l'amore e la vita con Cristo in semplicità, in fratellanza comune e in servizio umile.

Il neo-consacrato arcivescovo giunse in barca a Salonicco; lì si trattenne per breve tempo nel monastero di Philokalos, dove, assieme a pochi altri, eseguì una traduzione dal greco in slavone del Nomokanon, un'opera bizantina di diritto canonico di san Fozio il Grande (IX sec.). Intitolata in slavone Kormcaja knjiga (Libro del nocchiero), la traduzione conteneva non solo canoni ecclesiastici - inclusi i decreti dogmatici dei sette concili ecumenici -, con i commenti dei migliori canonisti greci medievali, ma pure numerose norme attinte dai Padri della Chiesa assieme a molte altre provenienti dagli editti del grande imperatore bizantino Giustiniano (VI sec.). Questo lavoro fu una delle maggiori opere letterarie e politiche di Sava, in quanto aprì il regno di Serbia all'influenza dell'elevata civiltà bizantina, la cui visione della società e della vita era principalmente determinata dalla fede ortodossa. Sava, ad esempio, divise il regno in nove diocesi sulla base dei confini civili, secondo il sistema bizantino. Ciascun vescovado aveva sede nel capoluogo di provincia, il che permetteva ai capi politici ed ecclesiastici di operare in consonanza per il bene materiale e spirituale del popolo serbo. Ogni sede diocesana fu posta in un monastero; tutte, poi, facevano capo all'arcivescovo stabilito presso il monastero di Zica (è importante notare che la traduzione in slavone, il Nomokanon di san Sava, costituì il fondamento delle costituzioni civile ed ecclesiastica dei regni di Bulgaria e di Russia per tutto il medio evo).

All'arrivo in Serbia, Sava - il primo arcivescovo dei serbi - fu accolto a braccia aperte dal fratello re Stefano e dai nipoti (figli di Stefano), i principi Radoslav (1228-1233) e Vladislav (1233-1243). Sava si recò direttamente a Studenica per venerare le reliquie myrofore di suo padre Simeone. Poco dopo, partì per salire sul seggio arcivescovile di Zica, il monastero fondato da re Stefano e recentemente consacrato, sulla riva destra del fiume Ibar, a soli 8 km. a sudovest di Kraljevo. Lo stile architettonico di Zica apparteneva alla scuola di Raska o serbo-bizantina, caratterizzata dall'abside semicircolare all'estremità orientale della chiesa principale, da un nartece separato (entrata o vestibolo all'estremità occidentale, dove nei monasteri si svolgono i servizi divini di compieta, l'ufficio di mezzanotte, le ore minori e la lití - l'ufficiatura notturna tra il grande vespro e l'orthros - alla vigilia delle grandi festività), con una grande cupola di congiunzione delle due estremità per indirizzare i fedeli al centro della chiesa. L'elemento originale della chiesa principale di Cristo Salvatore di Zica era la costruzione in mattone e pietra ricoperti con intonaco colorato di rosso, su modello dei monasteri athoniti, a simboleggiare il sangue sparso dal nostro Salvatore e dai suoi amati seguaci, i santi martiri, “per la vita del mondo”.

Come centro spirituale dell'Ortodossia serba, il monastero di Zica sarebbe stato ancora una volta di guida nello sforzo per la piena inculturazione dei serbi nella visione e nel modo di vivere ortodossi. Per farne il cuore religioso e politico Sava decise che là, il primo giorno delle sue funzioni di primo arcivescovo (la solennità dell'Ascensione del 1220), avrebbe incoronato il fratello primo re di Serbia. Benché fosse salito al trono già nel 1196, dopo l'abdicazione del padre Stefano Nemanja-san Simeone, la sua incoronazione lo proclamò ufficialmente, davanti a tutte le nazioni, legittimo re ortodosso di Serbia. Quell'atto mise fine ad ogni legame della dinastia nemanjica con l'occidente. In conseguenza, Stefano ebbe il titolo di Kralj Stefan Prvovencani (“re Stefano Primo Coronato”).

Come durante la sua precedente permanenza in Serbia, Sava incontrò difficoltà. Il papa di Roma Onorio III e l'arcivescovo Demetrio Comaziano di Ohrid non erano, a dir poco, soddisfatti della sua nomina ad arcivescovo e del nuovo status della Chiesa serba. Sava passò il primo decennio del suo incarico (1219-1229) principalmente ad organizzare la Chiesa, fondare diocesi, rinnovare monasteri e rafforzare i fedeli contro le tante pressioni da parte greca e latina. Va sottolineato che mai Sava spinse a ritorsioni od ostilità contro le diocesi greche o romane in Serbia. In questo periodo dovette affrontare un'altra contrarietà. Alla fine del 1228 suo fratello, il re Stefano Primo Coronato, si addormentò nel Signore; ma prima della morte aveva ricevuto la tonsura monastica e il nome di Simone. Dopo di lui salì al trono il figlio Radoslav che, sfortunatamente per i serbi, favorì la corrente di sua madre, la greca Eudocia . Di conseguenza, il nuovo re Radoslav volle il ritorno della giovane Chiesa serba sotto il protettorato dell'arcivescovo greco di Ohrid contro la volontà di Sava. Tale manovra politica fu troppo per Sava: egli pensò, ancora una volta, di abbandonare la patria. Ma dove sarebbe potuto andare? Era adesso arcivescovo perpetuo dei serbi e non gli sarebbe stato possibile tornare a Hilandar. Dopo qualche riflessione, il venerabile Sava decise di visitare Gerusalemme e la Terra Santa. Così, nel 1229, dopo dieci anni di duro lavoro e di feconda fatica nella vigna del Signore in patria, Sava volle rinnovare il suo spirito col pellegrinaggio nella culla stessa del cristianesimo, Gerusalemme, dove il Signore aveva portato la salvezza al mondo.

Sava vi acquistò la casa in cui, secondo una tradizione, Gesù Cristo e i suoi discepoli avevano celebrato la Pasqua nell'anno della crocifissione. Compratala da un musulmano, la donò stabilmente alla Chiesa ortodossa di Gerusalemme. Stipulò, inoltre, accordi per facilitare le visite di pellegrini serbi in Terra Santa. Aprì la strada allo stabilirsi e al fiorire di colonie monastiche serbe in Palestina e nelle aree desertiche circostanti durante il tempo dello stato medievale serbo (dagli inizi del XIII sec. alla metà del XV). Costruì anche nuove chiese, ne restaurò alcune, finanziò monasteri e passò molte ore a conversare con i grandi asceti dei deserti del Medio Oriente, approfondendo l'arte della preghiera, del digiuno e del dominio sulle passioni carnali. In particolare, visitò il monastero del suo omonimo, san Sava il Santificato di Gerusalemme, dove il ministero episcopale gli fu confermato dal compimento di una profezia antica di settecento anni, grazie alla quale ricevette due famose icone, quella miracolosa della Theotokos “dalle tre mani” (detta in slavone Trojerucica e l'altra, pure miracolosa, della Theotokos “Vergine che allatta”; portate a Hilandar, furono collocate nei suoi typikaria.

Giunto il momento di lasciare la Terra Santa per la Serbia, Sava decise di passare per Nicea, per ottenere conferma della promessa - fatta dal patriarca Manuele nel 1219 - di concedere l'autonomia alla Chiesa serba. Là incontrò Giovanni III (1222-1254), il nuovo imperatore bizantino residente a Nicea, succeduto a Teodoro Laskaris. Incontrò pure Germano, il nuovo patriarca successore di Manuele. Era presente agli incontri Irene - moglie di Giovanni e figlia dello scomparso Teodoro -, che rievocò ricordi della prima visita di Sava, quando costui aveva chiesto l'autocefalia, il diritto, cioè, per i vescovi serbi di scegliere e consacrare il loro proprio patriarca. La promessa era stata fatta a Sava nel 1219 ed egli era a Nicea per riottenerla. Sebbene questa seconda richiesta non venisse accolta, a Sava fu riconfermata l'indipendenza della Chiesa serba dall'arcivescovo di Ohrid. Furono così frustrati i piani del nuovo re Radoslav. E, per sfortuna sua, anche le sue capacità militari scemarono, perché, in una guerra civile contro il fratello minore Vladislav, nell'estate del 1233, Radoslav fu sconfitto ed esiliato a Durazzo (Albania). Benché non fosse riuscito a pacificarli - ambedue non avevano obbedito all'esortazione del nonno san Simeone all'unità -, Sava riconobbe che era preferibile per il paese essere governato da Vladislav. Parecchi anni dopo, in seguito a negoziati con il re Vladislav, ottenne un salvacondotto per Radoslav, cui fu concesso di rientrare in Serbia. Per altra malasorte di quest'ultimo, durante il suo esilio in Albania sua moglie se ne era fuggita con un duca francese: egli decise allora di farsi monaco e Sava gli diede la tonsura col nome di Giovanni.

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Nella primavera del 1234 l'arcivescovo Sava, a 59 anni, ad appena un lustro dal primo viaggio in Terra Santa, decise di compiere un secondo pellegrinaggio a Gerusalemme. Questa volta aveva in mente scopi particolari. Voleva trovare appoggio per i bulgari desiderosi di ottenere lo status di autocefalia ecclesiastica. Già in precedenza il patriarca ecumenico di Nicea aveva riconosciuto la nuova situazione in Bulgaria, ma non quelli di Gerusalemme, Alessandria e Antiochia. Sava sperava di avere da essi lo stesso tipo di sostegno anche per la la propria Chiesa autonoma. La sua missione doveva promuovere la federazione delle Chiese sorelle ortodosse con Gerusalemme in quanto eterna Chiesa-madre. Queste iniziative attestavano, indubbiamente, un'idea lungimirante e addirittura profetica da parte di Sava, che stava avviando un processo che si sarebbe realizzato solo cento anni dopo: l'autocefalia della Chiesa serba. Sava, uomo del suo tempo, aveva una chiara visione del futuro! Ma c'era ancora qualcosa di ben più speciale, da lui rivelato poco prima del suo secondo viaggio in Medio Oriente. Apparentemente senza motivo, Sava decise di abdicare alla carica di arcivescovo. Indicò per la successione uno dei suoi discepoli più giovani, Arsenio, e questi, secondo i canoni della Chiesa ortodossa, venne eletto dall'assemblea dei vescovi riunita a Zica e fu confermato dal patriarca ecumenico di Nicea. Sava, come i santi del passato, diede prova di intuito profetico molto al di sopra della sapienza e della ragione umane: nessuno allora si rese conto che, scortando l'amato santo al confine del regno serbo per il suo viaggio in Palestina, non lo avrebbe più rivisto vivo in questo mondo. Sava sapeva che presto il Signore lo avrebbe chiamato alle celesti dimore dei giusti e perciò, da buon arcipastore, preparò amorevolmente i suoi figli spirituali al loro futuro.

All'arrivo a Gerusalemme, Sava alloggiò nel monastero di San Giorgio ad Acri, da lui acquistato dai latini nel primo pellegrinaggio. Visitò il patriarca Atanasio di Gerusalemme e raggiunse per mare Alessandria d'Egitto, dove incontrò il papa Nicola, "patriarca di Alessandria e di tutta l'Africa". Andò poi al monastero di Santa Caterina del Sinai, dove trascorse la Grande Quaresima del 1234. Si trattò di un benedettissimo viaggio pasquale per Sava, che salì alle vette dove Mosè, il grande uomo di Dio, che vide Dio e liberò il suo popolo, aveva passato molte ore in colloquio col Signore faccia a faccia, come un amico parla con un amico. Anche Sava era stato un "Mosè" per il suo popolo, governandolo, guidandolo ed organizzandolo in comunità di Dio. Dopo la celebrazione pasquale del 1234, Sava tornò a Gerusalemme; da lì passò ad Antiochia. Visitata Costantinopoli, era sua intenzione raggiungere l'Athos e Hilandar, ma "non piacque allo Spirito Santo". Partì invece per Trnovo, capitale del regno bulgaro di Ivan Asen II.

Sava vi arrivò il 1 gennaio 1235, ricevuto con grande onore e magnificenza non solo per i suoi sforzi in aiuto delle autorità ecclesiastiche bulgare durante la permanenza in Medio Oriente, ma - fatto più importante - per essere davvero la persona più rispettata e venerata del tempo. Su richiesta di re Ivan Asen II, Sava visse nel palazzo reale di Trnovo. Numerosi dignitari di stato, monaci, sacerdoti e pii fedeli si presentarono a venerare il santo pastore e riceverne la benedizione. Sava officiò la divina liturgia il 6 gennaio 1235, nella cattedrale regia dei Quaranta Santi Martiri di Trnovo. Prese parte, secondo l'uso, alla benedizione delle acque all'esterno della cattedrale, sul vicino fiume Jantra. Dopo il divino servizio il santo si buscò un raffreddore che si trasformò in polmonite, causa della sua morte avvenuta nella notte fra il sabato e la domenica del 14 gennaio 1235: aveva 60 anni.

La notizia del decesso di san Sava fu uno shock sia per i serbi e i bulgari, sia per tutto il mondo bizantino. Il santo ebbe onorevolissima sepoltura cristiana e fu messo a riposare nella cattedrale dei Quaranta Santi Martiri di Trnovo, dove rimase per più di due anni, fino a quando, il 6 maggio 1237, in seguito alla visita del re serbo Vladislav, in solenne processione fu ricondotto in patria, al monastero di Milesevo, fondato da Vladislav stesso (1233-1243) a soli pochi chilometri ad est del fiume Lim, presso Prijepolje. Benché celebre per la bellezza delle icone e degli affreschi - ad esempio, l'angelo alla tomba di Cristo -, mai il monastero avrebbe immaginato l'attenzione che avrebbe ricevuto dopo la deposizione della salma di Sava nella chiesa principale. Aperta la bara, il corpo fu trovato incorrotto, fragrante, trasudante myron; il suo aspetto era come di uno immerso in un sonno ristoratore. Migliaia di pellegrini - serbi, romano cattolici, perfino ebrei - si recavano a venerare il divino Sava. Per tutti egli era fonte di unità, guarigione, sapienza, gioia e forza spirituale: era l'unificatore delle varie tribù serbe in una sola nazione di credenti ortodossi. Di conseguenza, appena diciotto anni dopo la morte, nel 1253, la Chiesa ortodossa di Serbia canonizzò l'amato san Sava (v. 27 aprile e 6 maggio).

La straordinaria eredità della guida di Sava tenne uniti i serbi sotto una sola bandiera: quella del regno di Serbia, che seguiva l'Ortodossia e la via di Cristo. Egli fu l'unico responsabile della trasformazione del popolo serbo in popolo di Dio. La fedeltà alla sua condotta fu per tutti i serbi il solo, vero modello ed espressione di vita religiosa, politica e culturale. Come accade per ogni grande uomo che ispiri le generazioni successive a sempre più alti livelli di vita civile, così fu anche per Sava: il suo ideale sollecitò la Serbia ortodossa, nel XIII e XIV sec., a divenire uno dei più splendidi regni che il mondo abbia mai conosciuto. La vita religiosa si elevò notevolmente: i monasteri di Serbia erano affollati di monaci dalla vita austera, che spingevano i connazionali alle più alte vette dell'umiltà e li guidavano a rivelare il tratto che più li faceva (ed ancor oggi li fa) riconoscere, l'ospitalità. Come poi si è accennato, grazie alla scaltra sapienza ecclesiastica di Sava, manifestata nel 1219 a Nicea, la Chiesa serba poté nel 1346 ottenere l'autocefalia, cioè un suo proprio patriarca. Nell'imitazione di Sava simile-a-Cristo, fiorì anche la vita politica ed economica nei secoli successivi al suo riposo nel Signore. L'unità serba, fondata sull'adesione all'Ortodossia e sulla fedeltà agli ideali politici dell'amato san Sava, permise ai serbi di raggiungere nei Balcani un potere tale che nel 1346 il loro re Dusan il Grande (1331-1355) ebbe il titolo di Zar dei serbi, dei greci, dei bulgari e degli albanesi. In breve, dopo la morte san Sava fu per i serbi un ideale e la misura di ciò che significasse essere un vero serbo, essere cioè interamente impegnato per Gesù Cristo e l'Ortodossia. Sul piano religioso egli fu ritenuto eguale a san Nicola, il tipo ideale di vescovo; su quello politico, eguale a san Costantino il Grande, fondatore dell'impero di Bisanzio; e più tardi, nel 1595, come grande martire, eguale all'umile san Policarpo di Smirne, il primo grande martire ad essere bruciato vivo (v. 27 aprile, incendio delle reliquie di san Sava). Sia benedetto il Signore! Quanti aspetti e talenti cristiani manifestati in una sola persona! Nei due secoli successivi san Sava divenne la stella più luminosa mai conosciuta dai serbi, ispirandoli ad una vita che le generazioni seguenti non sono ancora state capaci di far propria.

Tale amore per Sava non scemò nemmeno al tempo della barbara occupazione turca delle terre serbe iniziatasi con la battaglia di Kosovo (15 giugno 1389). Quel giorno i serbi vollero restare fedeli a Cristo, all'Ortodossia e all'incarnazione della loro fede, san Sava. Ricevuto il corpo e il sangue preziosi di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo alla vigilia della battaglia della Piana del Merlo, gli eserciti serbi affrontarono vittoriosamente il martirio e la “crocifissione” per mano dei turchi empi, provando alla storia (e naturalmente a se stessi) che è meglio morire per Cristo, la via, la verità e la vita, piuttosto che vivere per una causa o un dominio terreno qualsiasi. Più di ogni altro avvenimento della vicenda storica della stirpe serba, il martirio di Kosovo Polje testimoniò la sua fedeltà al modo di vivere insegnatole da san Sava: vivere, cioè, con Cristo Signore nel suo Regno celeste. Fu questa concezione della vita, offerta da san Sava, a sostenere i serbi ortodossi nei tempi di oppressione che seguirono e a costituirne la speranza: non una speranza vinta o sconfitta, ma una viva, che sprona, stimola, unifica, rafforza, persiste, per la quale vale veramente la pena di vivere, costi quel che costi. Questa concezione fu la salvezza dei serbi!

Nessuna meraviglia che i turchi, il 27 aprile del 1595, non siano stati capaci di resistere a tale forza unificante, la forza della vita impegnata in Cristo fondata sull'esempio di san Sava: ancora una volta "crollarono" sotto questa pressione e, a loro eterna follia e dannazione, bruciarono il corpo vivificante e le reliquie del santo (v. 27 aprile). Essi credevano di uccidere lo spirito assieme al corpo - un po' come pensavano gli ebrei, quando fecero lo stesso con Gesù sul Golgotha - in quella gloriosa giornata sul colle di Savinac, nel distretto belgradese di Vracar. Invece, con loro sgomento, lo spirito ortodosso serbo fu rafforzato da quest'atto empio, perché tutti i pii serbi di allora e di oggi credono in un unico Signore e Maestro, Cristo Salvatore, crocifisso e martirizzato con selvaggia brutalità per la vita del mondo, che è risorto dai morti e ha calpestato la morte con la morte, e il cui Regno non avrà fine. Il grande martirio di Sava non fu una fine per il santo ma un inizio, perché, assieme al titolo di "venerando e santo padre, primo arcivescovo e illuminatore eterno dei serbi", ebbe dalla Provvidenza quello meraviglioso di "megalomartire", portando con ciò a compimento un'eredità che certamente durerà per sempre! E a sua gloria, sul colle di Savinac in Vracar, si sta ora erigendo una cattedrale imponente per confermare una volta per tutte il suo costante amore e l'esempio di unità, forza e pietà che ogni cristiano ortodosso deve mostrare ovunque per ereditare la vita eterna!

TROPARION Tono 8


Guida dell'Ortodossia e benedetto maestro di virtù, * purificatore e illuminatore della tua patria, * bellezza dei monaci, * sapientissimo padre, san Sava: * con l'insegnamento hai illuminato il tuo popolo! * O flauto dello Spirito, prega Cristo Dio per le anime nostre.

KONTAKION Tono 8

Quale primo grande gerarca e cooperatore degli apostoli * la Chiesa della tua gente ti magnifica; * e poiché hai ottenuto il favore di Cristo, * salvaci con le tue preghiere da ogni calamità, * così che possiamo gridarti: “Gioisci, padre Sava che possiedi la sapienza di Dio”.

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