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lunedì 20 giugno 2016

Lo Spirito Santo

Tratto da: Padre Alexander Schmemann, D’eau et d’Esprit.

La teologia definisce lo Spirito Santo come la Terza Persona della Trinità; nel Credo lo professiamo come procedente dal Padre; l’Evangelo ci dice che Egli è inviato da Cristo per essere il Consolatore, per guidarci “alla verità tutta intera” (Giovanni 16, 13) e per unirci a Cristo e al Padre. Cominciamo ogni servizio liturgico con una preghiera allo Spirito  Santo, invocandolo come “Re del cielo, Consolatore, Spirito di verità, colui che è presente ovunque e tutto riempie, Tesoro di beni e datore di vita”. San Serafino di Sarov descrive tutta la vita cristiana come “l’acquisizione dello Spirito  Santo”. San Paolo definisce il Regno di Dio come “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Romani 14, 17). Noi diciamo che i santi sono i portatori dello Spirito Santo e vogliamo che la nostra vita sia spirituale, cioè, ispirata dallo Spirito.

In verità, lo Spirito Santo è nel cuore della Rivelazione Divina e della vita cristiana. Eppure quando vogliamo parlare di Lui, ci è estremamente difficile trovare le parole giuste – così difficile che per molti cristiani l’insegnamento della Chiesa sullo Spirito Santo come una persona ha perso ogni significato concreto, esistenziale, in modo che Lo percepiscono come un potere divino: non come Lui o Tu, ma come un divino Quello. Anche la teologia, pur mantenendo ovviamente la dottrina classica delle Tre Persone divine quando parla di Dio, preferisce, quando tratta della Chiesa e della vita cristiana, parlare di grazia e non di conoscenza ed esperienza personale dello Spirito Santo.

Tuttavia, nel sacramento dell’unzione, riceviamo lo Spirito Santo Lui stesso, e non solo la grazia: è ciò che la Chiesa ha sempre insegnato. È proprio lo Spirito Santo, e non un potere divino che scende sugli Apostoli il giorno della Pentecoste. È proprio Lui e non la grazia che invochiamo nella preghiera e acquisiamo con uno sforzo spirituale. Quindi, è chiaro che il mistero ultimo della Chiesa è quello di conoscere lo Spirito Santo, di riceverlo, di essere in comunione con Lui. E il completamento del battesimo nell’unzione è la venuta personale dello Spirito  Santo stesso che si rivela all’uomo e dimora in lui. Ma allora la vera domanda è la seguente: che significa conoscere lo Spirito Santo, avere lo Spirito Santo e essere in Lui?

Il modo migliore per rispondere a questa domanda è quello di confrontare la conoscenza dello Spirito Santo con quella di Cristo. Inutile dire che per conoscere Cristo, amarlo, accettarlo quale significato ultimo, forza e gioia della mia vita, devo prima sapere alcune cose su Cristo. Nessuno può credere in Cristo senza aver sentito parlare di Lui e dei Suoi insegnamenti, ed è questa conoscenza di Cristo che riceviamo attraverso la predicazione apostolica, dall’Evangelo e dalla Chiesa. Ma non è esagerato dire che per quanto riguarda il Santo Spirito, questa sequenza – conoscenza concernente, poi conoscenza di e infine comunione con – è invertita. Non possiamo conoscere semplicemente lo Spirito Santo. Anche la testimonianza di coloro che l’hanno veramente conosciuto e sono stati in comunione con Lui non significa nulla per noi se non abbiamo avuto la stessa esperienza. Che cosa possono significare, infatti, le parole che nella preghiera eucaristica di san Basilio, descrivono lo Spirito Santo: “… Il Dono di adozione, la Promessa di eredità futura, le premesse dei beni eterni, la Forza vivificante, la fonte di santificazione…”? Quando un amico ha chiesto a san Serafino di spiegargli lo Spirito Santo, il santo non gli ha dato alcuna spiegazione, ma ha condiviso con lui un’esperienza che il suo allievo ha descritto come una “dolcezza straordinaria”, una “gioia straordinaria in tutto il mio cuore”, uno “straordinario calore” e una “soavità speciale” che è l’esperienza del Santo Spirito; perché come san Serafino disse: “Quando lo Spirito di Dio scende sull’uomo e lo copre con la Sua pienezza, l’anima umana trabocca di gioia indicibile perché lo Spirito di Dio trasforma in gioia tutto ciò che tocca”.

Tutto questo significa che conosciamo lo Spirito Santo con la Sua presenza in noi, una presenza che si manifesta principalmente con gioia, pace e pienezza ineffabile. Anche nel linguaggio comune, queste parole – gioia, pace, pienezza – implicano qualcosa che è giustamente indescrivibile, che per sua stessa natura è al di là delle parole, delle definizioni e delle descrizioni. Si riferiscono a quei momenti nella vita in cui la vita è piena di vita, dove non c’è né mancanza né, di conseguenza, desiderio di qualsiasi cosa, dove non c’è né ansia, né paura, né frustrazione. L’uomo parla sempre di felicità e, anzi, la vita è la ricerca della felicità, l’aspirazione della pienezza. Possiamo quindi dire che la presenza dello Spirito Santo è il compimento della vera felicità. E dal momento che la felicità non è il risultato di una “causa” identificabile ed esterna, che è il caso della nostra povera e fragile felicità terrena che scompare quando scompare la causa che l’ha prodotta, come non risulta da nulla che sia di questo mondo, tuttavia si traduce in gioia per tutte le cose, questa felicità deve essere il frutto in noi della venuta, della presenza e del soggiorno di Qualcuno che Lui stesso è Vita, Gioia, Pace, Bellezza, Pienezza, Felicità.

Questo Qualcuno è il Santo Spirito. Non vi è alcuna icona di Lui, nessuna rappresentazione, perché Egli non si è fatto carne, non si è fatto uomo. Eppure, quando viene ed è presente in noi, tutto diventa Sua icona e Sua rivelazione, comunione con Lui, conoscenza di Lui. Perché è Lui che fa sì che la vita è vita, la gioia è gioia, l’amore è amore e la bellezza è bellezza e che quindi Egli è la Vita della vita, la Gioia della gioia, l’Amore dell’amore e la Bellezza della bellezza, il Quale essendo al di sopra e al di là di ogni cosa, fa dell’intera creazione il simbolo, il sacramento, l’esperienza della Sua presenza: l’incontro dell’uomo con Dio e la sua comunione con Lui. Non è “a parte” o “altrove”, perché è Lui che santifica tutte le cose ma Egli stesso si rivela in questa santificazione come al di là del mondo, al di là di tutto ciò che esiste. Grazie alla santificazione Lo conosciamo veramente, Lui e non un divino, impersonale Quello, sebbene le parole umane non possano definire e quindi isolare sotto forma di oggetto Colui di cui la rivelazione stessa in quanto Persona rivela tutti e tutte le cose come unico e personale, come soggetto e non oggetto, trasforma ogni cosa in un incontro personale con il divino e ineffabile Tu.

Cristo ha promesso che l’incoronazione della Sua opera di salvezza sarebbe stata la discesa, la venuta del Santo Spirito. Cristo è venuto a restaurare in noi la vita che abbiamo perso nel peccato, per darci di nuovo la vita “in abbondanza” (Giovanni 10, 10). E il contenuto di questa vita e, quindi, del Regno di Dio è lo Spirito Santo. Quando viene, l’ultimo e grande giorno di Pentecoste, è la vita in abbondanza e il Regno di Dio che sono davvero inaugurati, cioè che sono manifestati e comunicati a noi. Lo Spirito Santo che Cristo ha avuto da tutta l’eternità come Sua vita, ci è dato come nostra vita. Rimaniamo in questo mondo, continuiamo a condividere la sua esistenza mortale; eppure, poiché abbiamo ricevuto il Santo Spirito, la nostra vera vita è “nascosta con Cristo in Dio” (Colossesi 3, 3) e siamo già e ora partecipi del Regno eterno di Dio, Regno che, per questo mondo, deve ancora venire.

Ora comprendiamo perché, quando viene lo Spirito Santo, ci unisce a Cristo, ci fa entrare nel Corpo di Cristo, ci rende partecipi della Regalità, del Sacerdozio e della Profezia di Cristo. Perché il Santo Spirito essendo la vita di Dio, è veramente la vita di Cristo; è, in un unico modo, il Suo Spirito. Cristo dandoci la Sua Vita, ci dà il Santo Spirito; e il Santo Spirito scendendo su di noi, ci dà Colui che è la Vita.

Tale è il dono dello Spirito Santo, il senso della nostra Pentecoste personale nel sacramento della santa unzione. Ci sigilla – cioè ci fa, rivela, conferma – membri della Chiesa, Corpo di Cristo, cittadini del Regno di Dio, partecipi dello Spirito Santo. E con questo sigillo, ci dà veramente la nostra propria identità, dirige ciascuno di noi per farci quello che Dio, da tutta l’eternità, vuole che siamo, rivelando la nostra vera personalità e quindi la nostra unica realizzazione.

Il dono è concesso pienamente, in abbondanza, a profusione: “Dio dà lo Spirito senza misura” (Giovanni 3, 34), e: “dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (Giovanni 1, 16). Ora, dobbiamo appropriarcene, riceverlo veramente, farlo nostro. È il fine della vita cristiana. Diciamo “vita cristiana” e non “spiritualità”, perché quest’ultimo vocabolo è diventato oggi ambiguo e ingannevole. Per molti, si tratta di un’autonoma e misteriosa attività, un segreto che è possibile penetrare con lo studio di certe tecniche spirituali. Il mondo di oggi è il teatro di una ricerca inquieta di spiritualità e misticismo e, in questa ricerca, tutto è ben lungi dall’essere sano – frutto di questa sobrietà spirituale che è sempre stata la fonte e il fondamento della vera tradizione spirituale cristiana. Troppi saggi e cosiddetti maestri spirituali, sfruttando ciò che è spesso un’autentica e ardente ricerca dello Spirito, trascinano, infatti, i loro seguaci in pericolosi vicoli ciechi spirituali.

È quindi importante, alla fine di questo capitolo, affermare ancora una volta che l’essenza stessa della spiritualità cristiana è ciò che guida l’intera vita. La nuova vita che san Paolo definisce come “vivere dello Spirito e camminare sotto l’impulso dello Spirito” (Galati 5, 25) non è un’altra vita e non è un surrogato; è la stessa vita che ci è data da Dio, ma rinnovata, trasformata e trasfigurata dallo Spirito Santo. Ogni cristiano – che sia monaco in un eremo o impiegato nelle attività del mondo – è chiamato a non dividere la sua vita in spirituale e materiale, ma a rendergli la sua integralità, a santificarla tutta intera con la presenza dello Spirito Santo. Se san Serafino di Sarov è felice in questo mondo, se la sua vita terrena era diventata, alla fine, un diluvio luminoso di gioia, se gioiva di ogni albero e di ogni animale, se accoglieva ciascuno di coloro che venivano a lui chiamandolo “mia gioia”, è perché in tutto questo vedeva con gioia Colui che è infinitamente al di là di tutto e pertanto rende ancora tutta l’esperienza, la gioia e la pienezza della Sua presenza.

“Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé…” (Galati 5, 22). Questi sono gli elementi dell’autentica spiritualità, l’obiettivo di ogni vero sforzo spirituale, il cammino della santità che è lo scopo ultimo della vita cristiana. “Santo” invece di “Spirito” è il termine che definisce lo Spirito Santo, perché la Scrittura parla anche di “spiriti del male”. E siccome è il nome dello Spirito Divino, è possibile dargli una definizione in linguaggio umano. Non è sinonimo di perfezione e di bontà, virtù e fedeltà, anche se contiene e implica pure tutto ciò. È il fine di tutto il linguaggio umano, perché Egli è la Realtà stessa, dove tutto ciò che esiste trova il suo compimento.

“Uno solo è Santo”. Eppure è la Sua santità che abbiamo ricevuto come realmente il contenuto nuovo della nostra vita nell’unzione dello Spirito Santo stesso; ed è con la Sua Santità, elevandoci costantemente in essa che possiamo realmente trasformare e trasfigurare, rendere la vita che Dio ci ha dato santa e piena.

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